Volume V, Issue 2 (16), New Series 2017

La Historia dell’Europa di Pierfrancesco Giambullari

e la “Monarchia universalis”: tra realtà e utopia

 

Pierfrancesco Giambullari’s Historia dell’Europa

and “Monarchia universalis”: between reality and utopia

 

 

Francesco VITALI

                                                                                      

 

Abstract: The Florentine academic Pierfrancesco Giambullari started to write Historia dell’Europa in 1545 at the court of duke Cosimo I de’ Medici. In his Historia, Giambullari analysed the history of the Holy Roman Empire from 887 A.D. to 950 A.D. Above all, he celebrated the advent to the imperial throne of the Saxon Otto I, which was permitted by the Divine Providence. Furthermore, he described the corruption of popes such as Stefano VI and Giovanni XI, who were only focused on extending their temporal power in Italy against the imperial politics.  Thus, Giambullari’s admiration for imperial government of Otto I expressed indirectly his approbation of coeval “monarchia universalis” planned by the Hapsburg emperor Charles V. In fact, the duke Cosimo supported the politics of Charles V to contrast his most dangerous enemies: the anti-Medici “fuorusciti”, sustained by France, and pope Paul III.  In 1549, when the Florentine duke established a good relationship with the new pope Giulio III and the Italian imperial party collapsed, Giambullari interrupted his writing. So, the realistic hope of “monarchia universalis” evolved into a utopian proposal. Giambullari returned to Historia dell’Europa only when in 1555 Giampietro Carafa, enemy of duke Cosimo, was elected pope as Paul IV. However, in few months Giambullari died and his writing remained unfinished. Although Historia was published in 1566, its perspective of “monarchia universalis” had already been utopian and unrealistic, vis-a-vis the strong alliance formed by duke Cosimo with pope Pio V.

Keywords: Divine Providence, Translatio Imperii, Monarchia universalis, Holy Roman Empire.

Premessa

Nella prima metà del Cinquecento, come evidenziato da Francis Yates nel suo ormai classico studio, l’imperatore Carlo V dà nuova linfa al mito della monarchia universale, mutuato dal Medioevo. Imperniato sulla profezia di Daniele relativa alla successione dei quattro imperi (assiro, persiano, greco, romano) sul provvidenziale ruolo di salvaguardia politico-militare della respublica christiana e su un attivo impulso alla riforma della Chiesa affidato all’imperatore, tale mito sembra incarnarsi compiutamente nel sovrano asburgico.[1]

Negli anni Quaranta, secondo quanto recentemente documentato da Elena Bonora, i richiami alla monarchia universale in chiave filoasburgica raccolgono in Italia un qualificato quanto trasversale consenso da parte di un ampio partito filoimperiale, composto di principi ed alti prelati, in contrapposizione alla politica svolta dal pontefice Paolo III.[2] A tale fascinazione non sembra alieno neppure l’impegno storico-letterario del canonico di San Lorenzo Pierfrancesco Giambullari, che, oltre ad avere alle spalle una antica tradizione familiare di militanza ghibellina,[3] è ligio esecutore nell’Accademia fiorentina degli indirizzi culturali del duca Cosimo.[4] Il giovane duca fiorentino, proprio grazie al matrimonio del 1539 con Eleonora de’ Toledo,[5] costituisce un solido asse filoasburgico con Napoli e contrasta la politica di Paolo III, sostenitore dei fuoriusciti fiorentini, a loro volta alleati dei Valois, nella lotta per l’egemonia europea ingaggiata con Carlo V.[6]

Il Gello, la fondazione noachica di Firenze e l’Hebraica Biblia di Sebastian Münster

Al di là degli echi filoasburgici dell’Apparato per le nozze di Cosimo con Eleonora di Toledo del 1539[7] e di alcuni interventi danteschi dei primi anni Quaranta,[8] Giambullari inizia a delineare una prospettiva ghibellina soprattutto nel Gello,[9] approntato nell’estate del 1545 ma pubblicata nei primi mesi dell’anno seguente.

Da un lato, il letterato fiorentino per sviluppare la tesi della matrice arameo-caldaica ed etrusca del volgare toscano si avvicina alle opere grammaticali di orientalisti del calibro del francese Guillaume Postel[10] e di Theodor Bibliander.[11] Dall’altro, Giambullari, che nel merito del Gello prospetta posizioni linguistiche tutt’altro che coincidenti con quelle di Postel e Bibliander,[12] per documentare l’origine noaica di Firenze attinge soprattutto agli scritti di un altro umanista di fama europea: l’ex francescano Sebastian Münster, passato al luteranesimo nel 1529.[13]

In particolare, l’accademico fiorentino basa largamente la sua prospettiva noaica sui capitoli della Genesi – relativi al diluvio universale – della traduzione latina della Hebraica Biblia, curata da Münster, pubblicata a Basilea nel 1534-35.[14] Nel merito, Münster eleva Noè a simbolo della continuità dell’umanità oltre il diluvio. Inoltre, l’umanista germanico rinviene nel longevo personaggio biblico il presupposto della “provvidenziale” vigenza dello schema della successione dei quattro imperi, profetata da Daniele, che dà luogo – in virtù della restauratio imperii compiuta in Occidente da Carlo Magno – al Sacro Romano Impero.[15]

Giambullari, a sua volta, insiste sui passi della Hebraica Biblia per suffragare la continuità garantita dalla figura di Noè, oltre il discrimen del diluvio. A tal proposito infatti rileva che «il principio del Diluvio fu l’anno secentesimo della vita di Noè»[16] e che poi «annoverano gli Hebrei da’l diluvio, a la divisione delle lingue, anni 340 […] et […] che Noè visse dieci anni dopo la confusione delle lingue».[17] La stessa duplice effigie di Noè-Giano è tangibile espressione della unità “provvidenziale” del genere umano: «i due volti della sua impronta significano che e vide il secolo dinanzi il diluvio: et hebbe verissima et piena cognitione di ciò che era stato avanti a quello: et che vide la nuova successione degli huomini dopo il diluvio».[18]

