Coordonat de Sabin DRĂGULIN
Volum VI, Nr. 2 (20), Serie noua, martie – mai 2018
Les amis nécessaires : Italia e Francia nella Grande Guerra
(Necessary friends: Italy and France during the Great War)
Nicola NERI
Abstract: The Italian front of the First World War is normally given scanty attention by foreign historiography, so much so that it was defined ‘the forgotten front’. Nevertheless, it constituted a considerably form of lightening in favor of the better-known fronts in east and west. Italy had been an ally of Germany and Austria-Hungary for over 30 years, but sided in 1915 alongside its age-old rival, France, obliged to deal with the problem of organising a military force in the most co-ordinated way possible, the latter being led by a single inter-ally command. They thus managed to fight side by side, although becoming friends was not ever feasible.
Keywords: Italy, France, Military, Alliance, War
Quella frazione della Grande Guerra che si è svolta sul fronte italiano è stata tradizionalmente considerata dalla storiografia straniera come una forma secondaria o di alleggerimento rispetto a ciò che accadeva sul fronte occidentale e, sino al 1917, pure su quello orientale. E’ verosimilmente per questo motivo, quindi, che la definizione più usata ancora oggi rimane: “The forgotten front”, il fronte dimenticato.1
Nonostante la risalente mitologia delle “sorelle latine” che, pure, nell’età napoleonica aveva visto la storia politica della penisola italiana profondamente avvinta ai destini del I Impero, dal compimento dell’Unità la tradizione di rapporti tra Italia e Francia non era mai stata improntata all’amicizia.2
La leadership italiana, del resto, non era avvezza né incline a una situazione poco familiare dal punto di vista sia ideale che politico, quale poteva essere un’alleanza bellica in cui condividere il rischio riguardante degli scopi di guerra che si rivelavano essere comuni anche agli alleati. E’ dunque opportuno rievocare le coalizioni antinapoleoniche del secolo precedente per trovare analoghe sperimentazioni: ne furono necessarie sette di esse, infatti, per piegare Bonaparte; ma non si deve nemmeno sottovalutare che, sino alla battaglia di Waterloo, il loro rapporto politico- militare è stato assai complesso. Tra le esperienze che non avevano funzionato molto bene, l’alleanza anglo-franco-sarda del 1855, che avrebbe condotto alla guerra di Crimea, era stata la più recente memoria condivisa con gli stessi alleati per la classe dirigente italiana. 3
Quest’ultima, convinta di poter combattere la “sua” guerra contro i “suoi” nemici, purtroppo non comprese subito la mondializzazione del conflitto e il concetto di “nostra guerra” si rivelò fatalmente inadatto a fronteggiare quella gigantesca sfida.
Nel periodo della neutralità i rapporti franco-italiani si sarebbero concentrati su alcuni aspetti pratici relativi in particolare alla costante necessità di dimostrare una neutralità fattuale4, e non solo teorica, alla questione dei sudditi italiani residenti in Francia, nonché logicamente a quegli negoziali-diplomatici relativi ad una eventuale presa di posizione bellica da parte dell’Italia. Con la riluttante e ritardata decisione di dichiarare guerra alla Germania, verso la quale effettivamente non vi erano mai stati importanti motivi di dissenso, il governo italiano trascurò la penosa impressione che avrebbe suscitato presso gli Alleati, i quali, infatti, nutrirono sempre una diffidenza di fondo verso di essi. Tale prudenza, quindi, si rivelò davvero sterile e anzi comportò pure un alto costo: nei confronti dell’alleato italiano, il sospetto sarebbe stato sempre sottilmente pervasivo delle relazioni comuni, e, soprattutto da parte francese, a volte avrebbe addirittura oltrepassato il limite del rispetto.5 Nell’ottobre del ’15 così l’ambasciatore italiano a Parigi, Tommaso Tittoni, scriveva a Salandra: “Al principio della guerra la dichiarazione di neutralità dell’Italia fu accolta con una esplosione di riconoscenza6 ma passato un paio di mesi fu ritenuta per l’Italia come doverosa e passato un altro paio di mesi giudicata insufficiente e si disse generalmente che l’Italia aveva il dovere di intervenire nella guerra per la Francia.”7 La stessa dichiarazione di guerra alla Germania non venne mai realmente presa come “cosa seria”: nell’opinione pubblica francese e in parte anche nella sua classe politica vi era l’assoluto preconcetto che la guerra fra Italia e Germania fosse cosa puramente formale e che, conseguentemente, in nessuno dei due Stati vi fosse la concreta intenzione di combatterla sul serio8.
Quando nel maggio del 1915 la decisione di entrare in guerra fu definitivamente presa, lo sviluppo dei rapporti tra i due neo-alleati fu evidentemente condizionato dalle nuove predominanti esigenze del conflitto. Lo sforzo militare imponeva anche un logico coordinamento. Non era trascorso ancora un mese dall’entrata in guerra dell’Italia che la necessità di coordinare lo sforzo militare tra gli alleati emergeva spontanea e imperiosa tanto che in giugno il presidente francese Poincaré sollecitava il governo italiano ad aderire alla costituzione di un ufficio militare centrale con sede a Parigi.9 Le impellenti necessità della guerra imponevano, quantomeno dal punto di vista militare, una cooperazione e una collaborazione che prescindesse, da entrambe le parti, dal sentire morale nei confronti dell’alleato. Il 3 settembre del 1915 il Ministro della Marina comunicava al Ministro degli Affari Esteri che erano stati requisiti i piroscafi Duca d’Aosta, Principessa Mafalda e Indiana nel porto di Genova per essere messi a disposizione dell’Armata francese per il trasporto di truppe fra i porti del Mediterraneo. Comunicava contestualmente inoltre che vi erano in corso lavori sui piroscafi Atlantico a Taranto e Onestà alla Spezia per poter affidare anch’essi all’Armata Francese10. Nello stesso mese di settembre giungeva anche una richiesta da parte francese di chiudere la frontiera italiana con la Svizzera: Parigi aveva, infatti, predisposto la chiusura della frontiera francese con il paese elvetico per alcuni giorni a causa di importanti operazioni di ordine militare11. A tale richiesta il Ministro Sonnino rispondeva che la delicatissima situazione italiana imponeva una attenta valutazione della pervenuta richiesta francese la quale prendesse in esame soprattutto la sensazione che una simile decisione avrebbe potuto provocare nei vicini svizzeri. Il rischio era infatti quello di fomentare il sospetto che la chiusura delle frontiere fosse la maschera dietro la quale potevano nascondersi segrete ed equivoche operazioni militari. Il Ministro Sonnino non intendeva in alcun modo dare “la minima occasione a sospetti svizzeri, per quanto essi fossero interamente ingiustificati”. Dunque, nonostante l’impossibilità di rispondere pienamente alla richiesta francese, il Ministro italiano acconsentiva e faceva propria la responsabilità di una “maggiore sorveglianza sulle persone e sulle corrispondenze diretta dal nostro territorio alla Svizzera nel periodo della chiusura francese”12.
La collaborazione militare operò efficacemente anche sui fronti secondari. Nell’estate del ’16 giungeva dalla Francia la richiesta all’Italia di partecipare con una divisione alla spedizione di Salonicco,13 ma il Comando Supremo dichiarava essere impossibile sguarnire il fronte interno fino ad una divisione e che, al massimo, per onore di bandiera, si sarebbe potuti arrivare a fornire una brigata priva di artiglieria.14 In considerazione della viva insistenza con la quale il presidente Briand15 richiedeva la presenza militare italiana, l’ambasciatore Tittoni suggerì che forse l’artiglieria avrebbe potuto fornirla la Francia.16
Una visita del generale Joffre17 a Cadorna presso il Comando Supremo il 24 luglio, convinse il generale italiano a predisporre l’invio della divisione così insistentemente richiesta.18 Già in settembre, però, Joffre richiedeva l’invio di una seconda divisione che il Comando Supremo e il ministro degli esteri si dichiaravano impossibilitati a inviare.19 Purtuttavia, per esigenze di armonia diplomatica e comune sforzo militare, si riusciva, in ottobre, a decidere l’invio di una brigata.20 Tuttavia, ancora in ottobre, non cessavano le richieste della Francia, con espliciti e reiterati inviti di Joffre e della Gran Bretagna allo scopo di ottenere l’invio di altre grandi unità, sollecitazioni alle quali Sonnino e Cadorna opponevano un’evidente impossibilità.21 Peraltro, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, si moltiplicavano i segnali di accumulo di materiali e uomini tedeschi sul fronte italiano, in vista di una prossima offensiva, cosa che naturalmente sconsigliava definitivamente di distrarre forze italiane dal fronte interno per essere inviate all’estero.22 Nel novembre del 1916, in contrapposizione all’atteggiamento di Sonnino e Cadorna, Tittoni suggeriva al Ministro degli Affari Esteri che l’eventuale aumento del contingente di truppe italiane a Salonicco avrebbe reso probabilmente più facile vincere la resistenza su quei punti del programma coloniale italiano nell’Asia Minore che erano in maggiore contrasto con i desiderata degli alleati23.
