Volume V, Issue 1 (15), New Series, 2017

 Il ruolo degli agenti di emigrazione e delle compagnie di navigazione nei flussi in uscita dall’italia sino alla Prima Guerra Mondiale

 (The role of emigration agencies and shipping companies in outbound flows of italian migrants until  World War I)

 

 

Antonio CORTESE

Maria Carmela MICCOLI

Abstract: The paper deals with the role of migration agencies and shipping companies in outflows originated in Italy until the First World War.

While migration agencies – often criticized for giving misleading promise – provided the necessary support to people seeking better conditions abroad, shipping companies carried a multitude of emigrants to the other sides of Atlantic. The economic segment dealing with the improvement of the national ship-owning industry drew benefit from this activity, as ships were, albeit belatedly, refurbished. Shipping companies also received criticism for their tendency to join in trusts to raise the fare cost.

The situation was remedied by the first organic law on emigration enacted in 1901, which replaced migration agencies with carried representatives and entrusted the Commissariat of Emigration the supervision of freights.

Keywords: emigrations, level of education, regulatory framework, emigration agencies, shipping companies

  1. Premessa

Tra il 1876[1] e il 1915 sono emigrate dal nostro paese 14.027.660 persone. Il 62,5 per cento delle partenze è concentrato negli anni che vanno dai primi del Novecento alla prima guerra mondiale. E’ questa la fase che passa alla storia come quella della “grande emigrazione” che vede il prevalere delle mete transoceaniche. Nel 1913, quando gli espatri raggiungono la loro punta massima (873 mila unità), il flusso verso gli Stati Uniti è pari al 43,2 per cento del totale. Sono in particolare le regioni meridionali ad alimentare la corrente transoceanica.

“Il decollo industriale dell’epoca giolittiana, non sufficientemente diffuso sull’intero territorio nazionale, si è dimostrato incapace di assorbire la larga eccedenza di manodopera, sia di origine demografica che di origine economica (espulsa dal settore agricolo e dalle aree rurali), presente sul mercato del lavoro italiano che ha quindi dovuto trovare all’estero la possibilità di sopravvivenza e di lavoro”[2].

E’ con riferimento a questi anni nei quali si è sviluppato un vero e proprio esodo di massa, ma non solo, che ci proponiamo di svolgere alcune considerazioni sul ruolo avuto dalle “agenzie di emigrazione” e dalle “compagnie di navigazione”.

  1. Il quadro normativo

 In via preliminare risulta opportuno riservare brevi cenni al quadro normativo, alle “regole” che hanno caratterizzato la nostra politica migratoria.

Partendo da lontano, vale la pena di precisare che l’atteggiamento di laissez-faire nei confronti dell’emigrazione maturato dalla classe dirigente piemontese che negli anni aveva acquisito una certa familiarità col fenomeno migratorio riconoscendone i vantaggi, ha dominato la vita politica italiana per molti anni ancora dopo il compimento dell’Unità d’Italia[3].

Dopo il 1861 si intervenne con circolari del Ministero dell’Interno. Sono in particolare da ricordare la “circolare Menabrea” del 28 gennaio 1868 e la “circolare Lanza” del 18 gennaio 1873 con le quali viene operato un timido tentativo di porre un freno all’emigrazione (con la seconda i prefetti furono sollecitati a “dare istruzioni precise e rigorose per impedire e denunciare all’uopo all’autorità competente la disonesta speculazione delle agenzie, e l’emigrazione illecita, e per infrenarla se lecita”[4]; il risultato fu quello di far crescere l’emigrazione clandestina in partenza  da porti esteri[5].

“Le tesi cavouriane, ispirate alla più classica ortodossia del libero scambio, vengono negate, con apparente contraddizione negli anni Settanta, proprio dai settori liberisti della Destra e della Sinistra, che raggruppano gli interessi agrari, commerciali e bancari, in questo periodo dominanti nelle Camere. Soprattutto da parte degli agrari si assiste ad una dura polemica contro l’emigrazione che, per la sua alta componente contadina, sembra minacciare la stessa struttura produttiva nelle campagne. Si teme principalmente un improvviso aumento della domanda di manodopera, le cui ripercussioni sociali intaccherebbero quella rendita di posizione alla quale gli agrari, soprattutto meridionali, sono tenacemente attaccati”[6].