Nel contempo l’accademico fiorentino, in linea con le coordinate münsteriane, rifacendosi all’auctoritas ovidiana, sostiene la dimensione universale della figura di Noè in relazione ai simboli della chiave e del bastone:

la chiave in mano significa la potestà che egli hebbe di aprirci il secol nuovo, et di introdurre i vivi nel mondo: per il che fu egli chiamato Patucio, come havete in Ovidio, da lo aprire et farci patente il moderno secolo, et clusio dal chiudere, per haver egli chiuso et finito il viver di prima, et ciò che era innanzi al diluvio. Ma il Bastone, ci mostra lo scettro, et lo universal dominio che egli hebbe per tutto, come padre et capo di tutti.[19]

Inoltre, Giambullari associa la stessa originaria identità della città di Firenze, fondata da Ercole Libio, discendente di Noè e prefigurazione del principato di Cosimo,[20] all’emblema preromano del giglio bianco, poi tramutato indebitamente in  vermiglio dai guelfi:

Bastandomi[…]il poter dimostrare; che il vero nome della mia Patria, non è Fluentia[…]Ma Florentia a Latini e Firenze a noi, da la insegna e da gli abitanti. Con cio sia che Fir in lingua aramea significa fiore, come appare nello VIII capo de Numeri nella voce Fircah, cioè fior suo[21] […]. Hen poi significa Gratia, come nel VI del Genesi, trovò Noè Hen (cioè gratia) davanti a Dio.[22] La onde congiunte insieme queste due voci, direbbono Fiore di Gratia o Fiore Gratioso. Et tale era veramente il bianchissimo Giglio, segno antichissimo de fiorentini,[…] dicendo nel VI il Villano, che i cittadini Guelfi nel 1201, dove anticamente si portava il Campo vermiglio ed il giglio bianco; fecero per il contrario, il campo bianco ed il Giglio vermiglio. Et i Ghibellini si ritennero la prima insegna[23] […].[24]

In tal modo, Giambullari perciò ridefinisce la fisionomia di Firenze secondo coordinate filoimperiali ed antiromane, alternative a quelle repubblicane e filofrancesi sostenute da Girolamo Savonarola, che si era presentato ai fiorentini nelle vesti di nuovo Noè e profeta del secondo diluvio provocato dalla discesa di Carlo VIII.[25] Nella stessa direzione, il letterato fiorentino respinge il mito della rifondazione della città ad opera di Carlo Magno, propagato dai guelfi ed ampiamente ripreso dai savonaroliani in concomitanza con la spedizione italiana di Carlo VIII.[26]

La Historia dell’Europa e l’ascesa imperiale della casa di Sassonia

A conclusione della stesura del Gello, Giambullari si dedica in modo continuativo alla scrittura dell’Historia dell’Europa, nella quale è sicuramente ancora impegnato nel 1547.[27] Fin dal proemio il letterato fiorentino prende posizione in favore della “provvidenziale” translatio imperii dal mondo romano a quello franco-germanico, ricordando la ricostituzione dell’Impero romano d’Occidente, compiuta da Leone III con l’elezione di Carlo Magno cui «fu tanto favorevole il Cielo».[28]

In questa cornice imperiale inizia l’esposizione della effettiva dinamica storica, che parte nell’887 con l’avvicendamento sul trono imperiale tra Carlo III il Grosso ed Arnolfo di Carinzia. Tale passaggio ha immediate ripercussioni negative sull’assetto imperiale ed europeo, secondo Giambullari: «la coronazione e deposizione di Carlo il Grasso nella Germania, e la sublimazione di Arnolfo […] indebolirono tanto lo Imperio, che la Francia appartatasi in tutto da la Germania, si restò […] con que’ travagli che noi diremo, e la Italia rimase sciolta, senza freno o governo alcuno».[29]

In realtà però l’indebolimento che si verifica con Arnolfo e con il suo successore Ludovico, ultimo carolingio ad assumere la dignità di imperiale costituisce una transizione che, esaurito l’intermezzo di governo ai vertici dell’Impero assunto da Corrado di Franconia, porta in auge la casa di Sassonia. Enrico nel 919, poi alla sua morte, il figlio Ottone, assumono così l’autorità di imperatori.[30] Da un lato, Giambullari giudica molto negativamente questo passaggio, definendo le relative vicende storiche: «disonorate azioni, anzi pur vituperii espressi della parte maggiore di quei principi ecclesiastici e secolari, che furono da Carlo terzo fino al primo Ottone di Sassonia».[31] L’Impero non svolge difatti la sua primaria funzione di tutela politico-militare e spirituale della respublica christiana, restando succube dell’incontrollato proliferare dei feroci ungheri, ancora pagani, al suo interno.[32]

Dall’altro, tale débâcle sottolinea la rilevanza del cambiamento prodotto dall’ascesa alla dignità imperiale del casato di Sassonia. Il letterato delinea l’approdo all’autorità imperiale di Enrico in chiave eminentemente provvidenziale, ispirandosi all’opera del sassone Widukindus.[33] Nel merito, Giambullari evidenzia come la forza divina sostenga l’affermazione di Enrico, minacciato da una congiura ordita dall’arcivescovo di Magonza Attone, su ordine di Corrado: «Ma non permesse il giusto signore, il quale tirava Arrigo a lo Imperio, che lo scellerato disegno si conducesse a’l proposto fine».[34]

In seguito, lo stesso Corrado, ormai prossimo alla morte, persuade il fratello Eberardo dell’opportunità di assecondare le evidenze divine favorevoli ad Enrico perché «voi non avete quella fortuna, quella prosperità, quel consenso de’ cieli e volere di Dio, che guidano e conducono Arrigo a reggere lo imperio».[35]

Con Enrico l’Impero torna ad esercitare la sua funzione politico-religiosa di salvaguardia della respublica christiana in modo pieno ed efficace. In primo luogo, secondo quanto Giambullari racconta sulla falsariga dell’Antapodosis di Liutprando da Cremona, servitore di Ottone,[36] Enrico recupera la Lancia di Costantino. Il possesso dell’arma reliquia, che contiene i chiodi della croce di Cristo, suggerisce un rapporto privilegiato e diretto tra Dio e la monarchia sassone.[37] In secondo luogo, Enrico ottiene contro gli ungheri una grande vittoria a Riade,[38] mettendo fine alla condizione di subalternità dell’Impero.