Nel marzo del ’17, Sonnino, cercando di cogliere una valida opportunità dal punto di vista politico24 più che militare, chiese a Cadorna se l’Italia fosse nelle condizioni di partecipare con un proprio contingente a una spedizione in Palestina, inizialmente composta di 30.000 Britannici e da 10.000 Francesi.25
La prevedibile ma comprensibile risposta del Generale fu che non era verosimile sguarnire il fronte principale; tuttavia, si sarebbe potuto prelevare una parte delle truppe di stanza in Libia.26
La Gran Bretagna decise alla fine di accettare il contributo italiano, ma a condizione che fosse privo di valore politico e che non fossero inviati più di 300 uomini.27 L’ambasciatore britannico, inoltre, suggerì che si trattasse di Carabinieri e che indossassero un’uniforme bianca.28
Un battaglione di Bersaglieri, con l’ausilio di 100 militari dell’Arma e con l’incoraggiamento del console italiano, sbarcava dunque il 19 maggio a Port Said, agli ordini dal maggiore Francesco D’Agostino che evidenziò “… l’ottima impressione prodotta dalle nostre truppe la cui perfetta tenuta, l’ordine e la disciplina si sono imposte alla generale ammirazione ed hanno dato motivo a lusinghieri confronti con il distaccamento francese che le aveva da poco tempo precedute in quella città.”29
Anche nella comune spedizione a Salonicco i rapporti tra italiani e francesi, complici le numerose intemperanze del generale francese Maurice Sarrail,30 erano cattivi e tali sembravano anche agli occhi di osservatori stranieri.31
Per quanto invece concerneva l’ipotesi del conferimento di truppe alleate a sostegno dello sforzo italiano sul suo principale teatro di operazioni, per i primi anni di guerra fino a Caporetto esso poteva ancora essere subordinato alle superiori ragioni politiche. Al principio di novembre del ’16 così si esprimeva il presidente del Consiglio, Paolo Boselli: “L’ipotesi di un eventuale aiuto di eserciti alleati in Italia non si presenta come desiderabile e meglio vale evitarne la necessità.”32
Nonostante la doverosa collaborazione militare tra Stati appartenenti allo stesso schieramento bellico, tra Italia e Francia continuavano a rimanere aperte alcune questioni fondamentali che se non attentamente affrontate avrebbero potuto causare attriti ben più gravi in un futuro non troppo lontano. Nel febbraio del 1916 durante i colloqui con Briand, Sonnino si preoccupò di mettere particolarmente in rilievo l’opportunità di preparare una situazione generale di intesa e di cordialità tra i due Stati, risolvendo quanto prima varie piccole questioni che davano o potevano dare luogo ad attriti e discordanza. Le questioni a cui Sonnino si riferiva erano in particolare quella del Marocco, quella sulle congiunzioni carovaniere tra Ghadames e Ghat, quella della ratifica della frontiera nella valle del Roja e ovviamente della mutua consegna dei disertori e renitenti durante la guerra. Su tutte le questioni citate da Sonnino, Briand si era dimostrato quantomeno cauto sebbene disponibile ad affrontarle in uno spirito di cooperazione33. Per quanto, infatti, sembrasse concretamente possibile immaginare soluzioni valide e condivise sulle varie questioni fattuali elencate da Sonnino, ciò che appariva estremamente più difficile era trovare un punto di congiunzione che, superati i pregiudizi e i malintesi, consentisse di avvicinare nel profondo le due “Sorelle Latine”. Dalla Regia Ambasciata italiana a Parigi, e non solo, continuavano infatti a giungere rapporti decisamente poco lodevoli circa l’atteggiamento e le aspettative dell’Italia nelle menti e negli spiriti dell’Hexagon. Nel dicembre del 1915 il capo della sezione italiana del Bureau Interallié, Brancaccio, ebbe modo di sottolineare quanto poco incoraggiante fosse la posizione italiana nell’opinione pubblica francese, soprattutto in relazione a quella invece ricoperta dalle altre nazioni alleate. Il capo della sezione proseguiva quindi sottolineando quanto fosse fondamentale per recuperare credibilità nell’opinione pubblica francese procedere in maniera “fattiva” nel “diffondere un esatto apprezzamento della mentalità del nostro paese, cercar di far comprendere quanto sia il suo effettivo valore nel gruppo degli Alleati, attenuare le diffidenze, smussare i piccoli attriti”34. Si presentava così una linea d’azione che tramite una consapevole opera di propaganda potesse, a partire da una profonda conoscenza dei giornali e dei mezzi di comunicazione francesi, inserirsi nell’opinione pubblica francese e contribuire ad una “più intima fusione franco-italiana”. Molte personalità di spicco nel panorama francese appoggiavano questa azione propagandista italiana; tuttavia, lo stesso ufficio italiano a Parigi, precisava quanto questo supporto locale trovasse le sue basi nel più tradizionale spirito francese votato alla classica mentalità di supremazia culturale e morale francese. Il rapporto del Colonnello Brancaccio si concludeva con la richiesta di facilitare i viaggi di personalità e giornalisti francesi, sia in Italia sia più particolarmente nella zona italiana di guerra: “è infatti necessario tener presente che qui, tranne in poche persone, vi è l’ignoranza completa di quanto l’Italia ed il suo esercito vanno facendo. Si crede in sostanza che facciamo nulla, e ciò contribuisce non poco ad alimentare l’antipatia che più specialmente da parte popolare ci vien manifestata”35.
L’ignoranza a cui faceva riferimento Brancaccio, del resto, non condizionava soltanto il giudizio di Parigi ma più in generale dell’intero mondo francofono: nell’agosto del 1916 ebbe luogo a Ginevra una conferenza dell’On. Tardieu, giovane deputato del Dipartimento Seine-et-Oise, dal titolo L’Effort de l’Italie. Il discorso del Tardieu era stato diviso in due parti: la prima, quella militare, aveva dimostrato le difficoltà della guerra italiana e “l’aiuto poderosissimo che l’azione italiana valse agli alleati ed in primissimo luogo alla Russia salvata da noi nel più critico momento”; nella seconda invece aveva illustrato le ragioni che avevano indotto l’Italia a dichiarare in primo luogo la propria neutralità per poi gettarsi soltanto in un secondo momento “nella pugna a lato della Francia”36. Il Ministro a Berna, Paulucci De’ Calboli, comunicava al Ministro degli Esteri l’esito e la valutazione assolutamente positiva della conferenza dell’Onorevole, la quale aveva avuto esattamente il merito di colmare l’enorme lacuna conoscitiva nei confronti dell’impegno italiano: “chè se tutti o quasi tutti a Ginevra sapevano che cosa aveva operato la Francia e colla Francia i suoi alleati della prima ora era invece ignorato o si voleva ignorare la forza del gesto del nuovo alleato della seconda ora”37. Era proprio questo tipo di incontri pubblici e di palcoscenico ciò di cui l’Italia aveva bisogno per riportare l’ordine esatto nelle cose di guerra. Nel novembre del 1916 la regia Ambasciata a Parigi comunicava a Sonnino proprio l’opportunità di presentare più coerentemente ai francesi la situazione del fronte italiano, la cui importanza era chiaramente ancora sottovalutata, prospettando addirittura la possibilità che lo stesso Presidente della Repubblica francese conducesse una visita ufficiale presso il fronte italiano38. Il cuore del problema era dunque quello di favorire una conoscenza meno pregiudizievole delle vicende italiane e dell’azione italiana in guerra: non si trattava, secondo molti osservatori italiani, di una vera e propria italofobia o inimicizia, quanto piuttosto di una “tenace ignoranza”39, chiusa nei più classici pregiudizi nei confronti del vicino d’oltralpe e nella più irremovibile convinzione francese di essere portatrice di una sorta di primato etico-morale nel mondo.