La successiva “circolare Nicotera” del 28 gennaio 1876 manifesta una qualche maggiore apertura nei confronti degli espatri. Ancora non sa però rispondere con sufficiente coerenza all’angustiante dilemma: l’emigrazione è da deplorarsi, come perdita di braccia, o è da incoraggiarsi come veicolo di maggiore ricchezza? Nel 1888 viene comunque emanata la prima legge sull’emigrazione (la n. 5866 del 30 dicembre) che all’art. 1 sancisce che “l’emigrazione è libera”. Principale risultato della legge fu quello di disciplinare l’attività delle strutture di mediazione, delle quali si tratterà più avanti, e di istituire altre forme di tutela degli emigranti. “La legge non vide già la luce come insieme di principii, da cui dedurre norme organizzative, per l’inquadramento e lo sviluppo d’un fenomeno che andava rivelandosi mano mano più imponente; bensì, come accolta di norme repressive che colpissero mediatori imbroglioni ed agenti senza scrupoli”[7].

Si arriva così al 1901, nel momento in cui inizia l’impennata dei flussi in uscita, con l’emanazione della prima legge organica in materia di emigrazione (la n. 23 del 30 gennaio) che ha previsto la creazione del Commissariato Generale dell’Emigrazione, un ufficio speciale per la tutela dell’emigrazione destinato a riunire e a gestire tutte le competenze relative fino ad allora assegnate ad uffici e a ministeri diversi.

  1. Le agenzie di emigrazione

 Se si volge lo sguardo ai tassi di analfabetismo accertati dai censimenti del 1881 e del 1901, si può osservare che nelle regioni meridionali e insulari la cui popolazione fra il 1901 e il 1915 aveva alimentato per oltre il 70 per cento la corrente transoceanica, questi superavano abbondantemente la soglia del 50 per cento fra i maschi e quella del 70 per cento fra le femmine[8].

Tabella 1Tassi di analfabetismo per sesso ai censimenti del 1881 e del 1901 nelle regioni meridionali e insulari (a)

Regioni Censimento 1881 Censimento 1901
M F M F
Abruzzo e Molise 70,4 90,0 58,5 79,8
Campania 67,4 83,2 56,9 72,6
Puglia 73,6 86,4 63,7 75,3
Basilicata 77,2 92,6 66,5 83,1
Calabria 76,3 93,1 69,2 87,0
Sicilia 74,6 87,8 65,2 76,6
Sardegna 73,0 87,3 61,0 76,1

(a) Analfabeti di 6 anni e oltre su 100 abitanti di pari età

Fonte: Noble, 1965.

Si può perciò sostenere che l’attività di intermediazione svolta dalle agenzie di emigrazione rispondeva a precise esigenze espresse da miseri contadini, per lo più analfabeti, che desideravano andare all’estero per cercare migliori condizioni di vita e che necessitavano di un aiuto per il disbrigo delle necessarie pratiche burocratiche, per la scelta del vettore, per la lettura di lettere talvolta ricevute da parenti e conoscenti, ecc. Come osserva Bodio, la legge del 1888 “era quasi unicamente guidata dai criteri di un servizio di polizia, nulla disponendo per creare uffici d’informazione nei Comuni di origine del movimento, né per dar vita ad istituti di patronato e collocamento degli emigrati all’estero”[9].

Parlare di agenzie di emigrazione significa fare riferimento non solo ai responsabili centrali del reclutamento ma anche ai subagenti locali e al vero esercito di intermediari e di appaltatori che non poteva essere composto in esclusiva, come spesso pretendevano i giornali contrari all’emigrazione, da “sobillatori” e da “truffatori” di professione[10]. Vi era in altri termini una naturale diffidenza dei candidati all’espatrio nei confronti di questi operatori. Il sistema migliore per superare la loro giustificata ritrosia, era quello di farsi garantire da chi ricopriva un ruolo sociale di indubbia affidabilità: il prete, il maresciallo dei carabinieri, il maestro, l’ufficiale comunale e così via[11].

Le notizie sulle Americhe, prefabbricate dalle compagnie di navigazione e dai consolati esteri dei paesi interessati, venivano filtrate attraverso gli agenti di emigrazione e ribadite poi nelle innumerevoli discussioni tra amici e conoscenti[12].