A sua volta, Ottone, oltre a riportare nuove vittorie contro gli ungheri,[39] estende i confini della Respublica christiana, ottenendo manu militari la conversione al cristianesimo dei non meno feroci dani.[40] Parallelamente, riporta ordine e stabilità all’interno della respublica christiana. Innanzitutto, mette fine alla grave sedizione promossa nel cuore stesso dell’Impero dal fratello Enrico, duca di Baviera.[41] Poi, stringe i rapporti con la Francia, governata dai deboli ed inetti eredi dei carolingi[42] e bisognosa del sostegno sassone.[43]

In modo altrettanto urgente Giambullari evidenzia la necessità della stabilizzazione imperiale nella penisola. In linea con le istanze antiromane, già rilevate nel Gello, il letterato fiorentino sottolinea le gravi conseguenze prodotte sull’assetto italiano dalla miope politica antimperiale di diversi pontefici. In particolare, nel merito, denuncia, sulla falsariga di Liutprando, i nefasti effetti prodotti su Roma dal governo del pontefice Giovanni XI e della madre Marozia. In virtù del matrimonio celebrato tra Marozia ed Ugo di Provenza, Roma perde il dantesco status di “donna di province” ed il ruolo di centro dell’Impero, divenendo «ora schiava d’un barbaro[…]. Ahi nozze barbare, nozze scelleratissime, nozze orrende ed abbominevoli a tutto il mondo, ma  a te, Roma, massimamente che ne diventi serva e soggetta!».[44]

Probabilmente se l’accademico fiorentino non avesse interrotto la descrizione delle vicende italiane al 952, avrebbe celebrato la riunificazione del Regno d’Italia all’Impero compiuta da Ottone nel 962. Non è difficile ipotizzare che Giambullari avrebbe dato ampio risalto alla deposizione del pontefice Giovanni XII, decisa dal concilio sotto impulso dell’imperatore, rifacendosi alla Historia Ottonis di Liutprando, collocata nel sesto libro dell’edizione basileese dell’Antapodosis, consultata per la stesura della Historia dell’Europa.[45]

Unica eccezione rispetto a questa tendenza antimperiale dello scenario italiano, è il marchesato di Toscana, che intrattiene un legame peculiare col mondo germanico, assicurato dalla genealogia stabilita nel libro quarto dell’opera da Giambullari. In quella sede, il letterato fiorentino rivisita non impercettibilmente la leggenda della derivazione degli Ottoni da Uberto Cesare, figlio di Catilina, proposta da Ricordano Malispini, identificando questo Uberto con il marchese di Toscana, figlio del re Ugo.[46]


La geografia imperiale dell’Europa di Giambullari

Perfettamente funzionale alla prospettiva filoimperiale germanica, proposta nella Historia, risulta anche il discorso geografico sviluppato dall’autore. Nel proemio, Giambullari presenta un profilo dell’Europa, tratto in modo quasi letterale dall’edizione basileese della Geographia di Tolomeo del 1540, curata da Sebastian Münster.[47] In primo luogo, il letterato fiorentino, sulla falsariga dell’umanista germanico, esalta il primato dell’Europa quale regina dei continenti, la cui ineguagliabile floridezza, ricchezza e civiltà sono espressione dei doni ricevuti dalla provvidenza divina:

La sua qualità, ragionandone generalmente si può dire assai temperata, e d’una aria molto benigna, come chiaramente si può vedere dall’essere questa regione abbondantissima di biade, vini, frutte, carne, e di ciascuna altra cosa che al vivere è necessaria; copiosa di uomini armigeri, e parimente di quegli ancora che esercitano l’agricoltura […] ricca di tutti i metalli, piena di cittadi ornatissime, dotata di fiumi, laghi, campagne, selve […]; et insomma si fattamente provvista dalla benigna madre natura, che ella se bene è di corpo minore, sopravanza però ed eccede l’Africa e l’Asia in tutte le cose.[48]

In secondo luogo, in linea con le coordinate münsteriane, Giambullari si concentra sulla fisionomia continentale dell’Europa, fulcro della ricostituita realtà imperiale, rispetto alla caratterizzazione più mediterranea dell’originario Impero romano.[49] In questa direzione perciò l’autore dedica la sua attenzione alla Scandinavia, regione ignota o marginale rispetto al mondo ellenistico-romano, ma divenuta centrale nelle dinamiche storiche medievali. Da un lato, Giambullari offre un accurato profilo geografico della Scandinavia, evidenziandone la ricchezza e l’abbondanza di risorse.[50] Dall’altro, individua nelle terre scandinave, secondo il mito della “vagina gentium”, formulato nelle pangermaniche Germaniae Exegeseos di Irenicus, allievo di Melantone, il luogo d’origine dei sovrabbondanti popoli germanici che hanno dissolto l’Impero romano d’Occidente.[51]

