Coordonat de Gabriella FALCICCHIO & Viorella MANOLACHE
Volum IV, Nr. 3 (13), Serie nouă, iunie-august 2016
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The load of Alex, between prophecy and politics
Mao VALPIANA
Abstract: This essay outlines a profile of Alexander Langer, son and master of the European nonviolent tradition, tireless activist in ecological and intercultural field, member of the European Parliament. He fulfills the nonviolent legacy and translates it into daily political action. Alex is a fine intellectual – with a franciscan education – uses ideas and words not to create new ideas and words, but to change reality, get to act, amend politics, meet and join people, achieve tangible projects. His legacy is one of the most meaningful witnesses of nonviolence persuasion.
Keywords: Alexander Langer, prophecy, politics, ecology, intercultural dialogue.
Una personalità nonviolenta
Alexander Langer (1946-1995) è stato un geniale intellettuale europeo che ha saputo varcare frontiere, saltare muri, costruire ponti. Impegnato fin da giovanissimo per la convivenza interetnica nella sua regione Alto Adige/Südtirol, è stato promotore di infinite iniziative per la pace fra gli uomini e con la natura.
Nel movimento ecologista e pacifista Langer ha partecipato a un intenso dialogo di ricerca con la cultura della sinistra, dell’area radicale, dell’impegno cristiano e religioso, delle nuove spiritualità, di aree non conformiste e originali e di movimenti non compresi nell’arco canonico della politica.
La scelta nonviolenta, laica e religiosa insieme, è decisiva nella biografia di Alexander Langer, non ideologica, ma sempre messa alla prova del confronto con la realtà più complessa e contraddittoria. In un suo scritto ha auspicato l’ampliamento del settore “ricerca e sviluppo” della nonviolenza: i laboratori nei quali Alex ha lavorato sono stati molti, dal Sudtirolo, nel 1968, fino alla Bosnia, nel 1995.
Erano presenti in lui una vocazione innata e una naturale dimestichezza con i principi base di una personalità nonviolenta e non a caso nel 1961 (a soli 15 anni) scelse come nome per il suo primo giornalino scolastico „Offenes Wort”, Parola aperta, un titolo che oggi ci richiama con forza quell’idea religiosa di “apertura” che è alla base del pensiero nonviolento di Aldo Capitini, il quale in quello stesso anno dava vita alla prima Marcia Perugia-Assisi. Anche il secondo periodico fondato da Langer nel 1967, „Die Brücke”, Il Ponte, portava un nome che si rifà alla cultura nonviolenta dell’incontro e del dialogo.
Non è ancora ventenne quando con un gruppo di amici vuole farsi un’idea di come potrebbero andare le cose in Sudtirolo per un futuro di convivenza e rispetto, nella conoscenza reciproca di lingue e culture. È nel corso di questa ricerca che Alexander Langer, con una solida formazione cristiana alle spalle (“leggo, rifletto, prego, mi impegno”) inizia ad entrare in contatto con le realtà organizzate della nonviolenza italiana.
Si trasferisce a Firenze per gli studi universitari dal 1964 al 1967, ed è un momento formativo di grande rinnovamento ed apertura. Nella sua autobiografia “Minima personalia”, scrive: Incontro Giorgio La Pira, mio professore; Ernesto Balducci, che ogni settimana tiene una lezione sul Concilio, al cenacolo. L’incontro più profondo è con Don Milani e la sua scuola di Barbiana, per la quale insieme ad una vecchia ebrea austro-boema, Marianne Andre, tradurrò in tedesco Lettera ad una professoressa (pubblicata nel 1970).
È in quel periodo che, pur essendo in Germania per un dottorato, prende contatto diretto con il Movimento Nonviolento, per poter avere maggiori indicazioni sulla esatta situazione degli obiettori di coscienza in Italia. Gli effetti di questo contatto non si fanno attendere e nello stesso anno Alex organizza a Bolzano una dimostrazione pacifista, contro le celebrazioni del 4 novembre 1968 che ricordano il cinquantesimo anniversario della “vittoria” della prima guerra mondiale, per la quale verrà fermato e identificato in questura.