Certamente nel “marketing” di queste strutture di mediazione si registravano delle esagerazioni come quella di affermare che un contadino divenuto inabile al lavoro nel paese di arrivo avrebbe potuto contare su una generosa pensione e la garanzia, assai spesso ripetuta, di un facile accesso alla proprietà della terra. Non sono sicuramente mancate le frodi come quella dell’intermediario che intascava un anticipo sulle spese sostenute per poi scomparire. La polemica sulle “malefatte” delle agenzie riflette comunque le contrapposizioni politiche protrattesi a lungo tra fautori dell’emigrazione e coloro che ne denunciavano i pericoli.

La già citata “circolare Lanza” del 1873 così si esprimeva: “Da qualche tempo va piucché mai estendendosi nello Stato la riprovevole speculazione di promuovere, per trarne il maggior lucro, l’emigrazione dei cittadini, massime per l’America meridionale; e a tal uopo numerosi agenti percorrono particolarmente le provincie ove gli agricoltori sono più ignoranti e più poveri, per eccitarli ad abbandonare i loro luoghi natii, con la lusinga di facili fortune nel nuovo mondo.

Molte famiglie di contadini, sedotte in tal modo da promesse ingannevoli, vendono le masserizie e persino parte dei loro indumenti per pagare il prezzo del viaggio a speculatori, che poi li imbarcano press’a poco a somiglianza di mandrie, e quando non li abbiano abbandonati in qualche porto intermedio, li sbarcano in America, ove, per magre anticipazioni, quei disgraziati cadono in balìa di altri speculatori che ne traggono il miglior partito per sé, togliendo ad essi ogni libertà e lasciandoli nella miseria.

Tale è generalmente la dura condizione della maggior parte dei nostri emigranti; e finché una serie di luttuose notizie venute dall’estero, di infortuni narrati da reduci, non avran levato dalle menti dei contadini le illusioni che scaltri emissari vi seppero insinuare, molte saranno ancora le vittime di questo disonesto traffico”[13].

É la già ricordata legge Crispi del 1888 a tentare di fare chiarezza con vere e proprie misure di polizia. L’art. 2 così precisava: “Nessuno può arruolare emigranti, vendere o distribuire biglietti per emigrare, farsi mediatore a fini di lucro fra chi voglia emigrare e chi procuri o favorisca imbarco, se non abbia avuto dal Ministero dell’Interno la patente di Agente”.  Gli articoli successivi disponevano le modalità per ottenere la patente, per concederla, per ritirarla; erano diretti agli armatori, agenti, subagenti, affinché svolgessero l’opera nella sola zona di territorio nazionale per cui erano stati autorizzati, esplicitamente diffidandoli dal percorrere il paese eccitando ad emigrare; venivano fissati, dagli artt. 13-16, i rapporti tra agenti ed emigranti, la procedura per l’inoltro dei reclami ai Consolati, ed infine si comminavano pene per gli agenti non autorizzati ed i contravventori[14].

Con l’avvicinarsi degli anni della “grande emigrazione”, vale però la pena di notare che se prima era necessario convincere i lavoratori a trovare altrove migliori condizioni di vita, magnificando la virtù di luoghi più vicini alla fantasia che alla realtà, recandosi nelle piazze e nei mercati a reclamizzare il proprio prodotto, già dall’inizio del Novecento la domanda si fa talmente pressante che sono gli emigranti a recarsi nella casa o nell’ufficio di rappresentanza (spazi fisici spesso coincidenti) degli intermediari a richiedere i biglietti per l’imbarco[15].

Vanno progressivamente maturando le condizioni per il varo della prima legge organica sull’emigrazione che, come si è visto, vide la luce nel 1901. Dopo un lungo confronto tra Parlamento e Governo, un’apposita Commissione parlamentare arrivò ad un testo concordato sulla base del quale venne predisposta un’unica relazione.