Questi stessi popoli poi, una volta stabilitisi nelle terre germaniche, hanno rappresentato il fulcro della rinascita franco-germanica del potere imperiale. Nel merito, Giambullari riprende la descrizione delle terre e delle popolazioni germaniche, proposta nelle Res Germanicae di Beatus Rhenanus, umanista di origini alsaziane di ispirazione erasmiana, che insieme a Sebastian Münster forma a Basilea un affiatato tandem in materia geografica.[52]

Nel contempo, il letterato fiorentino dà ampio risalto, ancora sulla falsariga delle acquisizioni storico-geografiche dell’umanesimo germanico, al contributo essenziale di quelle popolazioni alla coeva civilizzazione ed urbanizzazione europea. In particolare, Giambullari mostra chiaramente la sua convergenza con la revisione del paradigma tacitiano, che evidenziava i caratteri primitivi e selvatici dell’antica Germania, operata dagli umanisti germanici. Prendendo spunto dalla facilità con cui durante il regno di Corrado gli ungheri avevano devastato l’Alsazia, il letterato fiorentino osserva infatti che essi non durarono certo molta fatica, et per non esser allora munito il paese di tante grosse  e belle città, et di tante castella et fortezze, quante a’ nostri tempi vi sono. Con ciò sia che la frequenza della Germania non ebbe tanto la origine sua da Carlo Magno, e da’ discendenti, quanto da gli Ottoni, da gli Arrighi, e da’ Federighi come ampiamente mostra lo Irenico; e dal timore delle prede, incendi e rapine che vi facevano gli ungheri, ogni anno […]. Il che avveniva certamente per manenervisi ancora in parte quella rigidità e salvatichezza rigida e fiera, che si legge in Cornelio Tacito.[53]

L’inapplicabilità del discorso tacitiano all’Europa germanica del Cinquecento, rappresentata da Giambullari è dimostrata al massimo grado proprio dalla città di Basilea. Vittima dell’attacco svolto nel corso del regno di Corrado dagli ungheri che vi si accamparono, in quanto «veniva suso, et cominciava alquanto a distendersi», la città è «hoggi veramente magnifica e ricca» come sottolinea l’autore della Historia, assumendola ad emblema della sviluppata civiltà urbana continentale di matrice germanica.[54]

Ottone I, Carlo V e la Historia incompiut

Il modo in cui Giambullari declina la figura di Ottone ed il suo ordine imperiale nella Historia presenta più di un’attinenza con i paradigmi della “monarchia universale”. Innanzitutto è indicativa l’adesione esplicita dell’autore alla provvidenziale logica della translatio imperii al mondo franco-germanico, sostenuta dalla maggior parte delle fonti medievali e coeve, consultate per la scrittura dell’opera.

Altrettanto provvidenziale risulta la dinamica dell’ascesa della casa di Sassonia alla dignità imperiale ed il nuovo ordine continentale determinato dal governo ottoniano. Da un lato, Ottone I esercita al massimo grado la tutela dell’ordine e della giustizia della respublica christiana nel rispetto delle molteplici realtà particolari che la caratterizzano. Dall’altro, Giambullari, attraverso la rappresentazione sacrale del grande imperatore, sembra quasi delineare la possibilità di un suo attivo intervento a salvaguardia del tessuto spirituale della cristianità, in supplenza di un papato che in più occasioni si rivela inadeguato e corrotto. Non lontana dall’afflato inclusivo della monarchia universale appare poi la spinta espansiva con cui il potere ottoniano converte le popolazioni barbare al cristianesimo, allargando i confini politico-spirituali della respublica christiana.

Giambullari perciò propone nella sua opera un esempio concreto di monarchia universale che, pur essendo cronologicamente circoscritto alle dinamiche europee che si svolgono tra l’887 e la metà del X secolo, sembra celare non impercettibili riferimenti alla coeva parabola di Carlo V. In primo luogo, qualche indizio in tal senso lo offre proprio l’impianto geografico della Historia, imperniato sugli umanisti di area germanica, che suggerisce in più di un’occasione un fil rouge tra medioevo e Cinquecento. In secondo luogo, un dato significativo è rappresentato dall’attenzione ricevuta nella Historia dalla lancia di Costantino, con cui, all’indomani della battaglia di Mühlberg del 24 aprile 1547, Tiziano raffigura nel suo celebre ritratto lo stesso Carlo V, trionfatore dei principi smalcaldici.[55]

Inoltre, anche Diego de Mendoza, inviato ambasciatore a Roma, a seguito della vittoria asburgica, per l’aggravarsi dei contrasti dell’imperatore con Paolo III, come ricordato dalla Bonora, instaura un parallelo diretto tra Carlo V ed Ottone in riferimento alla deposizione del pontefice Giovanni XII.[56] Del resto, proprio nel 1547 mentre Giambullari è in piena fase di scrittura dell’opera, il suo principe, il duca Cosimo, si trova ancora in rapporti estremamente tesi con papa Farnese.[57]

Altrettanto indicativa del carattere propositivo del modello delineato dal letterato fiorentino è l’interruzione della scrittura dell’opera, che si verifica negli anni seguenti. A fronte dello sfaldamento del partito filoimperiale italiano nel 1549 e dell’assunzione al pontificato di Giulio III,[58] papa gradito a Cosimo, l’ineffabile Giambullari accantona la sua linea imperiale ed antiromana. Nonostante l’uscita della seconda edizione del Gello nel 1549,[59] l’accademico abbandona altrettanto rapidamente le tesi aramaiche,[60] al di là dei richiami, non privi di distinguo, che Postel, ancora nel De Etruriae regionis editato a Firenze nel 1551, gli dedica.[61]

Soltanto alcuni anni più tardi, e precisamente, stando a quanto testimoniato dall’amico Cosimo Bartoli, sul finire della sua vita nel 1555, Giambullari riprende a lavorare alla sua Historia.[62] Propizia a tale scelta è probabilmente l’ascesa al soglio pontificio nel maggio di Paolo IV, acerrimo nemico di Cosimo.[63] La morte, sopraggiunta in agosto, impedisce tuttavia a Giambullari di completare l’opera, che rimane incompiuta al settimo libro.