Profondamente emblematico della situazione dei rapporti italo-francesi è un rapporto dal titolo Dello spirito pubblico in Francia e dei suoi atteggiamenti verso l’Italia redatto dal Sottotenente G.A. Borgese nella primavera del 1917. In circa ottanta pagine il rapporto analizzava lo stato del “prestigio e la reputazione italiana in Francia”, i passi necessari da fare per consolidare e migliorare la conoscenza e quindi la reputazione delle vicende di guerra italiane e dello spirito italiano nel vicino alleato, i mezzi che fino a quel momento l’Italia aveva adoperato per raggiungere siffatto scopo e ovviamente i mezzi che si sarebbero dovuti adoperare per continuare quest’opera di divulgazione delle posizioni italiane. Particolarmente interessante la prima parte del rapporto, la quale così come spiegato dal suo autore, intendeva rispondere alla seguente domanda: “Che cosa si pensa oggi in Francia intorno al presente e all’avvenire dell’Italia, intorno al suo sforzo guerresco, alla sua posizione morale nell’Alleanza, alla sua lealtà politica, alla sua forza, alla giustizia delle sue aspirazioni, al suo compito presente e futuro?”. Dopo aver fatto un’analisi dal sapore etico-morale del popolo francese e delle sue dinamiche relazioni con il resto degli Alleati, Borgese concludeva che evidentemente il popolo francese mostrava di essere “scarso amico o anche addirittura nemico del nome italiano”. Tuttavia, l’Italia non doveva agitarsi eccessivamente in caso di giudizi non lusinghieri da parte del popolo francese poiché “a osservare obiettivamente le cose, dobbiamo riconoscere che non soltanto i giudizi pubblici e pubblicati attraverso la stampa, ma perfino i giudizi privati e di conversazione sono un po’ più misurati e delicati quando si tratta dell’Italia […] che quando si tratta degli altri alleati”. Proprio la stampa, la grande accusata sul banco del processo all’anti-italianità, non si era certamente mostrata più gentile nei confronti dell’alleato russo tanto che Borgese sottolineava quanto “un paragone documentario fra ciò che i giornali francesi si sono permessi di dire della Russia e quello che si sono permessi di dire dell’Italia durante la guerra” sarebbe stato a tutto vantaggio della Penisola. Varie situazioni avevano contribuito, secondo l’autore del rapporto, a fuorviare l’immagine dell’Italia in guerra nelle menti dei francesi: soprattutto la famosa esaltazione dell’On. Salandra al “sacro egoismo” aveva contributo non poco “a diffondere all’estero la convinzione che il nostro intervento e la nostra azione militare prescindano da qualsiasi considerazione altruistica ed umana”. A ciò andava aggiunto l’uso, a tratti l’abuso, dell’espressione “la nostra guerra” la quale sembrava sottintendere che la guerra dell’Italia all’Austria fosse faccenda personale, “un episodio circoscritto ed individuale nel grande conflitto e che noi facessimo i nostri affari indipendentemente dalla lotta generale”. Questi riferimenti linguistici avevano permesso il crearsi di un’opinione francese secondo la quale la politica italiana altro non era che “un calcolo machiavellico fine ed astuto, immune a ogni turbamento sentimentale e […] non alieno da cinismo”. L’atteggiamento francese era evidentemente reso più grave dalle erronee valutazioni circa le pretese italiane fomentate dal mito dell’Idea Nazionale: si temeva che un giorno o l’altro improvvisamente l’Italia potesse arrivare a domandare la Tunisia e che si potesse persino pretendere Gibuti, l’Arabia Occidentale, l’intera Asia Minore e, secondo quando aveva prospettato un noto giornalista francese, uomo di fiducia dello stesso Briand, si arrivasse ad aspirare persino alla conquista dell’Egitto. D’alto canto queste presunte “gigantesche ambizioni” dei nazionalisti italiani non trovavano effettivo riscontro, agli occhi dei francesi, nei reali sforzi militari che l’Italia stava portando avanti nel conflitto bellico. La più recente entrata in guerra dell’Italia rispetto alla Francia, aveva consentito alla Penisola italiana di avere effettivi più numerosi e soprattutto più freschi e di contare relativamente meno perdite tra le fila al fronte. Questi innegabili vantaggi non si erano tradotti in utilità per gli alleati: i francesi alludevano ad un costante rifiuto da parte italiana di inviare questi effettivi al fronte in aiuto e in supporto allo sforzo bellico francese. Addirittura in un Comité Secret del dicembre del 1916 qualche deputato francese aveva espresso il timore che l’intento italiano fosse quello di mantenere un passo profilo bellico per potersi imporre sugli alleati, in particolare sulla Francia totalmente dissanguata dagli eventi bellici, al momento della pace. Si sospettava, dunque, che la condotta bellica dell’Italia, il suo ponderare gli sforzi militari e civili, fosse dovuto al proposito politico di arrivare al momento della pace con un esercito fortissimo, proporzionalmente più forte di quello dei singoli alleati, in modo da poter esercitare una certa pressione sulle trattive di pace. Infine, si aveva in certi ambienti francesi il sospetto che l’Italia potesse incamminarsi lungo la strada dello “imperialismo a oltranza” sul modello politico della Germania. Le remore costantemente presenti sulla dichiarazione di guerra italiana alla Germania come puramente di facciata, erano alla base del timore che l’Italia potesse incamminarsi “a divenire la Germania del sud” e che quelle che agli occhi dei francesi erano evidenti affinità spirituali tra il Paese mediterraneo e quello dell’Europa centrale, avrebbero finito, nonostante le dichiarazioni di facciata, per riportare prima o poi l’Italia nuovamente tra le braccia tedesche.
Nonostante queste posizioni indubbiamente pessimiste nei confronti dell’Italia, il rapporto concludeva che non era possibile, d’altro canto, non evidenziare anche un sentimento positivo che si rifaceva al “riconoscimento della funzione esercitata dall’Italia nella guerra prima con la dichiarazione di neutralità poi con l’intervento”. Le posizioni francesi erano insomma eternamente contese tra “diffidenza” e “desiderio di simpatia”: “Difficilmente si nega all’Italia il riconoscimento dei suoi progressi materiali e morali, la forza del suo lavoro, l’ardore del suo patriottismo e, principale conquista degli ultimi tempi, la bravura militare. Difficilmente si mette in dubbio che nell’avvenire del mondo spetta a questo popolo un posto notevole, ma è anche raro che un francese, per quanto possa cortesemente dissimulare questa convinzione innanzi allo interlocutore italiano, attribuisca la neutralità e l’intervento piuttosto a motivi di indole ideale che ad un calcolo astutamente egoistico. […] non si crede che alla abilità e alla profondità realistica della nostra politica corrisponda in egual misura la rettitudine e la probità cavalleresca. Quanto al nostro intervento e all’azione che abbiamo conseguentemente esercitato, si riconosce in massima ammirabile lo sforzo di organizzazione improvvisata, ma si tende a valutare il nostro sforzo come immensamente inferiore ai mezzi che siamo riusciti a creare. Si crede, per dire tutto in una frase che a Parigi circola abbondantemente, che l’Italia chieda molto più di quello che dia, che esita a compromettersi a fondo, che la sua guerra sia stata finora episodica e reticente, senza né grandi sacrifici né grandi risultati, che persino nella concessione di mano d’opera […] l’Italia sia stata e sia egoistica ed avara […]”
Molta della propaganda e delle posizioni anti-italiane furono portate avanti durante la guerra dalla stampa francese: fu proprio quest’ultima che nell’aprile del 1917, interpretando un sentimento diffuso nell’opinione pubblica, cominciava a dolersi per la prolungata inattività militare italiana e per la sua ostinata mentalità difensiva.40 Le manifestazioni palesi della stampa, del resto, non facevano che rispecchiare il sentimento di vivo malcontento che si notava nel pubblico francese contro un’Italia “inattiva” dal punto di vista militare. Questo sentimento era talmente generalizzato che, come ebbe modo di riferire Salvago Raggi a Sonnino, “succede frequentemente di sentire nel pubblico frasi poco cordiali al nostro indirizzo e da qualche tempo anche dalle persone appartenenti a classi più elevate, al mondo parlamentare, ecc. e non si sente più uno di quegli apprezzamenti lusinghieri dei quali la abituale cortesia francese era prodiga fino a poche settimane or sono”41. L’opinione pubblica francese, passata per l’euforia post dichiarazione di guerra all’Austria in preda alla quale non si fece che sottolineare la solidarietà tra gli alleati e l’assoluta sincerità italiana42 e la moderazione derivante da una sensazione di essere i soli a combattere per una causa comune, cominciava a dimostra sempre più un’attitudine poco amichevole nei confronti di tutto ciò che fosse italiano. Del resto, la stessa attività bellica della Penisola era stata costantemente caratterizzata da un principio di reductio nei giudizi francesi. Gli stessi combattimenti sulla frontiera terrestre erano stati oggetto di uno “straordinario equivoco, in base al quale la cosa più straordinaria e più impressionante della nostra guerra è la lotta contro le difficoltà climatiche e di terreno delle zona di alta montagna. Si osservano queste difficoltà con curiosità e stupefazione, ma in fin dei conti ciò fa prevalere nella contemplazione della nostra guerra un elemento che la fa somigliare ad una fantastica impresa sportiva”43. Il fronte del Carso era assai meno noto in Francia del Trentino, e le gesta individuali e bizzarre assai più celebri delle battaglie metodiche che l’esercito italiano aveva dimostrato di sapere portare avanti; l’immensa importanza dei combattimenti che avevano portato alla presa di Gorizia e all’avanzata del Valone erano sostanzialmente ignoti oltralpe. La stessa battaglia del Trentino non era nota nel suo reale svolgimento quanto piuttosto nella cronaca leggendaria che ne era stata fatta: “secondo la visione più diffusa il nostro territorio sarebbe stato invaso senza lo scatenamento dell’offensiva di Broussilof, alla quale si attribuiscono quasi tutti i meriti del successo. Si dimentica che al momento dell’offensiva di Broussilof la prima fase dell’attacco austriaco era finito con l’arresto netto dell’avanzata e i tentativi di propaganda che sono stati fatti in questo senso, per la stessa loro eccessiva tendenziosità, per il loro stesso eccessivo ardore polemico che voleva, esagerando dall’altra parte, negare addirittura ogni merito all’aiuto russo, sono caduti nel vuoto.”44
Cadorna, sollecitato da Boselli, rispondeva che questa campagna della stampa a favore di una “guerra offensiva”, non lo avrebbe certo indotto a mutare i suoi piani e i suoi tempi; la campagna era poi fortemente dannosa perché sollecitava l’attenzione del nemico verso il fronte italiano, disvelando e differendo ancor più gli eventuali propositi offensivi e facendo venire meno l’elemento sorpresa sul quale il Generale faceva particolare affidamento45. In questo senso, il ministero degli esteri francese assicurava di attivare la censura in questa direzione, ma osservava che la stampa francese non faceva altro che seguire l’esempio della stampa italiana.46 Il 25 aprile del 1917 il Presidente del Consiglio dei Ministri, Boselli, girava al Ministro degli Esteri Sonnino47, un telegramma ricevuto dal Generale Cadorna in cui si riportavano ancora una serie di pubblicazioni della stampa francese particolarmente critiche verso l’Italia e dirette a sollecitare l’azione offensiva dell’esercito italiano48.