“Mentre nei disegni parlamentari si continuava a riconoscere l’esistenza giuridica delle agenzie e dei loro subagenti pur cercandosi con garanzie e più severi provvedimenti di infrenarne gli abusi; nei disegni governativi non erano ammessi a trattare con gli emigranti ed a vendere biglietti di viaggio se non le compagnie di navigazione ed i loro rappresentanti. Nei disegni parlamentari si dimostrava la convenienza di conservare gli agenti, per la concorrenza che avrebbero potuto promuovere e mantenere fra le società di navigazione, rendendo difficile ad esse di unirsi in sindacato per elevare i noli e rincarare il costo del viaggio fra i porti italiani e i paesi transatlantici. Nei disegni governativi si rammentava invece di quanti danni gli agenti fossero stati causa, soprattutto ai lavoratori più ignoranti e più poveri; si affermava inoltre che i rappresentanti, che alle società si dava facoltà di nominare, avrebbero potuto pienamente supplire all’opera degli agenti”[16].

Il dissenso rifletteva cospicui interessi in contrasto. Non è vero, dicevano gli agenti, che essi cercassero di attirare gli emigranti con lusinghe ed inganni e volessero imporsi ai vettori senza curarsi se offrissero garanzie di comodità, di igiene e di velocità nei viaggi. Al contrario avevano più volte avuto il merito di rompere gli accordi delle compagnie italiane o estere, che elevavano a danno degli emigranti i prezzi del viaggio senza migliorarne le condizioni. Le compagnie accusavano gli agenti di attrarre con “operosità morbosa” gli emigranti sul piroscafo che pagava loro una più alta provvigione fosse anche di compagnie estere. I tanto condannati trusts, aggiungevano, non erano che un accordo legittimo contro le pretese e i raggiri degli agenti, oltre a costituire una legittima precauzione contro i colpi al ribasso che minacciavano di sopprimere i servizi remunerati a giusto prezzo[17].

La formula vincente alla quale si ispirò la legge n. 23 del 1901, fu la seguente: né agenti e subagenti di emigrazione, né tolleranza di accordi e di sindacati fra imprese marittime a danno dei migranti. Le nuove norme sostituirono infatti gli agenti e i subagenti coi rappresentanti delle compagnie, ma proposero nel contempo la vigilanza sui prezzi dei noli e sulle condizioni dei trasporti da parte del nuovo Commissariato dell’emigrazione.

Una volta individuato un paese o un circondario in cui il flusso migratorio mostrava una certa consistenza, vi fu naturalmente per le compagnie di navigazione la possibilità di contattare le autorità locali per richiedere la segnalazione di soggetti di assoluta affidabilità e di provate capacità cui affidare il compito di loro rappresentante (i nominativi prescelti provenivano solitamente da una ristretta cerchia di figure sociali vicine alle stesse autorità). La strada spesso seguita fu comunque quella di confermare quelli che avevano svolto la funzione di agente prima dell’entrata in vigore della nuova legge, regolarizzando la loro posizione e istruendoli sui loro nuovi obblighi professionali; questo evidentemente significava scegliere elementi di sicura esperienza, con una conoscenza del territorio e dei suoi abitanti e con un bagaglio di relazioni commerciali già avviate[18].

  1. Le compagnie di navigazione

Le compagnie di navigazione hanno naturalmente avuto un ruolo fondamentale per il trasferimento degli emigranti italiani diretti verso mete transoceaniche o verso paesi situati lungo le sponde del Mediterraneo. Si consideri che tra il 1876 e il 1915, poco più della metà dei circa 14 milioni dei nostri connazionali espatriati ha raggiunto Stati Uniti, Argentina o Brasile.

Genova è stato il principale porto di partenza dell’emigrazione italiana, almeno fino all’inizio del Novecento, quando si è verificata l’esplosione del fenomeno dalle regioni dell’Italia meridionale.  Nel periodo che va dal 1830 all’inizio del Novecento, si calcola che oltre quattro milioni di emigranti si siano imbarcati nel capoluogo ligure[19].

Non sono pochi quelli partiti da un porto estero e qui entra in gioco l’emigrazione clandestina da non intendersi limitata all’espatrio avvenuto di nascosto da parte di individui che dovevano rispondere alla legge di qualsivoglia reato (in particolare l’obbligo del servizio militare quinquennale non aveva suscitato un largo consenso: se la leva del 1840 aveva registrato 4.800 renitenti, per quella del 1901 furono accertate 31.906 denunce per renitenza), ma estesa all’espatrio effettuato per mezzo di vettori non autorizzati ad agire in territorio nazionale che spesso promettevano prezzi più bassi e controlli minori allo sbarco, facendo però perdere, nello stesso tempo, le protezioni accordate dal governo italiano ai propri emigranti. Importante, dopo l’emanazione della legge del 1888, era pure l’azione di agenti di emigrazione privi della necessaria patente rilasciata dal Ministero dell’Interno. Solitamente questi reclutatori clandestini facevano capo a delle agenzie con sede legale in Svizzera o in Francia. L’imbarco avveniva quasi sempre a Marsiglia o Le Havre, più raramente ad Amburgo o a Trieste[20].