Essa uscirà, grazie allo stesso Cosimo Bartoli, nell’edizione veneziana del 1566, risultando però vittima di un lungo silenzio, protrattosi fino alla sopraggiunta fortuna editoriale ottocentesca.[64] Già al momento dell’edizione veneziana, del resto, la cifra antiromana della Historia dell’Europa appare ormai inconciliabile con la rinnovata intesa stretta dalla Firenze cosimiana con la chiesa postridentina.[65] Né probabilmente meno anacronistica risulta la proposta di Giambullari rispetto alla tendenza con cui, nel passaggio dal Cinque al Seicento, le idee universaliste si rimodulano in modo gradualmente più autonomo dai paradigmi medievali.[66]

Note

[1] Sul mito della monarchia universale con particolare riguardo alla reviviscenza delle sue suggestioni suscitata da Carlo V, si rimanda a F.A. Yates, Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Einaudi, Torino, 1978 (trad. it.; London, 19751), pp. 5-36; F. Rosbach, Monarchia Universalis. Storia di un concetto cardine della politica europea (secoli XVI-XVIII), Vita e pensiero, Milano, 1998 (trad.it.; Göttingen, 19881), pp. 32-75; M. Rivero Rodriguez, Italia, chiave della Monarchia universalis, in G. Galasso, A. Musi, (a cura di), Carlo V, Napoli e il Mediterraneo, Società Napoletana di storia patria, Napoli, 2001, pp. 275-88 e L. Scuccimarra, I confini del mondo. Storia del cosmopolitismo dall’Antichità al Settecento, il Mulino, Bologna, 2006, pp. 239-46. Inoltre, sulla centralità della simbologia e dei motivi della monarchia universale associati a Carlo V, in particolare in virtù dell’opera del suo cancelliere Mercurino da Gattinara cfr. R.A. Boone, Mercurino di Gattinara and the Creation of the Spanish Empire, Pickering & Chatto, London, 2014, pp. 25-58.

A livello generale su Carlo V, oltre all’insuperata biografia di K. Brandi, Carlo V, introduzione di F. Chabod, con un saggio di W. Reinhard, Einaudi, Torino, 2001 (München, 19371; ed. it. 19611), cfr. P. Merlin, La forza e la fede: vita di Carlo V, Laterza, Roma-Bari, 2004; A. Kohler, Carlo V, Salerno ed., Roma, 2005 (trad. it.; München, 19991) e M. Valente, Carlo V: l’anello, la croce, la spada, Edises, Napoli, 2013.

[2] E. Bonora, Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V, Einaudi, Torino, 2014.

[3] F. Vitali Pierfrancesco Giambullari e la prima Storia d’Europa dell’età moderna, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 15-30.

[4] Sull’Accademia fiorentina e sulla politica culturale di Cosimo I basti rinviare ai classici studi di M. Plaisance, Une première affirmation, de la politique culturelle de Còme Ier: la transformation de l’académie des « humidi» en académie florentine (1540-1542) e Id., Culture et politique à Florence de 1542 a 1551: Lasca et les Humidi aux prises avec l’Académie Florentine, in A. Rochon (a cura di), Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de la Renaissance, 2 voll., Université de la Sorbonne Nouvelle, Paris, 1973-74, rispettivamente vol. I, 1973, pp. 361-438, e vol. II, 1974, pp. 149-242.

[5] V. Arrighi, Eleonora de’ Toledo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Giovanni Treccani, Roma, 1993, vol. XLII, pp. 437-44.

[6] M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Einaudi, Torino, 1997, pp. 311-60 e E. Bonora, Aspettando l’imperatore, cit., pp. 106-10 e 129-31. Sul fuoriuscitismo fiorentino basti rinviare a P. Simoncelli, Florentine Fuorusciti at the Time of Bindo Altoviti, in A. Chong, D. Pegazzano, D. Zikos (eds.), Raphael, Cellini and a Renaissance Banker. The Patronage of Bindo Altoviti, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston, 2003, pp. 285-327; Id., Fuoriuscitismo repubblicano fiorentino 1530-54, vol. I, 1530-37, Franco Angeli, Milano, 2006 e S. Dall’Aglio, L’assassino del duca. Esilio e morte di Lorenzino de’ Medici, Olschki, Firenze, 2011, in particolare pp. 90-109 e 121-132.

[7] Copia d’una lettera di M. Pier Francesco Giambullari, al molto magnifico M. Giovanni Bandini Oratore dello Illustriss. Signor Duca di Firenze appresso la Maestà Cesarea, in Apparato et feste nelle noze dello Illustrissimo Signor Duca di Firenze, et della Duchessa Sua Consorte, con le sue stanze, Madrigali, Comedia, et Intermedij, in quelle recitati, per Benedetto Giunta, impressa in Fiorenza, 1539 (di 29 d’Agosto), pp. 3-36 sulle cui inflessioni medicee, dantesche e filoimperiali cfr. M.A. Watt, Veni, sponsa. Love and Politics at the Wedding of Eleonora di Toledo, in The Cultural World of Eleonora di Toledo, Duchess of Florence and Siena, edited and with an introduction by K. Einsenbichler, Ashgate, Aldershot, 2004, pp. 28-29.

[8] In proposito F. Vitali, Pierfrancesco Giambullari, cit., pp. 37-43.

[9] Il Gello di m. Pierfrancesco Giambullari, Anton Francesco Doni, in Fiorenza, 1546 (d’ora in poi P. Giambullari, Il Gello).