Per un’offensiva prevista nella prima decade di agosto Cadorna riteneva di abbisognare di circa 300 pezzi di artiglieria e del relativo munizionamento da parte alleata.49 Lloyd George, che pure sarebbe stato personalmente favorevole a un vigoroso sforzo alleato contro l’Austria, dubitava che, in previsione di un’offensiva sul fronte occidentale, ci si potesse e volesse privare di 300 pezzi di artiglieria.50
Nel settembre del ’17, quando l’andamento delle operazioni militari era favorevole all’Italia, con la conquista del Monte Santo e del Monte San Gabriele, il generale Foch si pronunciò in favore di un irrobustimento di quell’aspetto dello strumento militare che la natura strategica del Primo Conflitto Mondiale aveva disvelato: l’artiglieria.51 Esso è stato addirittura definito “un conflitto di artiglieria”.52
Il successo delle armi italiane diede un’immagine talmente positiva in Francia da ispirare una parte della stampa a schierarsi per l’opportunità di fornire mezzi militari in modo da fare la differenza e arrivare addirittura alla soluzione decisiva; e il ministro degli esteri Sonnino, galvanizzato da un’azione militare così impetuosa, si sentì di raccomandare riservatezza sull’argomento, temendo una maggiore concentrazione delle forze avversarie su questo fronte.53
L’arrivo di cento nuovi cannoni nell’ambito di un’azione interalleata di ampio respiro strategico, in cui si ben s’iscrivevano sia il supporto italiano sia il sostegno allo sforzo italiano, avrebbe indotto Cadorna ad inviare un telegramma, che comprensibilmente suscitò una penosa impressione, con cui sospendeva l’offensiva sino alla primavera.54
Fu il crescente afflusso di rinforzi austriaci, soprattutto artiglierie, a motivare la decisione del Comandante Supremo, il quale sosteneva pure l’incontestabile efficacia di “… un atteggiamento energicamente potenziale …” delle truppe italiane: ciò, infatti, costringeva il Nemico a tenere immobile un’importante quantità di soldati e quindi contribuiva comunque allo sforzo alleato.
Il contributo di un centinaio di cannoni pesanti anglo-francesi non avrebbe certo portato ad adottare decisioni differenti.55 Questo, però, provocò una rude reazione del Capo di Stato Maggiore Imperiale, sir William Robertson, il quale ingiunse al Generale Cadorna di restituire le sedici batterie britanniche di obici, che erano state inviate per scopi offensivi, ma che il contegno difensivo annunciato dal comandante italiano avrebbe dunque reso inutili.56
Il tono della missiva fu definito “insolente”57 da Cadorna, che replicò in una maniera non meno assertiva, rinviando la restituzione delle artiglierie in Gran Bretagna e rivendicando l’esclusiva titolarità di giudizio della situazione militare e ciò non solo nell’interesse italiano, ma dello sforzo integrato degli alleati.58
Il ministro Sonnino replicò alla richiesta britannica – cui subito seguì un’analoga francese – dando istruzioni all’ambasciata a Parigi di sostenere la scelta strategica del Supremo Comandante italiano.
Vi erano, infatti, ragioni oggettive che rendevano inevitabile un contegno difensivo, anche per questioni di economia interna, del prezioso munizionamento: innanzitutto il fatto che artiglierie nemiche si stavano concentrando sul nostro fronte; e inoltre, l’aggravarsi della situazione russa.59
L’ambasciatore a Parigi, Salvago Raggi interessava immediatamente il presidente Ribot60, il quale, dopo vivaci insistenze del diplomatico italiano, s’impegnò a portare la cosa in Consiglio dei Ministri.61
Con la rotta di Caporetto la situazione non poteva che precipitare rapidamente e si comprese subito quanto fossero realistiche le impressioni di Cadorna. Il Generale scrisse a Foch e gli comunicò delle prime azioni di quest’offensiva, potenziata da forze provenienti dal fronte romeno e da numerose unità tedesche: dovette quindi “deplorare” il mancato sostegno delle artiglierie alleate appena prelevate ed evidenziare con vigore il pericolo che correva il destino non soltanto dell’Italia, ma di tutta l’Intesa.62
Il giorno ventisei gli comunicò pure notizia della rottura del fronte, prevedendo quindi il ripiego per successive e preordinate linee di resistenza; ma soprattutto sottolineò “… l’utilità somma dell’intervento diretto alleato nella misura concordata o anche in maggiore misura…”.63
Per la verità, Sonnino, nel timore che enfatizzare i limiti delle forze italiane potesse demotivare gli alleati sull’utilità di inviare aiuti in Italia, preferì ridimensionare il tenore delle parole usate da Cadorna. Era, infatti, convinto che non si dovessero fare sacrifici per chi non si aiutava da sé: altrimenti si sarebbe corso il rischio di essere trattati come la Russia, disperdendo quel capitale di stima e di solidarietà, così importante in quel momento, ma ancor di più al tavolo della pace.64
Il ministro degli esteri italiano, dunque, ordinò ai rappresentanti diplomatici all’estero di diffondere la comunicazione secondo cui, nonostante il momento infelice delle armi, il Paese confidava “… nel valore delle nostre truppe provato in oltre due anni di guerra, (dando) mirabile esempio di calma, di compattezza, di severa concordia”.65
Secondo quanto previsto dagli accordi di cooperazione, Sonnino, di fronte all’inequivocabile gravità della situazione militare, il 27 ottobre invocò l’invio di contingenti degli alleati.66 Già l’indomani, si abbatté, come un colpo di tuono, il bollettino di Cadorna, che, accusando di viltà alcuni reparti della II armata, comunicò l’invasione del “sacro suolo della patria” da parte del nemico.67
Il ministro degli esteri Barthou68 rassicurò l’ambasciatore Salvago Raggi sulla convinzione del Governo francese di soccorrere l’Italia nella grave contingenza, e che a questo scopo il presidente Painlevé si era recato a Londra per coordinare l’aiuto da arrecare all’Italia.69 Il 31 ottobre il ministro francese poteva comunicare all’ambasciatore italiano la partenza di quattro divisioni.70 Anche la stampa, del resto, si pronunciava in favore di un risoluto aiuto a beneficio dell’alleata.71
Il 2 novembre l’ambasciatore italiano tornava ad insistere con Barthou per un aiuto militare francese organico e consistente, soprattutto in considerazione del fatto che divisioni germaniche erano state tolte dal fronte occidentale per essere inviate verso il fronte italiano.72 Anche il nuovo ambasciatore, Bonin, faceva subito pressione sul Ministero degli Esteri francese per l’invio di truppe, ricevendone ampie rassicurazioni.73
Cadorna, con un telegramma del 3 novembre significativamente indirizzato “dall’Italia”, comunicò a Orlando di non riuscire a tenere la linea del Tagliamento, a causa delle acque basse. Decise quindi di giocare “l’ultima carta” sul Piave, sempreché lo spirito delle truppe lo avesse consentito, poiché un’altra ritirata avrebbe portato allo sfacelo e al disonore dell’esercito:74 È dunque evidente che il Generalissimo continuava a interpretare la rotta come uno sciopero militare e non già come un errore.75
La stampa francese, raccogliendo voci originate dal “fatale bollettino”, propagandava l’idea che nella pianura italiana fossero sfociate solo poche divisioni austro-tedesche e che quindi le truppe italiane avessero ceduto troppo facilmente.76 Più volte la stampa transalpina alluse ad una presunta scarsa combattività del soldato italiano.77 Il giornale L’Éclair osservava brutalmente che l’esercito italiano non era stato all’altezza del suo compito e sollevava il problema del comando unico delle forze alleate in Italia, auspicando che alle forze italiane fossero attribuiti un certo numero di comandanti francesi.78 Il Comando Supremo italiano reagiva ai dati fatti circolare dal Bureau Press del Ministero della Guerra francese, precisando che le divisione tedesche in Italia erano sei e non due e quelle austro-ungariche erano cinque e mezza e non una.79
Il generale Verraux appena avuto la notizia della disfatta di Caporetto si era affrettato a pubblicare un articolo in cui criticava fortemente l’esercito italiano definendolo “non soltanto difettoso, ma foriero di disastri”. Il resto della stampa francese non si sarebbe certo dimostrata più comprensiva nei confronti delle sorti dell’alleato e dell’azione dell’esercito italiano: il Journal des Débats, l’Eclair, l’Information arrivarono addirittura a suggerire di sostituire gli alti comandi italiani con personalità francesi. Caporetto divenne l’occasione per recuperare i vecchi timori relativi alla dichiarazione di guerra alla Germania, all’inconsistenza della guerra italiana sul fronte degli imperi centrali e più in generale per “rivangare sospetti e diffidenze”; le prove di eroismo date nei due anni precedenti dall’esercito italiano giacevano dimenticate sul fronte di Caporetto. Il prestigio italiano usciva da quegli eventi fortemente scosso divenendo vittima di quel fatalismo tipicamente francese con riferimento al valore militare italiano.
Anche le relazioni tra operai francesi e italiani risentirono pesantemente della sconfitta di Caporetto. Il diminuito prestigio caricato della consueta concorrenza nel lavoro sollevava grande resistenza a che soldati francesi fossero inviati sul fronte italiano, alla luce della presenza di numerosi italiani atti alle armi presenti in Francia.80 Questo clima, peraltro, mal si conciliava con la richiesta francese di manodopera italiana.81
Il Re Vittorio Emanuele, durante il convegno di Peschiera, l’8 novembre del ’17, ebbe modo di lamentarsi del fatto che si fosse ignorato il consiglio di Lloyd George, secondo cui l’Intesa, al fine di mettere in crisi gli Imperi centrali, avrebbe dovuto sostenere il massimo sforzo congiunto proprio sul fronte italiano, laddove si era più vicini a cogliere un risultato decisivo.