Visione europea
La prima volta che sentii parlare di Langer, fu per via della sua “obiezione” al censimento etnico del 1981. Incuriosito ed ammirato da quanto stava accadendo in Alto Adige, proprio grazie al laboratorio politico della lista inter-etnica alternativa, sono andato a Bolzano, e lì l’ho intervistato per la prima volta. Il tema era il movimento pacifista tedesco, all’epoca il più forte in un’Europa ancora divisa. Durante quel colloquio Alex ha voluto essere informato con precisione sulle persone e le iniziative del Movimento Nonviolento, ed era felice di aver “ritrovato” Azione nonviolenta. È nata un’amicizia, ed è così che con lui ho fatto un lungo cammino, durato gli ultimi dieci anni della sua vita, dalla campagna Nord/Sud del 1988, al convegno “Sviluppo? Basta! A tutto c’è un limite” del 1990, dalla Carovana Trieste-Sarajevo del 1991, al VeronaForum del 1993, e in mezzo la lunga avventura verde, dalle speranze della nascita di un grande movimento trasversale (1985), fino alle delusioni della trasformazione in piccolo partito imploso (1995).
Alex è stato anche, dal 1982, attivo compagno nella campagna di obiezione fiscale alle spese militari, e ha partecipato personalmente all’acquisto dei terreni della Verde Vigna a Comiso per impedire l’espansione della base militare che doveva ospitare i missili nucleari Cruise. Nel 1988 abbiamo partecipato ad un convegno in Brasile, a Manaus. Ci interessava capire quella realtà per riportare in Italia elementi utili alla Campagna Nord-Sud che voleva far conoscere all’opinione pubblica il dramma ambientale e sociale che stava vivendo l’Amazzonia: “L’ecologia non è un lusso dei ricchi, ma una necessità dei poveri” fu il messaggio centrale del suo intervento. Da quel convegno prese avvio anche l’idea per la campagna del 1992 in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dello sbarco degli europei in America, con un’altra sua intuizione: “Dare voce ai conquistati e dare voce agli obiettori di coscienza e disertori nelle file dei conquistatori”. Aveva la capacità di offrire sempre un punto di vista inusuale, per comprendere meglio la realtà.
Dopo il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, vennero gli anni difficili della prima guerra del Golfo nel 1990-91 e poi la crisi Jugoslava, fino all’assedio di Sarajevo (L’Europa muore o rinasce a Sarajevo). Alex muore pochi giorni prima del genocidio di Srebrenica, la peggior mattanza etnica dopo la seconda guerra mondiale.
Ma prima di andarsene ha fatto in tempo a lasciarci la sua visione di Europa, che oggi rischiamo di lasciar morire nel mare dell’egoismo, dei nazionalismi, di nuove frontiere.
Scrisse nel 1995: C’è un altissimo bisogno, in Europa e nel mondo, di esempi positivi, di strade che portino all’integrazione, alla democrazia, alla pace, alla giustizia sociale ed ecologica. L’Unione sia un esempio positivo, e che lo sia senza scaricarne i costi ed i pesi sugli altri. Un’Europa fraterna ed ospitale, la cui legittimità e credibilità è affidata in primo luogo al consenso dei cittadini: a coloro che scelgono l’integrazione piuttosto che la disintegrazione, l’unità politica e non solo il grande mercato, la giustizia sociale e l’ambiente più che la crescita e la competizione.
Intellettuale militante
Fu difficile per lui coniugare tensione ideale e realismo politico (“troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”). La nonviolenza ha bisogno sia di profezia e di politica. Alex ha saputo attraversare cariche prestigiose senza rimanere invischiato nelle sabbie mobili del potere ed ha trattato alla pari con capi di stato senza mai tradire la sua vocazione francescana. È stato profeta e politico.
Il suo motto è stato lentius, profundius, suavius, “più lentamente, più in profondità, con più dolcezza”. Il suo ultimo messaggio “continuate in ciò che era giusto”.
Ripercorrere l’esperienza di Alexander Langer ci permette di seguire un itinerario di vita pieno di incontri e di avventure; trent’anni di storia attraverso i luoghi cruciali d’Italia e d’Europa.