[10] Su Guillaume Postel basti rinviare preliminarmente a A. Rotondò, „Guillaume Postel a Basilea”, in Id., Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, Giappichelli, Torino, 1974 (già in Critica storica, X, 1973, pp. 114-59), pp. 117-59; M.L. Kuntz, Guillaume Postel: prophet of the Restitution of All Things: his life and thought, Nijhoff, The Hague, 1981; Ead., „Guillaume Postel and the World State: restitution and the universal monarchy”, Part I, in History of European Ideas, vol. IV, n. 3, 1983, pp. 299-323 e ibid., n. 4, Part II, pp. 445-64; Ead., „Storia, progresso e l’utopia nel pensiero di Postello”, in G. Tarugi (a cura di), Validità perenne dell’umanesimo. Angelo Cini de’ Ambrogini e la universalità del suo umanesimo, Olschki, Firenze, 1986, pp. 157-73; F. Secret, I cabbalisti cristiani del Rinascimento, trad. it. a cura di P. Zoccatelli, Edizioni Arkeios, Roma, 2001 (Parigi, 19641), pp. 167-209.

[11] Su Theodor Bibliander si veda L. Felici, Profezie di riforma e idee di concordia religiosa: visioni e speranze dell’esule piemontese Giovanni Leonardo Sartori, Olschki, Firenze, 2009, pp. 178-205; Ead., „Ai confini della Respublica Christiana. La visione irenica di Theodor Bibliander”, in C. Hermanin e L. Simonutti (a cura di), La centralità del dubbio. Un progetto di Antonio Rotondò, 2 voll., Olschki, Firenze, 2011, vol. II, pp. 899-921.

[12] In proposito P. Simoncelli, La lingua di Adamo: Guillaume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Olschki, Firenze, 1984, pp. 33-72. Per i diversi livelli dei rapporti tra Giambullari e Postel, con particolare riguardo al piano cabalistico, si vedano G. Vasoli, „Postel e il «mito dell’Etruria»”, in Id., La cultura delle corti, Cappelli, Bologna, 1980, pp. 198-218 e le considerazioni e le ipotesi formulate da G. Blum, Provvidenza e progresso: la teologia della storia nelle Vite Vasariane. Con alcune considerazioni su periodizzazione e paginatura nella Torrentiniana, in K. Burzer, C. Davis, S. Feser, A. Nova (a cura di), Le Vite del Vasari. Genesi, topoi, ricezione, Marsilio, Venezia, 2010, pp. 139-40; cfr. inoltre P. Simoncelli, „Jacopo da Pontormo e Pierfrancesco Riccio. Due appunti”, in Critica Storica, XVII, 1980, pp. 347-48.

[13] Sul quale si veda M. McLean, The Cosmographia of Sebastian Münster: describing the World in the Reformation, Ashgate, Aldershot, 2007, pp. 11-26.

[14] Hebraica Biblia Latina planeque noua Sebast. Münsteri translatione […], II voll., ex officinae Bebeliana, impensis Michaelis Isingrinii et Henrici Petri, Basileae, 1534-1535. Sulla immediata dipendenza dai capitoli 6-12 della Genesi, ibid., vol. I, 1534, ff. 5v-10v di diversi passaggi di P. Giambullari, Gello, basti rinviare a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 36-37, nota 59.

[15] In proposito si veda la nota esplicativa della profezia di Daniele in Hebraica Biblia, cit., vol. II, 1535, f. 686rv. Per lo sviluppo di questo approccio da parte di Münster anche in seguito cfr. Cosmographiae uniuersalis lib. 6. in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaeque dotes. Regionum. Topographicae effigies […]. Autore Sebast. Münstero, apud Henrichum Petri, Basileae, 1552 (15441), pp. 288-90 e 1025-26.

[16] P. Giambullari, Il Gello, passo a p. 8 ed Hebraica Biblia, cit., vol. I, Genesi, cap. 7, f. 6v.  

[17] P. Giambullari, Il Gello, passo a p. 30 ed Hebraica Biblia, cit., vol. I, Genesi, cap. 11, nota esplicativa c, f. 10v.

[18] P. Giambullari, Il Gello, passo alle pp. 18-19.

[19] Ibid., passo a p. 24 e Ovidio Naso P., De Fastis cum duobus commentariis: Antonii de Fano & Pauli Marsi, opera et impensa solertissimi viri Ioannis Taccuini de Tridino, Impressum Venetiis, 1502, lib. I, ff. IXv, vv. 95-100 e Xr-v, vv. 115-118. Sul punto cfr. anche A. D’Alessandro, Il Gello di Pierfrancesco Giambullari mito e ideologia nel principato di Cosimo I, in La nascita della Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario dalla morte di Cosimo I de’ Medici, Olschki, Firenze, 1980, pp. 85-86.

[20] P. Giambullari, Il Gello, pp. 69-70.

[21] Hebraica Biblia, cit., vol. I, ff. 133v-134r.

[22] Ibid., f. 6r: «Noah vero invenit gratiam in oculis domini».

[23] G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, III voll., Guanda, Parma, 1990-1991, nel vol. I, lib. VII, cap. 43, pp. 334-335.

[24] P. Giambullari, Il Gello, pp. 68-69.

[25] G. Savonarola, Compendio di rivelazioni. Testo volgare e latino. Dialogus de veritate prophetica, a cura di A. Crucitti, Belardetti, Roma, 1974, p. 10, e sul punto D. Weinstein, Savonarola e Firenze. Profezia e patriottismo nel Rinascimento, il Mulino, Bologna, 1976 (trad. it.; Princeton 19701), pp. 82-83 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 91-92. Inoltre sul profetismo filofrancese e repubblicano di Savonarola cfr. S. Dall’Aglio, Savonarola in Francia. Circolazione di un’eredità politico-religiosa nell’Europa del Cinquecento, Aragno, Torino, 2006, pp. 9-73.