Le cause della rotta italiana, dunque, per il Sovrano sarebbero state sostanzialmente due: una di carattere congiunturale, vale a dire la fitta nebbia che aveva pregiudicato la possibilità di impegnare l’artiglieria; e una strutturale, ossia la perdita, nel corso dei primi due anni di guerra, di circa trentamila ufficiali permanenti e la conseguente difficoltà a sostituirli con personale capace di ritirarsi con ordine e di scavare trincee, sebbene questo problema fosse comune anche al nemico. 82
Andava inoltre respinta l’ipotesi – avanzata dalla propaganda pacifista, clericale e socialista – di un collasso morale delle truppe; occorreva invece rilevarne la stanchezza per l’eccessiva durata dei combattimenti.
Quanto alla tenuta della linea del Piave, dove erano stati schierati circa mille cannoni pesanti e si stavano scavando delle trincee, il Re si mostrò fiducioso: non poteva esserci altra linea successiva altrimenti si sarebbe persa Venezia, con immaginabili conseguenze marittime e navali.
Semmai, il pericolo di questa linea consisteva nel possibile aggiramento a nord, in corrispondenza del Monte Grappa, da parte delle truppe tedesche.83
Quando Lloyd George, nell’interesse soprattutto delle forze alleate che sarebbero state alle dipendenze del Comando Supremo Italiano, sollevò con forza il problema del cambio al vertice, il Re Vittorio Emanuele, sebbene non condividesse tutte le critiche mosse a Cadorna, annunciò la sostituzione di quest’ultimo con il generale Diaz, che sarebbe stato coadiuvato dal generale Giardino.84
Secondo l’opinione di Foch e Robertson, le divisioni franco-britanniche, poiché schierate nel punto di maggior pericolo del fronte, avrebbero dovuto avere una certa autonomia di comando, sebbene coordinata con Diaz.85 Gli alleati, infatti, non nutrendo una grande fiducia in quella leadership, erano propensi – piuttosto che a sostituire gli Italiani in prima linea – a costituire una riserva strategica con le proprie unità di sostegno, nel caso di un nuovo temuto arretramento del fronte. Già il giorno dopo, Orlando fece pressione su Bissolati affinché le forze inglesi e francesi fossero impiegate laddove si erano rivelate incomprensibilmente inoperose, ossia nel contenimento, sempre più difficoltoso, del Nemico a nord del Piave.86
E, a dimostrazione che le difficoltà non sussistevano solo nei combattimenti campali, il Governo arrivò a chiedere anche venti cacciatorpediniere alla Gran Bretagna e alla Francia, ma anche al Giappone e agli Stati Uniti;87 il Capo di Stato Maggiore della Marina Francese, però, pur riconoscendo fondata la necessità italiana, si disse impossibilitato a esaudire la richiesta.88
In una relazione riservatissima del 14 novembre, che il segretario generale degli Esteri, De Martino89, invia a Sonnino, nella quale si cerca di immaginare una reazione per il caso che la situazione precipiti, tra le variabili sciagurate per l’Italia vi è anche quella della: “Possibilità che si affermino in Francia correnti di opinione pubblica a noi contrarie”, a dimostrazione della precarietà sotterranea e permanente delle relazioni bilaterali,90 che erano all’origine del sostanziale : “…rifiuto della parità (di) trattamento con la Francia.”91
Nella stessa direzione di prudente sfiducia si pronunciava l’ambasciatore Bonin che avvertiva come non tutta l’opinione pubblica in Francia fosse favorevole ad inviare aiuti militari sul fronte italiano.92 Questa posizione era alimentata anche dalla presenza in Francia di molti italiani apparentemente atti alla guerra ma, per varie ragioni, non partiti.93
Tuttavia Pichon,94 nuovo ministro degli esteri, rassicurava Bonin, nel loro primo colloquio, sulla ferma volontà della Francia di soccorrere l’Italia, e gli annunciava la partenza in giornata, il 18 novembre, del generale Fayolle, destinato ad assumere il comando delle truppe francesi in Italia.95
L’apparente recuperata stima verso l’Italia conseguente alla cessazione della neutralità, insomma, era rapidamente crollata dopo Caporetto lasciando il posto ad un certo pietismo e facendo riaffiorare nei commenti della stampa un’antica animosità mai del tutto sopita, e un latente sospetto che l’Italia avesse sempre condotto una guerra nel suo solo interesse, invocando l’aiuto alleato nella crisi militare, senza adoperarsi essa stessa dando fondo a tutte le sue risorse ed anzi economizzando sugli effettivi ed elemosinando gli sforzi militari; come ebbe modo di far notare un giornalista su Libre Parole, era emblematica in tal senso la decisione italiana di non richiamare alle armi gli uomini di età superiore ai quarantadue anni.96 La questione della differenza nella durata dell’obbligo militare in Italia rispetto a quanto avveniva in Francia sarebbe stata ripresa, benché in forma cortese, dal giornale Le Progrès il quale non mancò di fare riferimento all’evidenza per cui l’Italia non si era sottoposta “a sacrifici pari a quelli sopportati dalla Francia fin dal principio della Guerra”97, dimenticando o quantomeno ridimensionando “gli immensi servigi da noi resi alla causa francese, in vista dell’aiuto militare e che ora ci vien prestato dalla Francia”98. Riprendendo il tipico atteggiamento di superiorità morale e materiale, l’opinione pubblica francese vide in Caporetto la definitiva presa di coscienza della sorte che spettava al loro paese: sarebbe stata la Francia a salvare gli alleati e a salvare anche l’Italia.
Il Ministro Sonnino riassumeva all’Ambasciatore Bonin così le impressioni sui sentimenti francesi riguardo gli italiani e sull’influenza che le vicende militari italiane avevano esercitato su tali sentimenti: “Poco alla volta l’Italia si era imposta alla mentalità francese per le sue virtù, per le sue energie e per le sue magnifiche affermazioni di grande potenza. Ciò aveva fatto sorgere nell’animo di quel popolo un sentimento di rispettoso timore, più che di vera e sincera stima. Questo sentimento però, tutt’altro che radicato nell’animo francese, era destinato a cadere alla prossima occasione. Invero gli ultimi avvenimenti militari hanno messo alla prova l’animo francese verso di noi, che non ha potuto soffocare più oltre l’antica ma celata animosità. La stampa che finor, in omaggio all’alleanza ed in grazia al felice andamento della nostra guerra aveva dovuto far coro ai lusinghieri giudizi sull’Italia, si è affrettata a cogliere l’occasione per poter finalmente riprendere i suoi aspri apprezzamenti ed il tono di ostentata superiorità. […]. In sostanza malgrado gli aiuti materiali che così prontamente stanno accorrendo dalla Francia in Italia, i rapporti morali attraversano in questo momento, una fase be triste, forse paragonabile a quella che precedette a nostra dichiarazione di guerra alla Germania.” Sonnino concludeva con la speranza che tramite l’attento lavoro dell’ambasciatore tali sentimenti francesi venissero “gradatamente modificati”99.
In realtà, come già aveva avuto modo di precisare Borgese nella primavera del ’17 in condizioni militari differenti, anche Bonin tenne a sottolineare quanto le analisi che a Roma si facevano sull’atteggiamento francese peccassero forse di eccessivo pessimismo. Per quanto dopo la rotta di ottobre la stampa e l’opinione pubblica francese avevano ecceduto in pessimismo, invero ingeneroso, nei confronti dell’alleato italiano e del suo strumento militare100, tuttavia già all’inizio di dicembre ’17 a Bonin sembrava che questo momento di pessimismo dilagante sulle sorti italiane fosse stato egregiamente superato. Tale superamento era dovuto in particolar modo alla sorprendente dimostrazione della capacità di resistenza delle truppe sul Piave, dovendo peraltro la stampa francese riconoscere che il successo delle stesse andava per intero attribuito agli italiani, non essendo ancora entrati in azione gli alleati francesi.101 Nonostante ciò, il Matin, giornale tra l’altro tendenzialmente favorevole all’Italia, cercò di attribuire il merito del successo nella battaglia di arresto ai buoni consigli del generale Foch.102 Nonostante l’eroica resistenza sul Piave, su giornali come il Temps, il Journal de Débats, il Petit Parisien, e il Petit Journal, continuavano comunque ad apparire articoli non teneri nei confronti dell’Italia dimostrando un atteggiamento decisamente poco conforme al sentimento di rispetto che si deve agli alleati.103
Così l’ambasciatore Bonin sintetizzava l’atteggiamento francese nei confronti dell’Italia: “Nel fondo del carattere francese vive sempre l’antica tendenza millantatrice, le solite disposizioni a non riconoscere che difficilmente le qualità, soprattutto le qualità militari degli altri popoli. I nostri quasi ininterrotti successi dei primi due anni e mezzo di guerra avevano grandemente modificato l’apprezzamento che qui si faceva di noi, ma la giustizia che si doveva rendere alla nostra azione militare non andava scampagnata da un senso di poco benevola maraviglia e anche d’invidia. Era inevitabile che quando la fortuna ci diventò così inaspettatamente e così gravemente nemica, quei sentimenti tornassero a manifestarsi.”104
A queste manifestazioni inopportune ed ostili della stampa francese bisognava dare il massimo dell’attenzione in quanto esse avrebbero potuto ripercuotersi ed influire sia sull’opinione pubblica francese ma soprattutto su quella italiana. Bonin concludeva precisando che non avrebbe mancato “di fare per mio conto ogni sforzo perché il linguaggio di questa stampa almeno dei maggiori giornali si mantenga in un tono di cordialità conformi agli interessi comuni ed ai vincoli politici che uniscono le due nazioni”.105 In questo stato di cose Bonin fu costretto più volte ad intervenire presso il Ministro Pichon affinché si preoccupasse di far cessare la campagna propagandistica denigratoria nei confronti di quello che a tutti gli effetti era un alleato politico e militare.106 Nel marzo del 2018 Bonin registrava una vittoria dopo le sue numerose proteste: per la prima volta dopo che Clemenceau prendendo il potere avere annunciato alla Camera la quasi abolizione della censura, un giornale importante subiva con l’inizio del mese di marzo le “forbici dei censori”. Si trattava del Journal des Débats, tra le testate giornalistiche più dure nei confronti dell’Italia, e l’articolo amputato era proprio di un noto jugoslavofilo, tale Gauvain, il quale conteneva un vivace attacco contro la politica del Governo italiano. Dopo le infinite proteste presso Pichon a causa del linguaggio ostile proprio del giornalista Gauvain, Bonin registrava che “alla lunga i miei reclami hanno portato qualche frutto”107. Gli interessi italiani nell’Adriatico erano tra l’altro quelli che negli ambienti francesi avevano sollevato i sentimenti più ostili. Già nel luglio del 1917, l’ambasciata italiana a Parigi aveva trasmesso al Ministro degli esteri, Sonnino, un opuscolo di propaganda anti italiana dal titolo Quelques points fondamentaux du droit de l’Italie sur Fiume et l’Adriatique in circolazione nelle logge massoniche francesi108.