La sua formazione giovanile (a scuola dai francescani di Bolzano), e la sua scelta di aderire alla religione cattolica, riemerge in ogni passaggio cruciale della sua vita (e anche della sua morte); le citazioni bibliche ed evangeliche sono le uniche citazioni che si concede; per il resto il suo è un pensiero originale, che certamente assorbe molto dalla sua vasta cultura, ma che riesce sempre a fare sintesi e rielaborare pensieri e intuizioni nuove. Alex è un fine intellettuale che usa idee e parole non per creare nuove idee e nuove parole, ma per modificare la realtà, per spingere all’azione, per cambiare la politica, per mettere in contatto le persone, per realizzare progetti concreti. Così che anche i suoi scritti migliori, persino quelli della tensione poetica, sono stati partoriti sempre per una finalità ben precisa, indirizzati ad uno scopo sociale. I suoi scritti, anche se hanno un valore assoluto, che li rende attualissimi ancor oggi, sono in realtà sempre riferiti al momento storico in cui sono stati scritti, quasi sempre su richiesta esplicita di chi ne aveva bisogno per un’iniziativa contingente.
Una presenza viva
A ventuno anni dalla sua disperata dipartita, sentiamo ancora intatta la nostalgia e anche il vuoto lasciato dalla sua assenza. Non c’è incontro, riunione, convegno, assemblea, congresso di movimento dove Alex non venga in qualche modo ricordato, citato, rimpianto. Ci manca. Ma lo sentiamo anche fortemente vicino, compresente. Alla domanda ricorrente “perché?”, non ci può essere risposta, ma ognuno di noi un senso a quella morte lo vuole dare: forse a schiacciarlo è stato il troppo amore, la troppa compassione, il farsi carico senza limite dei pesi altrui. Come il suo amato San Cristoforo, Alex aveva preso sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, ma ancor prima della fine della traversata si è accorto che aveva accettato il compito più gravoso della sua vita, e che doveva mettercela tutta, con un estremo sforzo, per arrivare di là. Non ce l’ha fatta, Alex, a concludere la traversata del fiume, stanco e oberato ha religiosamente accettato il suo calvario; ma la preziosa eredità di idee ed azioni che ha lasciato, oggi la ritroviamo sparsa ovunque, persino nell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”.
La figura di Langer oggi piace molto ai giovani. Lo sentono attuale, vero, coerente. Offre loro un’idea di politica diversa e bella rispetto alla decadenza e alle miserie che hanno visto negli ultimi decenni. La forza di Alex sta nel fatto che viveva coerentemente con ciò che diceva.
Convinto e convincente
Nel suo Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica, al punto 9 scrive (e sembra davvero scritto per noi oggi)
Una necessità si erge pertanto imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che – se tollerato – rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili. Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza.
Il convinto e convincente no alla violenza è per me una definizione essenziale della nonviolenza.
Langer descrive e interpreta la nonviolenza senza mai nominarla esplicitamente. Di sicuro è una scelta voluta e motivata. La ricerca di strumenti efficaci per la convivenza interetnica, ha portato alla nonviolenza, il cui cuore sta proprio nel rifiuto della violenza. No alla violenza, dice Langer. E non aggiunge altro. Non ha bisogno di specificare “senza se e senza ma”, o – come più probabilmente avrebbe fatto – “con tanti se e tanti ma”. Dice solo “no alla violenza”, e tutti capiscono cosa significhi. È un no chiaro e deciso. Ma deve essere anche “convinto e convincente”.
Convinto. Chi rifiuta la violenza deve aver fatto un percorso interiore, deve esserne intimamente convinto, persuaso direbbe Capitini, deve rifiutare innanzitutto la propria violenza, quella che viene da dentro di sé, prima di poter ripudiare quella esterna, quella degli altri.
Convincente. Il rifiuto della violenza non può essere uno slogan, una bandiera, un precetto. Diventa un messaggio convincente solo se chi lo riceve ne vede l’utilità, ne capisce l’importanza decisiva. Diventa convincente un messaggio di cui si vede l’efficacia, oltre alla bontà della testimonianza.
Se si è convinti si riesce ad essere convincenti. E si è convincenti solo se si è davvero convinti.
Alex era un convinto della nonviolenza, nella parola e nell’azione, e perciò ancor oggi la sua testimonianza è convincente.
Una buona politica
Nell’azione e nella pratica politica Alex Langer ha cercato di creare un legame diretto tra impegno sociale e impegno nelle istituzioni pubbliche. La politica in Langer è uno strumento umano per prendersi cura del luogo dove viviamo, di ciò che appartiene a tutti. La politica si deve occupare delle regole dello stare insieme, di come le comunità accettano che i tanti non possano sopprimere il desiderio individuale e di come questo convive, dialoga, accetta e trova una mediazione con le regole per tutti. La politica è l’arte della relazione umana e della ricerca della libertà, è la risposta al nostro bisogno di vita e cultura, risponde alla necessità di discutere il nostro desiderio con il desiderio degli altri. Un lavoro politico quotidiano di cura e responsabilità, un’indispensabile pratica di ascolto e partecipazione.