[26] P. Giambullari, Il Gello, p. 70. Sul mito della ricostruzione di Firenze ad opera di Carlo Magno e sulla sua ripresa nelle file savonaroliane si veda D. Weinstein, Savonarola e Firenze. Profezia e patriottismo nel Rinascimento, cit., pp. 52-53 e 71-72.

[27] Per la datazione della scrittura dell’opera si vedano i riferimenti sia alla già conclusa scrittura del Gello sia al 1547 in Historia dell’Europa di m. Pierfrancesco Giambullari, gentil’huomo et accademico fiorentino […], appresso Francesco Senese, in Venetia, 1566 (d’ora in poi P. Giambullari, Historia), rispettivamente in lib. I, f. 16r e nel lib. V, f. 106v. Invece per un precedente parziale manoscritto relativo ai primi due libri e per un alcune considerazioni sulle significative varianti della versione a stampa cfr. F. Vitali, Pierfrancesco Giambullari, cit., pp. 69-73.

[28] P. Giambullari, Historia, lib. I, 1rv.

[29] Ibid., lib. I, f. 13r.

[30] Sulla casa di Sassonia cfr. almeno H. Keller, Gli Ottoni. Una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc. X e XI), Roma, Carocci, 2012 (trad.it.; München, 20011).

[31] P. Giambullari, Historia, lib. IV, f. 83r.

[32] Ibidem; per il giudizio estremamente negativo espresso in proposito da Giambullari sul governo di Arnolfo cfr. lib. II, f. 33rv, mentre in relazione all’operato di Lodovico lib. II, f. 47v.

[33] Widukindus, Res saxonicae gestae, in Vithichindi Saxonicarum rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutis 800. usque ad praesentem aetatem: […], apud Io. Hervagium, Basileae, 1532.

[34] P. Giambullari, Historia, lib. III, per l’intero racconto del complotto posto in essere da Attone ff. 53v-54r, passo cit. in f. 53v, cfr. Widukindus, Res saxonicae, cit., lib. I, p. 11.

[35] P. Giambullari, Historia, lib. III, ff. 73v-74v e Widukindus, Res saxonicae, cit., lib. I, p. 12.

[36] Su Liutprando basti rinviare a G. Gandino, Il vocabolario politico e sociale di Liutprando da Cremona, Istituto storico Italiano per il Medioevo, Roma, 1995, pp. 7-9.

[37] P. Giambullari, Historia, lib. V, f. 110rv, che si ispira a Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae Rerum ab Europae Imperatoribus ac regibus gestarum, historiae (d’ora in poi Liutprando, Antapodosis), in Vitichindi Saxonicarum rerum, cit., lib. IV, cap. 12, pp. 280-81.

Sullo scontro di Riade con gli ungheri P. Giambullari, Historia, lib. V, ff. 111v-112v e Widukindus, Res saxonicae, cit., lib. I, p. 19.

[39] P. Giambullari, Historia, lib. VII, ff. 153r-154v e Widukindus, Res saxonicae, cit., lib. II, pp. 31-32.

[40] Ibidem, Historia, lib. VI, ff. 141rv, che riprende le Saxonis Grammatici Danorum historiae libri XVI, apud Io. Bebelium, Basileae, 1534, lib. X, ff. 91v-92v 

[41] Ibidem , Historia, lib. VI, f. 126r-137v.

[42] Basti in proposito rinviare al severo giudizio espresso da Giambullari su Carlo il Semplice, figlio di Carlo il Grosso, ed allargato, sulla falsariga di Paolo Emilio, a molti successori del grande Carlo Magno in Historia, lib. III, f. 62r e Pauli Aemylii Veronensis, De rebus gestis francorum […], Michël Vascosanus et Galeoto a Prato, Parisiis, 1544 (15171), lib. III, f. 60r.

[43] P. Giambullari, Historia, lib. VI, ff. 154v-155r cfr. e Compendium Roberti Ganguini super francorum gestis, impressit calcographus Bertholdus Rembolt, Parisiis, 1511 (14951), lib. V, f. 77r.

[44] P. Giambullari, Historia, lib. I, f. 25rv su Stefano VI, mentre su Giovanni XI, si veda il lib. IV, ff. 86r-87r, passo in f. 86v e cfr. Liutprando, Antapodosis, lib. III, cap. 12, pp. 267-68.

[45] Ibidem, Historia, lib. IV, in particolare sulla deposizione di Giovanni XII, capp.  6-11, pp. 304-13.

[46] Ibid., lib. IV, ff. 88v-89r, con cui cfr. Storia fiorentina di Ricordano Malispini col seguito di Giacotto Malispini dalla edificazione di Firenze sino all’anno 1286. Ridotta a miglior lezione e con annotazioni illustrata da Vincenzo Follini bibliotecario della pubblica libreria magliabechiana e accademico residente della Crusca, Multigrafica, Roma, 1976, (rist. anastatica; Firenze 18161), capp. 29-30, pp. 24-25.

[47] Geographia universalis vetus et nova complectens Claudii Ptolomaei alexandrini enarrationis libros VIII […], opera Sebastiani Münstero novo paratae modo, […], apud Henrichum Petrum, Basileae, 1540. Giambullari menziona l’edizione münsteriana nella lezione dantesca del 1541 Del sito del Purgatorio. Lezione letta nel consolato di Giovanni Strozzi, in Lezioni di messer Pierfrancesco Giambullari, aggiuntovi l’origine della lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, per Giovanni Silvestri, Milano, 1827 (già pubblicata in Lettioni d’Accademici fiorentini sopra Dante, libro primo, Anton Francesco Doni, Firenze, 1547, pp. 82-96), p. 8.