Ancora da porti esteri partivano nostri emigranti presenti in paesi stranieri dove avevano lavorato. Si tratta del nomadismo emigratorio del quale scrive Sori che “fa approdare gruppi di lavoratori erranti in cerca di lavoro ai porti di Marsiglia, Le Havre, Bordeaux, Brema e Amburgo, ove si imbarcano per le Americhe”[21]. Cita il caso di 200 italiani che nel 1876 arrivarono in Nuova Zelanda via Amburgo: erano muratori e operai rimasti disoccupati in Germania e di lì imbarcatisi dopo l’arresto dei lavori edilizi e ferroviari causato dalla crisi economica dei secondi anni Settanta. Si segnala in proposito pure la vicenda di 355 emigranti italiani (principalmente piemontesi e lombardi) giunti in Australia nel 1891 a bordo della nave inglese Jumna per sostituire i lavoratori reclutati nelle isole del Pacifico che lavoravano nelle piantagioni dove si coltivava la canna da zucchero e quella di gruppi di italiani presenti in Tunisia che, trasferitisi a Marsiglia, si imbarcarono poi per gli Stati Uniti.

Nessuna sorpresa perciò nel constatare, secondo quanto riferisce un nostro ispettore dell’emigrazione sulla base di dati di fonte americana, che la percentuale degli italiani giunti negli Stati Uniti da porti non italiani sia passata dall’1,2 per cento del 1902 al 5,1 per cento del 1908[22]. Considerazioni simili possono essere fatte per l’Argentina: il nostro rappresentante diplomatico a Buenos Aires ha stimato nel 1902 che dei 53.295 e 52.143 italiani sbarcati nel paese nel 1899 e nel 1900, siano stati, rispettivamente, 6.694 e 4.568 quelli provenienti da porti stranieri[23]. L’imbarco in porti di altri paesi avvenne anche per le difficoltà che incontravano gli emigranti italiani, provenienti in una prima fase dalle regioni settentrionali, a raggiungere con la ferrovia il porto di Genova[24].

Naturalmente non si deve pensare che i nostri emigranti partiti da porti italiani si siano imbarcati tutti su navi battenti bandiera italiana. Negli anni della “grande emigrazione” circa un terzo dei nostri connazionali è stato infatti portato sull’altra sponda dell’Atlantico da navi di compagnie straniere (Norddeutscher Lloyd, Hamburg-Amerika Linie, Transatlantica de Barcelona, Compagnie générale Transatlantique, Dominion Line Transports maritimes, Luis Huguet y Ferriol, ecc.). La Veloce, fondata nel 1897, è divenuta nel 1989 di proprietà di tre banche tedesche. “Dagli anni Ottanta in poi nel settore a vapore interviene un capitale diversificato che opera nell’industria e nella finanza e che, anche nel ramo transatlantico, si sostituisce al vecchio capitale mercantile. Questo nuovo tipo di capitale viene incentivato dai premi di navigazione statali che, per il loro carattere selettivo, accentuano la tendenza al monopolio che trova la sua massima punta nella Navigazione Generale Italiana, costituitasi per fusione delle Società Rubattino e Florio nel 1881”[25].

Dal 1876 al 1901 nel porto di Genova si imbarca circa il 60 per cento dell’emigrazione transoceanica italiana. Non c’è però, come si è visto più sopra, un rapporto diretto e immediato tra l’aumento del traffico portuale e lo sviluppo della flotta genovese. “Si verifica, anzi, una sempre minore partecipazione della bandiera nazionale al traffico portuale genovese. Il fatto è collegato al ritardo col quale la classe armatoriale genovese aveva affrontato i problemi connessi alle profonde trasformazioni in atto nelle flotte di tutto il mondo; in altre parole è legato alla sua incapacità di realizzare tempestivamente il progresso tecnologico dalla vela al vapore”[26].