Langer preferiva la parola conversione piuttosto che rivoluzione, noi oggi preferiamo la riparazione al cambiamento. O meglio, constatiamo che il cambiamento abbia necessariamente bisogno di una riparazione del passato, dei luoghi dove viviamo, delle relazioni umane, della vita sulla terra. Tutto questo è necessario prima di dedicarsi al nuovo. Il nuovo, soprattutto in politica, troppo spesso butta via in modo inconsapevole le cose buone del passato e la sua memoria. Dobbiamo mettere cura a ciò che non funziona passando dall’esperienza che l’ambientalismo ha fatto in questi decenni; desideriamo collocare l’esperienza ambientalista, interpretata da Langer, al centro della risposta di benessere e libertà e non più solo come domanda di denuncia e malessere.
Vogliamo “elogiare la politica” proprio quando la maggior parte la ritiene un errore, una cosa sporca, un necessario peccato. Vogliamo elogiarla come necessità della convivenza e del confronto, come strumento che cerca le soluzioni e condividere il bene di tutti, che si confronta e decide nel rispetto delle minoranze e partendo proprio dalle idee meno rappresentate, da chi sembra il meno forte. Riteniamo che senza politica la vita sia peggiore così come le scelte che devono essere fatte dalle comunità umane. Non siamo in controtendenza, siamo una forte tendenza alla ripresa dei processi di partecipazione popolare, alla condivisione dei diversi punti di vista, all’accoglienza delle diversità, alla tolleranza e alla comprensione dei “diversi noi tra di noi”. Siamo dalla parte della nonviolenza come metodo di lavoro in politica perché si ottengono più risultati, non si fanno vittime, si aprono più occasioni di gioia, si comprendono più opinioni e migliori soluzioni.
Una vita semplice
Nell’era della politica globale è la scelta locale a fare la differenza: per praticare la politica bisogna scegliere un luogo, affrontare un territorio, farsi carico delle contraddizioni. Per questo noi pensiamo all’Europa, al suo futuro destino, a come riparare la scommessa di pace che ora non è più capace di affrontare i cambiamenti con speranza, che può chiudersi in sé in modo egoistico e fazioso, che può estromette e rifiutare. Nell’orizzonte Euro-mediterraneo le differenze diventano la prova della futura convivenza e delle scelte di inclusione, non si scappa da questo mare intimo, popolato, ricco della nostra storia. Non sarà facile ma nulla ormai è come prima e dobbiamo accettare la sfida per riparare il futuro dell’Europa e del Mediterraneo.
Dobbiamo affrontare la politica con una “vita semplice”. È indispensabile ritrovare un’armonia tra i tempi della natura e i tempi della cultura. Il pericolo dell’auto-referenzialità ci farà perdere l’opportunità di ristabilire un equilibrio tra di noi e la vita sul pianeta. Mettere in gioco il nostro stile di vita, nella relazione con gli altri, stabilirlo nei rapporti con la vita intera è necessario e bisogna farlo con la consapevolezza che la riparazione del mondo avviene con azioni semplici e ripetibili, con quello che siamo, attenti a non alimentare l’invidia e la superbia, lottando contro il cinismo e la politica come scambio di potere. In definitiva diciamo che la libertà sconfigge la paura e apre al coraggio di amare, questa scelta è tutta politica. Ecco allora che la vita semplice deve necessariamente restituire i debiti con la natura, obbedire ai principi della sostenibilità: rigenerazione, ricettività ambientale, sostituzione delle risorse esauribili con quelle rinnovabili. Quanto preleviamo dalla Terra e quanto dobbiamo restituire? È così anche per la politica, dobbiamo rispettare i diversi tempi, della natura e delle diverse culture, solo così potremmo capirci senza perdere la propria identità, dobbiamo più donare che prendere. La democrazia chiede di rappresentare tutti in egual misura, ma oggi c’è anche la necessità di rappresentare la natura, i bisogni del pianeta non monetizzatili che non creano mercato. Per mantenere l’integrità degli ecosistemi anche la politica deve rifarsi al principio di precauzione. Devono essere considerati i limiti nei quali si può decidere con la consapevolezza che le scelte producono un impatto sempre e comunque, effetti negativi che possono essere peggiori della risposta. Per questo devono essere praticate nuove strade, esperienze di “utopia concrete” che già sono vive nella società, a volte poco visibili ma determinanti per la riparazione (riciclaggio dei materiali, agricoltura biologica e di prossimità, manutenzione degli oggetti, cura delle persone in difficoltà, sviluppo delle comunità rurali, cambiamento dello stile di vita nelle città, fonti energetiche rinnovabili, mobilità dolce e via dicendo…).