Lasciando l’ambito della propaganda e tornando al campo di battaglia, le undici divisioni franco- britanniche, per un totale di circa 216.000 uomini, che si trovavano in Italia, alla fine del 1917 non parteciparono alla battaglia di contenimento seguita alla disfatta di Caporetto, con la sola eccezione della riconquista francese del Monte Tomba, il 30 dicembre.109
Tuttavia il pendolo strategico, fallito lo sfondamento del fronte orientale, tornava a rivolgersi verso quello occidentale. Con una certa preoccupazione l’Echo de Paris, il 13 gennaio 1918, dichiarava che tutte le divisioni germaniche presenti sul fronte italiano erano state ritirate per essere inviate in Alsazia e nelle Ardenne.110
A fine febbraio, poco dopo l’annunciato ritiro di due divisioni britanniche, veniva comunicata la decisione, in ragione dell’addensarsi della minaccia sul fronte occidentale, del ritiro di tre divisioni francesi, vivamente contestato da Orlando, sia perché in contrasto con i deliberati di Versailles che con le sue considerazioni strategiche, che davano il fronte italiano come il prossimo a subire una importante offensiva nemica.111
I Tedeschi, invece, il 21 marzo scatenarono un’irresistibile offensiva sul fronte occidentale, che quasi consegnò la vittoria agli Imperi centrali.
Il Governo Orlando ottemperò alle decisioni del Comitato di Versailles, che aveva individuato in due divisioni italiane, due francesi ed una inglese il contributo per la massa di manovra da prelevare dal fronte; però, in caso di una grave minaccia che si fosse profilata sul fronte sud, si riservò di inviare altre forze.112 La partecipazione delle truppe italiane, del resto, avrebbe costituito un pegno considerevole al tavolo della pace.
“Il signor Clemenceau – scrisse il Presidente agli Imperiali – deve considerare l’opportunità che queste due nuove divisioni siano italiane. Questo Governo offrì subito le divisioni italiane ma non insistette di fronte alle premure di fare partire le truppe alleate per apprezzabili ragioni di omogeneità con le truppe combattenti. Ora però non si tratta più di priorità ma di inesecuzione degli accordi presi. In primo luogo, dal punto di vista militare la riduzione da 4 a 2 delle divisioni francesi influisce non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente sull’attuale distribuzione delle nostre forze. Inoltre una delle due divisioni richiamate si trova già schierata in prima linea. Ma anche più gravi sono le ragioni di carattere politico. È infatti assai spiacevole che nella gigantesca battaglia in cui sono rappresentate tutte le nazioni dell’Intesa, manchino truppe italiane.”113
Orlando, che intravedeva un “vulnus” al prestigio nazionale – davvero arduo da spiegare all’opinione pubblica, a cui certo non poteva nascondere che le divisioni erano state offerte in un momento di incombente pericolo sul nostro fronte – così commentò la situazione: “Clemenceau sembra opporre un fermo rifiuto ed ha anzi aggiunto che sarà dato ordine per successiva partenza di altre divisioni inglesi. Non rilevo aperta violazione di tutte le forme concordate ma osservo che l’impressione in Italia sarà assai penosa. Opinione pubblica domanda perché non si inviano divisioni italiane al fronte francese né sembra possibile inviare altre divisioni, oltre tutte le alleate partite o da partire, poiché costituirebbe un grave pericolo per il nostro fronte già indebolito… Quanto più esclusivamente il nostro fronte è tenuto da truppe italiane tanto meno si capisce in che possa consistere la coordinazione di cui si parla nell’accordo che suppone l’effettiva cooperazione di tutti gli eserciti su tutti i fronti … L’offensiva di Francia (ha) peggiorato la nostra situazione e i rapporti con gli alleati determinando una specie di isolamento che riesce assai penoso … ma la condotta degli alleati e specialmente dei francesi poteva essere più riguardosa”.114
La Gran Bretagna mostrò invece di gradire l’invio delle truppe italiane; dopodiché giunse la comunicazione che la Francia avrebbe ricevuto le divisioni italiane oltre a quelle nazionali. 115
Con soddisfazione, Orlando si permise quindi di enfatizzare il principio di solidarietà dell’alleanza, per il quale il Paese si stava privando di truppe in un momento di pericolo: “Il Comitato di guerra ha deciso l’invio di due divisioni italiane al fronte franco-inglese, che partiranno fra tre o quattro giorni. I nostri alleati apprezzeranno l’intenzione fraterna che ci spinge a dare questa prova di solidarietà politica e militare, indipendentemente dall’entità complessiva. Eguale comunicazione faccio a Parigi.”116
La notizia dell’arrivo delle truppe italiane, tuttavia, generò un moto di sorpresa e gratitudine nell’opinione pubblica, sebbene contenuto dall’assoluto riserbo nel quale i due governi avevano mantenuto la cosa.117
Naturalmente una pluralità di unità combattenti consigliava un comando unico. L’ambasciatore Imperiali, tuttavia, mise in evidenza delle difficoltà, innanzitutto per il fatto che, a differenza del fronte occidentale, su quello italiano vi era una schiacciante maggioranza di truppe combattenti locali. Inoltre, una volta riconosciuta la necessità di un unico supremo comando, sarebbe stato logico affidarlo al generale del paese nel quale si combatteva, altrimenti non sarebbe stata giustificabile un’eventuale estensione della leadership di Foch.118
Il Generale Giardino, poi, sospettava che fossero dislocate: “… le nostre divisioni su un fronte non combattivo: da tempo ho messo in guardia anche l’Ambasciatore, col quale (differisco) solo nell’interpretazione dell’atteggiamento francese, che io interpreto nel senso più ampio e più grave di una politica di svalutazione, per la pace e per il futuro. Intanto Foch, al quale ho scritto la notizia dell’invio delle due divisioni affermando la speranza che giungessero in tempo per combattere con lui la battaglia in Piccardia, non mi ha risposto neppure.”119
Pochi giorni dopo Giardino fu destinato al comando di un’armata e al suo posto fu nominato il Generale di Robilant.120
Nel maggio l’Uomo Libero, organo di stampa vicino a Clemenceau, nel pubblicare voci di un pericolo di attacco austro-tedesco sul fronte italiano, pure traeva ragione di fiducia dall’alto spirito combattivo che le truppe italiane stavano dimostrando sul fronte francese.121
E di spirito combattivo, dopo l’offensiva tedesca di primavera c’era bisogno anche per le truppe francesi. Come riferì il ministro degli esteri britannico lord Balfour122 all’Ambasciatore Imperiali: “… le truppe francesi hanno all’inizio di questa seconda offensiva ceduto troppo facilmente permettendo al nemico di riprendere con perdite relativamente modeste posizioni fortissime facilmente difendibili del Chemin des Dames e dell’Aisne. In complesso, le truppe erano da troppo tempo senza combattere e presso i soldati la stanchezza della guerra si faceva sentire. Disgrazie come quella di Caporetto possono capitare a tutti.123
Dopo la “battaglia del Solstizio” Orlando poteva così telegrafare a Londra: “Sono felice confermare da qui l’impressione veramente grandiosa del nostro autentico e grande successo”.124
Questa vittoriosa battaglia d’arresto faceva addirittura accendere la stampa francese nei confronti dell’alleata italiana. Così relazionava l’ambasciatore italiano a Parigi: “La nostra vittoria è largamente commentata dalla stampa francese … nell’esaltare le nostre truppe ed il nostro comando. È però da avvertire la tendenza … a esagerare le conseguenze immediate della sconfitta austriaca. Quasi tutti i giornali ci invitano a passare all’offensiva per abbattere definitivamente l’Austria e per alleggerire la pressione tedesca su questo fronte. … Può creare illusioni nocive ai nostri interessi nell’eventualità che la Germania accorra sul nostro fronte in aiuto dell’Austria e che noi dobbiamo a nostra volta chiedere rinforzi ai nostri alleati.”125
Il movimento di manodopera interalleato fu una storia della più grande storia. Le moderne esigenze militari richiedevano un numero di uomini specializzati in opere di supporto alla linea di combattimento sempre crescente. Nella primavera del ’16 Kitchener, il Segretario di Stato alla Guerra britannico, scrisse all’ambasciatore Imperiali: “ (Il) Maresciallo mi parlò in generale del grande servizio che l’Italia, disponente di eccesso d’uomini, potrebbe rendere alla Francia ed all’Inghilterra se consentisse a permettere l’invio nei due paesi di operai adibiti nelle fabbriche di armi e munizioni liberando numero considerevole di operai francesi ed inglesi rinforzando cosi le fila dei rispettivi eserciti. Con che, grazie agli alti salari eventualmente corrisposti ai nostri operai si verrebbe pure ad alleviare le difficoltà situazione economica.”126
Nel febbraio del 1917, nonostante le gravi difficoltà nelle quali l’Italia si trovava con riferimento alla mano d’opera agricola, il ministro dell’Agricoltura, Giovanni Raineri, per dare prova a Parigi dello “attaccamento alla sorti dell’agricoltura in Francia”, rispondeva positivamente ad una richiesta di mano d’opera da parte di Parigi, inviando 2500 donne in Francia per i soliti lavori primaverili negli aranceti delle Alpi Marittime. Non poteva invece appoggiare altrettanto positivamente la richiesta di mano d’opera maschile a causa delle precarie condizioni in cui versava il settore agricolo italiano provato dalla mancanza di lavoratori nelle campagne a causa del richiamo alle armi la quale rischiava di compromettere la produzione agricola italiana127.