Per dirlo con le parole di un’altra studiosa, “l’inserimento dei ceti armatoriali e dell’economia marittima italiana nel contesto del traffico di emigrazione si rivela fin dall’inizio improntato a una strategia ben precisa: conciliare il massimo profitto con il minimo di investimenti. Non è certo un caso che lo sviluppo delle compagnie genovesi, le prime a praticare il trasporto transoceanico degli emigranti, avvenga in concomitanza con le politiche di emigrazione gratuita e sovvenzionata promosse per buona parte dell’Ottocento dai paesi del Sud America”[27]. Il traffico di emigrazione assume negli anni di fine secolo la funzione di “volano” dell’economia nazionale perché in questo settore convergono gli interessi dei più grandi monopoli industriali e finanziari dell’epoca: la cantieristica e la siderurgia. La favorevole condizione in cui si trova ad agire l’armatoria italiana, priva di fatto di vincoli legislativi nella gestione del trasporto degli emigranti e “protetta” dalle sovvenzioni statali, favorisce le strategie imprenditoriali delle quali si è più sopra fatto cenno. Lo stesso ritiro dalle rotte transoceaniche delle “carrette del mare”, avvenne nei primi anni del Novecento solo a seguito delle misure di controllo sulla “qualità” dei flussi migratori messe in atto negli Stati Uniti[28].

Proprio in quel periodo la meridionalizzazione dei flussi e la prevalenza delle correnti migratorie per gli Stati Uniti farà assumere al porto di Napoli il primato nel traffico di emigrazione. Già nel 1901 il porto partenopeo imbarca una quota di emigranti che è il doppio di quella del porto di Genova. A partire dal 1905 prendono consistenza anche i traffici migratori nel porto di Palermo e con quote meno rilevanti anche nel porto di Messina[29].

  1. Le ultime tracce della rete di agenz

La territorialmente diffusa rete di agenzie e di procuratori delle compagnie marittime, indispensabile per l’elevato grado di analfabetismo dei migranti, è stata verosimilmente uno dei meccanismi fondanti le catene migratorie che all’inizio dello scorso secolo hanno fortemente caratterizzato l’Italia ed il Mezzogiorno.

Tale rete, inoltre, sembra essersi radicata nel territorio. Prova ne sia il fatto che all’inizio degli anni ’70 – cioè dopo due guerre ed un regime autarchico che aveva orientato verso le “colonie dell’Impero” i flussi migratori in uscita – era ancora possibile in Calabria, lungo la strada principale di un paese montano, trovare le insegne di un “Rappresentante emigrazione” collegato con compagnie di navigazione e (segno di modernità acquisita) con compagnie aeree responsabili di rotte transoceaniche[30].

Foto 1Insegna di un «Rappresentante emigrazione» lungo la strada centrale di Serra San Bruno, 1973

Fonte: Archivio fotografico familiare Ancona-Miccoli

All’indomani della seconda guerra mondiale, infatti, il “vecchio” schema organizzativo dell’emigrazione aveva ripreso vigore per le debolezze del Mezzogiorno. Anche se i paesi di destinazione sono in buona parte cambiati (prevale nettamente l’Europa e c’è poi il contributo di mete relativamente nuove come l’Australia ed il Canada) la vecchia e collaudata macchina poteva nuovamente funzionare a regime.

 

 

Riferimenti bibliografici:

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Note

[1] E’ l’anno nel quale viene avviata, su sollecitazione della Giunta di statistica, la rilevazione degli espatriati.

[2] A. Golini, F. Amato, „Uno sguardo a un secolo e mezzo di emigrazione italiana”, in P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana – Partenze, Donzelli Editore, Roma, 2001, p. 51.

[3] M. Vitiello, „Fughe e ritorni. Aspetti delle migrazioni nel XIX e XX secolo”, “Percorsi Storici”, Rivista di storia contemporanea, N. 1, 2013, pp. 1-14, (http:www.percorsistorici.it/numeri/numero-1/titolo-e-indice/saggi/mattia-vitiello-le-politiche-di-emigrazione-e-la-costruzione-dello-stato-unitario-italiano).

[4] Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868/1975, Vol. 2, Vallecchi Editore, Firenze, 1978, p. 32.