Dialogo tra generazioni
L’ambientalismo ha sempre parlato di generazioni future, di rispetto della terra avuta in “eredità dai nostri figli”. Oggi, nei fatti, noi siamo in guerra con le generazioni future. Stiamo loro togliendo i diritti, i beni comuni, stiamo avvelenando la stessa terra su cui vivranno. Stiamo loro letteralmente impedendo di vivere bene. Dobbiamo perciò riparare questo mondo anche per fare la pace con il loro futuro. Dobbiamo occuparci delle diverse generazioni in politica, della necessità dello scambio, perché solo così avviene un’educazione alla politica e una risposta adeguata alla necessità di cambiamento. Non si devono rottamare gli oggetti, figuriamoci le persone. Lo scambio intergenerazionale, così come le diverse culture, è l’anima della politica, la sua fonte inesauribile di proposta e soluzioni. Abbiamo il compito di calcolare la nostra impronta ecologica per porre riparo all’esproprio e alla devastazione che stiamo facendo delle risorse del pianeta.
Infine, ci chiediamo dove poter praticare la politica, certo nelle relazioni con le persone che incontriamo, nei luoghi di lavoro, nelle attività comunitarie, ma quale è il luogo per poter fare politica e soprattutto fare una buona politica? Qual è la “casa” della politica? È inevitabile ragionare sul degrado e la perdita d’identità dei partiti che oggi sempre più hanno perso la loro connotazione popolare, abbandonando, con la carica ideologica anche i valori della partecipazione e della rappresentanza. È sempre più difficile per chi vuole occuparsi di bene pubblico aderire ai partiti politici o ai movimenti che chiedono una rappresentanza istituzionale. Per vedere e praticare il futuro dobbiamo “superare le cornici”, uscire dalle contrapposizioni ostili, e fare politica evitando di mettersi in cattedra, di erigere dei muri alla comprensione, di costruire risposte che funzionano sempre, per tutto, indipendentemente dalle sollecitazioni della realtà. Dobbiamo trovare le soluzioni moltiplicando le possibilità di scelta e le opzioni di cambiamento. Come diceva Langer, bisogna essere talpe, per scavare in profondità e giraffe per vedere dall’alto anche con un certo distacco. La gestione dei conflitti è la scommessa della politica capace di dare risposte e costruire opportunità, una democrazia del consenso in alternativa a una democrazia del conflitto. Utilizzare più che la forza la disobbedienza civile quando si trova un ostacolo che si oppone al nostro cammino con violenza. Oggi dobbiamo navigare “fuori dai porti e dalle rotte di partito”, saper rintracciare e praticare nuove modalità di responsabilità e partecipazione politica. Il periodo è appena iniziato e sarà sicuramente ricco di sorprese e nuove modalità di rappresentanza. Cominciamo quindi educandoci alla politica, coinvolgendo le diverse generazioni in una discussione dove la politica non è uno scontro per l’eliminazione dell’avversario ma un incontro di diverse opinioni che dialogano per il meglio. Iniziamo a praticare una politica dell’opportunità attraverso la relazione che si può generare tra allievo e maestro, che si educano reciprocamente. Alex Langer è stato un maestro perché abbiamo saputo riconoscerlo come tale, e già con questo gesto di tenerezza e disponibilità è cambiata la nostra vita.
Bibliography
- VV., “Ciò che era giusto vent’anni dopo”, Azione Nonviolenta, n. 610, 2015.
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LANGER Alexander, “Diario di bordo di un viaggiatore leggero”, in Azione Nonviolenta, n. 610, 2015, pp. 30-35.
Idem, “Il Mediterraneo e l’Europa: cosa si poteva fare…”, in Azione Nonviolenta, n. 610, 2015, pp. 36-37.
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MARZORATI Marzio, VALPIANA Mao (coord.), Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Morciano di Romagna, 2016.