[48] P. Giambullari, Historia, lib. I, f. 2rv e Geographia universalis, cit., p. 269 (numerata a mano). Per un profilo assai simile cfr. anche Cosmographia universalis, cit., lib. II, p. 41. Sul concetto dell’immanenza della provvidenza nella fisionomia geografica negli scritti di Münster si veda M. Mclean, The Cosmographia of Sebastian Münster, cit., p. 323.

[49] P. Giambullari, Historia, lib. I, f. 2v.

[50] Ibid., lib. I, f. 11r e Geographia universalis, cit., p. 313 (numerata a mano).

[51] Germaniae exegeseos volumina duodecima a Francisco Irenico […], Thomae Anshelmi, Hagenoae, 1518, lib. I, capp. 11-13, ff. 21r-22r.

[52] P. Giambullari, Historia, lib. II, ff. 30r-32v e Beati Rhenani Selestadiensis Rerum germanicarum libri tres […], in officina Frobeniana, Basileae, 1531, lib. I, pp. 9, 11-18, 23, e ibid., lib. III, pp. 159-62. Sul tandem costituito da Renano con Münster e sull’importanza dell’alsaziano quale fonte della Cosmographia cfr. M. McLean, The Cosmographia of Sebastian Münster, cit., pp. 236-38. Inoltre su Rhenanus cfr. F. Mundt, Beatus Rhenanus: Rerum Germanicarum libri tres (1531): Ausgabe, Ubersetzung, Studien, Niemeyer, Tübingen, 2008, pp. 425-638.

[53] P. Giambullari, Historia, lib. III, ff. 54r-v e Germaniae exegeseos, cit., lib. IX, cap. 18, ff. 191v-192r. Cfr. in proposito anche Geographia universalis, cit., lib. f. 14r (numerata a mano).

[54] Id., Historia, lib. III, f. 58rv e Beati Rhenani Selestadiensis Rerum germanicarum, cit., lib. III, pp. 138-39.

[55] A. Kohler, Carlo V, cit., p. 112.

[56] E. Bonora, Aspettando l’imperatore, cit., pp. 175-76.

[57] M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 323-27 e E. Bonora, Aspettando l’imperatore, cit., pp. 213-16.

[58] Ibid., pp. 247-71.

[59] Origine della lingua fiorentina, altrimenti il Gello di m. Pierfrancesco Giambullari accademico fiorentino, appresso Lorenzo Torrentino, in Fiorenza, 1549. Sul nuovo clima instaurato tra Roma e Firenze con l’elezione di Giulio III cfr. M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 359-79.

[60] In proposito cfr. P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 76-88.

[61] De Etruriae regionis, quae prima in orbe Europaeo habitata est, Originibus, Institutis, Religione et Moribus […], Gulielmi Postelli Commentatio, Lorenzo Torrentino, Florentiae, 1551. In proposito C. Vasoli, Postel e il «mito dell’Etruria», cit., e G. Cipriani, Introduzione a G. Postel, De Etruriae regionis. Originibus, institutis, religione et moribus, testo, introduzione, note e commento a cura di G. Cipriani, Consiglio nazionale delle ricerche, Roma, 1986, pp. 11-23. Sulle differenze non impercettibili che, pur nell’ambito delle convergenze palesate dal De Etruriae si riscontrano tra Postel e Giambullari basti rinviare a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 89-98.

[62] Cosimo Bartoli a Cosimo, da Venezia, 12 settembre 1566, in P. Giambullari, Historia, (folio non numerato): «Ma non aveva ancora finito di quella il settimo libro, che fu da Dio chiamato a miglior vita. Dolutosi non di meno prima più volte meco di non le havere potuto dare quel fine che aveva desiderato, non tanto per lasciare di sé qualche memoria, quanto che per giovare, secondo però che potevano le forze sue; et alla età nella quale egli si ritrovava, et a posteri ancora de futuri secoli».

[63] Sulla politica anticosimiana ed antiasburgica di Paolo IV cfr. almeno A. Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Le Lettere, Firenze, 1999 (Città di Castello, 19901), pp. 56-69 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 380-93.

[64] Sull’oblìo e sulla fortuna editoriale ottocentesca dell’opera si veda G. Galasso, „Alle origini delle ˂˂Storie d’Europa˃˃”. L’Istoria del Giambullari, in M.A. Visceglia (a cura di), Le radici storiche dell’Europa. L’età moderna, Viella, Roma, 2007, pp. 175 e 183.

[65] Sul punto cfr. G. Spini, Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei, in G. Garfagnini (a cura di), Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del 500, 3 voll., Olschki, Firenze, 1983, vol. I, pp. 192-201 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 393-403.

[66] In proposito R. De Mattei, „Polemiche secentesche italiane sulla ˂˂Monarchia universale˃˃”, in Archivio Storico Italiano, CX, n. 2, 1952, pp. 145-51; Id., „Il mito della Monarchia Universale nel pensiero politico italiano del Seicento”, in Rivista di studi politici internazionali, XXXII, n. 4, 1965, pp. 531-50 e F.A, Yates, Astrea, cit., pp. 39 e ssg.; F. Rosbach, Monarchia Universalis, cit., pp. 77-101 e L. Scuccimarra, I confini del mondo, cit., pp. 246-81.

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HEBRAICA BIBLIA LATINA planeque noua Sebast. Munsteri translatione, post omneis omnium hactenus ubiuis gentium aeditiones euulgata, & quoad fieri potuit, Hebraicae veritati conformata: adiectis insuper e Rabinorum commentariis annotationibus haud poenitendis, pulchre & voces ambiguas, & obscuriora quaeque elucidantibus. Prior hic tomus habet Mosaicos libros quinque, Iehosuam, Iudicum, Samuelis lib. duos, Regum lib duos, 2 voll., ex officinae Bebeliana, impensis Michaelis Isingrinii et Henrici Petri, Basileae, 1534-35.

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