Ancora sul finire del mese di giugno del ’17 Cadorna s’incontrava con Foch alla stazione di San Giovanni di Moriana, dove il generale francese chiedeva esplicitamente manodopera italiana per i lavori necessari al prossimo sbarco delle truppe americane, e subordinava sostanzialmente al soddisfacimento di questa richiesta il conferimento di artiglierie e munizioni francesi.128
Ancora dopo la rottura di Caporetto la Francia domandò che l’Italia mettesse a disposizione i suoi prigionieri austriaci perché servissero come manodopera nel loro paese129. Sonnino rifiutò decisamente, per timore di una rappresaglia per la quale i prigionieri italiani in mano agli austro-ungarici potessero essere impiegati come manodopera in Turchia o in Asia.130
Nell’agosto del ‘18 una nuova nube si addensava all’orizzonte delle relazioni bilaterali. Il presidente Clemenceau richiedeva in agosto ad Orlando, in tono invero assertivo ma coerente con il suo carattere notoriamente schietto e sanguigno, di rinunciare a far rientrare in Italia dalla Francia una parte dei soldati italiani inviati per lavorare, in considerazione del fatto che la Francia tratteneva sotto le armi gli uomini più a lungo dei suoi alleati, e quindi aveva più bisogno di essi come combattenti che come lavoratori.131 Né l’invio delle divisioni italiane poteva compensare la riduzione prodottasi nella manodopera e nel numero dei combattenti, dovuto alle perdite enormi dell’esercito francese, sofferenze che, per certo, non avevano dovuto accusare la manodopera e i combattenti italiani.132 Orlando, francamente urtato dal tono e dal contenuto della lettera, contestava che lo sforzo italiano fosse stato minore, e a sostegno di ciò forniva il dato che l’Italia fosse l’unico paese tra gli alleati a dover contare solo su manodopera nazionale, e non su ausili coloniali o alleati. Proprio questo difetto di elemento umano aveva costretto a trascurare alcune opere di difesa militare nelle retrovie del fronte, e ad abbandonare alcune attività industriali perché era stato impossibile trovare anche soltanto duemila lavoratori.133 Peraltro, aggiungeva il presidente italiano, gli italiani inviati in Francia erano prima di tutto dei soldati e all’attività di combattenti era dunque necessari farli ritornare, come con giusto orgoglio lo stesso Clemenceau chiedeva ai francesi.134
Sonnino sosteneva la risposta di Orlando, irrobustendola degli argomenti per i quali l’Italia aveva in realtà richiamato la classe più giovane tra gli alleati, cioè quella del ‘900, e che soffriva di una tale crisi numerica tra gli ufficiali di complemento, che era stata destinata all’esercito anche la leva degli uomini di mare.135
Le relazioni divennero così faticose che, in settembre, Sonnino raccomandava ad Orlando di fare a meno dell’aiuto francese pure in una non facile situazione militare prodottasi in Albania.136
All’origine delle difficoltà vi era l’insoddisfazione per l’inazione sul fronte italiano seguita alla vittoriosa battaglia del solstizio. Gli alleati si attendevano una successiva azione a fondo, volta a sfruttare il successo, in mancanza della quale gli austro-ungarici, si temeva, avrebbero potuto spostare forze sul fronte occidentale.137
All’inazione italiana Foch decise di opporre una “indifferenza” al fronte meridionale, a stigmatizzare che, se questo fronte non veniva movimentato, esso diveniva secondario.138 Le conseguenze politiche nelle relazioni tra gli alleati rischiavano di essere molto problematiche, e Sonnino si decise a raccomandare a Orlando un’azione offensiva, perché: “Non è che mostrandoci disposti di rischiare anche noi per la causa comune nei momenti decisivi che potremo avvincere a noi l’interessamento dell’opinione pubblica e degli alleati.”139
Il presidente italiano, evidentemente preoccupato di non disgustare gli alleati, al principio di ottobre invitava a Parigi un ufficiale per rassicurare Foch sull’imminenza dell’azione offensiva italiana,140 e sottolineava che “…l’esercito italiano si dispone all’offensiva coi suoi soli mezzi. Per tal modo nostro ossequio al comando unico viene rivelato coi fatti e non si arresta dinanzi a sacrifici.”141 La stessa indifferenza si poteva riscontrare nella stampa francese, che ignorava metodicamente qualunque accenno alle vicende dell’alleato italiano, con tutta probabilità per esplicita indicazione governativa.142
Insomma, tutto il quadro delle relazioni italo-francesi era in costante peggioramento. La questione dei soldati operai, l’inazione del nostro fronte, e la riluttanza al comando unico, generarono una profonda diffidenza nell’alleato francese. Come scriveva l’ambasciatore Bonin: “… L’Italia dopo la bella battaglia del Piave ora è del tutto dimenticata dall’opinione pubblica. Tengono bensì alto il nostro onore le due divisioni italiane che combattono in Francia, ma troppo esigue di numero per avere un campo di azione proprio come Inglesi e Americani … Intorno a noi si fa un silenzio assoluto contro il quale non reagisce in alcun modo l’azione del Governo francese che anzi lo approva e lo suggerisce.”143
Anche nell’ora della vittoria non si dissipavano i malintesi. In un comunicato ufficiale la Francia attribuiva la vittoria italiana alla presenza simultanea delle truppe franco-britanniche, quando le forze austro-ungariche erano già in rotta ed era stato chiesto l’armistizio, e ignorava che l’azione offensiva era cominciata già il ventiquattro, nell’anniversario di Caporetto.144 Diaz esortava Orlando a intervenire presso le autorità francesi per correggere la “…la ingiusta e velenosa insinuazione del comunicato francese.”145 Il comandante supremo italiano reagiva con forza argomentando solidamente. Ai francesi, e a Foch in particolare, era noto già dal principio di ottobre il piano offensivo italiano che era stato ipotizzato per la metà del mese. Già dal 10 ottobre era stato illustrato il piano al generale Graziani, offrendogli il comando della XII armata italo-francese. L’azione era scattata già nella notte tra il 23 e il 24 ottobre con la presa delle Grave di Papadopoli, e il venticinque si decise di passare il Piave.146
Del resto i rapporti italo-francesi non si sarebbero dimostrati più ordinati e meno fluidi neanche con la fine della guerra; a questo punto le promesse sui territorio dalmati fatte con il Patto di Londra sarebbero diventate uno degli aspetti centrali anche dei rapporti italo-francesi. L’opinione pubblica francese si era, infatti, costantemente dimostrata maggiormente favorevole alle pretese degli Jugoslavi piuttosto che ai desiderata italiani147. Alla fine di novembre ‘18, il capo di stato maggiore della Marina italiana arrivava a denunciare i comandanti francesi operanti nelle acque a Pola di fare “una accanita politica di penetrazione eccitando gli slavi conto di noi riunendo gli agitatori sulle loro navi ostentando una protezione ad oltranza della antiitalianità.”148. Il capo di Stato maggiore continuava definendo l’atteggiamento francese a Fiume un “atto di prepotenza che sembra non possa tollerarsi da noi né dagli americani né dagli inglesi. Comandanti francesi spregi del controllo degli alleati esercitano una nefanda opera di eccitazione che porterà prima o poi a sanguinoso conflitto perchè intanto semina una violenta irritazione degli Italiani contro la Francia”149. Ancora una volta i francesi non si comportavano, secondo il capo di Stato Maggiore come alleati ma piuttosto come nemici.
Ad una storia individuale, tuttavia, è opportuno cennare in conclusione, perché realizza in se stessa lo sforzo comune di Italia e Francia. E’ la vicenda umana di Lazzaro Ponticelli, soldato di entrambi gli eserciti e ultimo superstite dei veterani di guerra dei due paesi, combattente su entrambi i fronti con la Legione Straniera e con gli Alpini. Nel corso della sua lunga vita ha potuto vedere Italia e Francia avversarie nel secondo conflitto mondiale, e definitivamente riconciliate nel nuovo edificio europeo.
Note
1 Cfr. G. H. Cassar, The forgotten front: Britain and the Italian campaign, 1917-1918, Hambledon Press, London, 1998; M.M. Evans, Forgotten battlefronts of the First World War, Sutton Publishing, Stroud, Gloucestershire 2003: J. R. Shindler, Isonzo: the forgotten sacrifice of the Great War, Praeger, Westport 2001.