[5] A. Annino, „La politica migratoria dello stato postunitario”, Il Ponte, N. 30, 11-12, 1974.

[6] Ibidem, p. 1233.

[7] M.A. Darbesio, „Cenni di storia delle leggi sull’emigrazione in Italia”, Occidente – Rivista bimestrale di studi politici, Anno IX-N. 3-4, Maggio-Agosto 1953, p.248.

[8] F. Noble, „Istruzione scolastica”, in „Sviluppo della popolazione italiana dal 1861 al 1961”, Istat, Annali di Statistica, Anno 94, Serie VIII-Vol. 17, Roma 1965. Anche secondo dati di fonte americana, all’inizio del Novecento la più alta percentuale di analfabeti per ogni 100 emigranti sbarcati negli Stati Uniti si registrava fra gli italiani provenienti dalle province centrali e meridionali (46,6 per cento) (cfr. Corinaldi, 1902).

[9] L. Bodio, „Dell’emigrazione italiana e dell’applicazione della legge 31 gennaio 1901”, Bollettino dell’Emigrazione, N. 8, 1902, p. 11.

[10] E. Franzina, La grande emigrazione. L’esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo XIX, Marsilio, Venezia 1976.

[11] A. Martellini, „Le strutture della mediazione. Agenti e agenzie di emigrazione nelle Marche dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale”, in E. Sori (a cura di), „Le Marche fuori dalle Marche. Migrazioni interne ed emigrazione all’estero tra XVIII e XX secolo”, Atti del Convegno Internazionale di Storia economica e Sociologia dell’Università di Ancona, Quaderni di Proposte e ricerche, N. 24, Tomo II, 1998, pp. 463-475.

[12] P. Brunello, „Agenti di emigrazione, contadini e immagini dell’America nella provincia di Venezia”, Rivista di storia contemporanea, XI-Fasc. 1 del 1982, pp. 95-122.

[13] Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868, cit., pp. 31-32.

[14] M.A. Darbesio, Cenni di storia delle leggi sull’emigrazione in Italia, op.cit., pp. 247-269

[15] A. Martellini, Le strutture della mediazione. Agenti e agenzie di emigrazione nelle Marche dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale, cit., pp. 463-475.

[16] F. Manzotti, „La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita”, Biblioteca della Nuova Rivista Storica, N. 28, Società editrice Dante Alighieri, Milano-Roma-Napoli-Città di Castello, 1969, p. 106.

[17] Ibidem, p. 106.

[18] A. Martellini, Le strutture della mediazione. Agenti e agenzie di emigrazione nelle Marche dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale, cit., pp. 463-475.

[19]  F. Capocaccia, „Il viaggio dell’emigrante: verso un archivio nazionale informatizzato”, in Museo Nazionale Emigrazione Italiana (a cura di A. Nicosia e L. Prencipe), Ministero degli Affari Esteri, Gangemi Editore, Roma, 2009, pp. 187-205.

[20] A. Martellini, Le strutture della mediazione. Agenti e agenzie di emigrazione nelle Marche dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale, op.cit., pp. 463-475.

[21] Sori Ercole, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, il Mulino, Bologna,1979, p. 323.

[22] G. E. di Palma di Caltagirone, „L’immigrazione italiana negli Stati Uniti dell’America del Nord”, Bollettino dell’Emigrazione, N. 1, 1913, pp. 183-192.

[23] O. Malaspina di Carbonara, „L’immigrazione nella Repubblica Argentina”, Bollettino dell’Emigrazione, N. 3, 1902, pp. 3-15.

[24] A. Molinari, „Porti, trasporti, compagnie”, Storia dell’emigrazione italiana – Partenze (a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina), Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 237-255.

[25] A. Annino, La politica migratoria dello stato postunitario, op.cit., p. 1257.

[26] G. Doria, „Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale”, Vol. I, Le premesse (1815-1882), Edizioni Pantarei, Milano, 2008, pp. 276-7.

[27] A. Molinari, Porti, trasporti, compagnie, op.cit., p. 241.

[28] Ibidem., p. 241.

[29] Ibidem., p. 241.

[30] La cittadina in questione è Serra San Bruno (oltre 800 metri sul livello del mare, 6.850 abitanti nel 2011). Il Comune, oggi in provincia di Vibo Valentia, apparteneva alla provincia di Catanzaro.