2 Sulle relazioni tra Italia e Francia tra l’Unità italiana e il primo conflitto mondiale si veda: E. Anchieri, France et Italie: la crise de leurs rapports après Sedan, Olschki, Firenze 1972; P. Milza, Français et italiens à la fin du 19. siècle: aux origines du rapprochement franco-italien de 1900-1902, Ecole française de Rome, Rome 1981; E. Decleva, Da Adua a Sarajevo: la politica estera italiana e la Francia, 1896-1914, Laterza, Bari 1971; G, Martinet, S. Romano, Un’ amicizia difficile: conversazioni su due secoli di relazioni italo-francesi, Ponte alle Grazie, Milano, 2001; G. E. Curatulo, Francia e Italia: pagine di storia, 1849-1914, Fratelli Bocca, Torino 1915; J. Laroche, Quinze ans à Rome avec Camille Barrére, 1898-1913, Plon, Paris 1948; E. Serra, Camille Barrére e l’intesa italo-francese, Giuffrè, Milano 1950; P. Milza, R. H. Rainero, (a cura di), Colonialismo e decolonizzazione nelle relazioni italo-francesi, Società toscana per la storia del Risorgimento, Firenze 2001; F. Cataluccio, Italia e Francia in Tunisia: 1878-1939, Istituto nazionale di cultura fascista, Roma 1939; A. Billot, La France et l’Italie: histoire des années troubles 1881-1899, Plon, Paris 1905; M. Gabriele, La frontiera nord-occidentale dall’Unità alla Grande Guerra (1861-1915). Piani e studi operativi verso la Francia durante la Triplice Alleanza, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 2005.
3 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 15 maggio 1918, I Documenti Diplomatici Italiani, (di seguito DDI), V serie, vol. X, n. 697, p. 561.
4 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telegramma in partenza n. 377/134, Ministero degli Esteri a R. Ambasciata a Parigi, 13 maggio 1915; ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telegramma in partenza n. 91, Ministero della Marina – Gabinetto del Ministro, a S.E. il Ministro degli Affari Esteri, 17 maggio 1915.
5 Su quest’argomento: L. Riccardi, Alleati non amici. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale. Morcelliana, Brescia 1992, e: L. Aldrovandi Marescotti, Guerra diplomatica, Mondadori, Milano 1937.
6 Idem , AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telegramma n. 6028, R. Ambasciata d’Italia a Parigi a S.E. il Regio Ministro per gli Affari Esteri, 4 dicembre 1915. Al telegramma è allegato un sunto degli articoli dei giornali francesi che parlano del discorso di Sonnino alla Camera relativo alla dichiarazione di guerra all’Austria.
7 Tittoni a Sonnino, Parigi, 9 ottobre 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 885, p. 555.
8 Idem, AP 1915 – 1918, b. 75, Dello spirito pubblico in Francia e dei suoi atteggiamenti verso l’Italia, Relazione del Sottotenente G.A. Borgese all’Ufficio speciale della R. Marina in Roma, Parigi – Roma, Marzo –Aprile 1917.
9 Cfr. Tittoni a Sonnino, Parigi, 22 giugno 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 238, p. 140. Sulla dinamica della collaborazione militare: A. Gionfrida, L’Italia e il coordinamento militare “Interalleato” nella Prima Guerra Mondiale, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 2008.
10 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Riservatissima Personale n. 264, Il Ministro della Marina, a S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Sonnino, 3 settembre 1915.
11 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telegramma in Partenza n. 1078, Sonnino a Legazione Italiana a Berna, 28 settembre 1915.
12 Idem.
13 Cfr. Sonnino a Imperiali, Tittoni, Carlotti e Cadorna, Roma, 17 luglio 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 136, p. 92.
14 Cfr. Cadorna a Sonnino, Comando Supremo, 19 luglio 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 138, p. 93.
15 Aristide Briand, (1862-1932), Presidente del Consiglio francese a questa data.
16 Cfr. Tittoni a Sonnino, Parigi, 20 luglio 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 149, p. 98, e Sonnino a Imperiali, Tittoni, Carlotti e Cadorna, Roma, 21 luglio 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 154, p. 102.
17 Joseph Jacques Césaire Joffre, (1852-1931) comandante dell’esercito francese a questa data, in seguito Maresciallo.
18 Cfr. Cadorna a Sonnino, Comando Supremo, 24 luglio 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 177, p. 118.
19 Cfr. Sonnino a Imperiali, Roma, 19 settembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 453, p. 300 e Sonnino a Imperiali, Tittoni, Carlotti e Cadorna, Roma, 20 settembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 456 p. 302.
20 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 8 ottobre, 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 533 p. 362.
21 Idem, Imperiali, Carlotti e Ruspoli, Roma, 14 ottobre, 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 566, p. 381, Cadorna a Sonnino, Comando Supremo, 15 ottobre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 568, p. 382, e Cadorna a Boselli, Italia, 5 dicembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 796, pp. 570-571.
22 Cfr. Sonnino a Imperiali, Salvago Raggi e Carlotti, Roma, 16 novembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 706, pp. 483-484.
23 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia rapporti politici, Telegramma in arrivo, Tittoni a Ministero Affari esteri, Parigi, 2 novembre 1916.
24 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 6 marzo 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 420, p. 320.
25 Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 4 marzo 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 412, p. 315.
26 Cfr. Cadorna a Sonnino, Zona guerra, 7marzo 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 429, p. 328.
27 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 10 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 690, p. 509.
28 Cfr. Rennel Rodd a Sonnino, Roma, 15 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 734, p. 546.
29 Cfr. Negrotto Cambiaso a Sonnino, Bulkeley, 6 giugno 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 239, p. 157. Sulla spedizione in Oriente si veda: A. Battaglia, Da Suez ad Aleppo. La campagna alleata e il distaccamento italiano in Siria e Palestina (1917-1921), Nuova Cultura, Roma 2015.
30 Maurice Paul Emmanuel Sarrail, (1856-1929), generale comandante del corpo di spedizione in Oriente.
31 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 11 giugno 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 307, pp. 195-196.
32 Boselli a Sonnino e Cadorna, Roma, 3 novembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 651, p. 444.
33 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 75, Sf. Francia, Telegramma in partenza n. 344, Sonnino ad Ambasciata italiana a Parigi, 11 febbraio 1916.
34 Idem , AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telespresso n. 209, Il colonnello capo della sezione italiana del Bureau Interallié, Brancaccio, al Comando Supremo, 2 dicembre 1915
35 Ibid.
37 Idem, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telespresso n. 1957-556, il Ministro a Berna, Paulucci De’ Calboli, al Ministero degli Affari esteri, 18 agosto 1916.
38 Ibid.
39 Idem, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia rapporti politici, Riservato n. 5643/1633, Salvago Raggi a Ministro degli affari esteri, Sonnino, Parigi, 25 novembre 1916.
40 Idem, AP 1915 – 1918, b. 75, Dello spirito pubblico in Francia e dei suoi atteggiamenti verso l’Italia, cit.
41 Idem, AP 1915 – 1918, b. 73, Telspresso n. 029844, Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 23 aprile 1917. Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 23 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 808, pp. 505-506.
42 Ibid.
43 Idem, AP 1915 – 1918, b. 72, Sf. Francia, Telespresso n. 6028, R. Ambasciata d’Italia a Parigi a S.E. il Regio Ministro per gli Affari Esteri, 4 dicembre 1915.
44 Idem, AP 1915 – 1918, b. 75, Dello spirito pubblico in Francia e dei suoi atteggiamenti verso l’Italia, cit.
45 Ibid.
46 Idem, AP 1915 – 1918, b. 73, Copia Telegramma, Cadorna al Sig. Colonnello Brigadiere Cav. Breganze, 24 aprile 1917. Cfr. anche Boselli a Sonnino, Roma, 25 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 827, p. 611.
47 Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 26 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 833, p. 617.
48 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Riservata urgente, Boselli, Presidente del Consiglio dei Ministri, a Ministro degli affari esteri, Sonnino, Roma, 25 aprile 1917.
49 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Copia Telegramma, Cadorna al Sig. Colonnello Brigadiere Cav. Breganze, 24 aprile 1917.
50 Cfr. Cadorna a Sonnino, Zona di Guerra, 5 luglio 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 545, p. 350.
51 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 6 luglio 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 557, p. 359.
52 Idem, Londra, 2 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 3, p. 2.
53 Cfr. R. Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, il Mulino, Bologna 2009, p. 175.
54 Cfr. Sonnino a Imperiali e Salvago Raggi, Roma, 3 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 4, pp. 2-3.
55 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 22 settembre 1917, in : S. Sonnino, Carteggio, 1916/1922, Laterza, Bari 1975, pp. 296-297.
56 Sonnino a Salvago Raggi, Carlotti e Borghese, Roma, 24 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 111, pp. 76-77.
57 Cfr. Sonnino a Borghese, Roma, 26 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 121, p. 84.
58 Ibid.
59 Ibid.
60 Cfr. Sonnino a Salvago Raggi e Borghese, Roma, 28 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 129, p. 88.
61 Alexandre Félix Joseph Ribot, (1842-1923).
62 Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 1 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 139, p. 95.
63 Cfr. Sonnino a Imperiali, Roma, 25 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 278, pp. 198-199.
64 Sonnino a Imperiali e Salvago Raggi, Roma, 26 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 310, pp. 220-221.
65 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 30 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 320, pp. 229
66 Sonnino ai Rappresentanti Diplomatici all’Estero, Roma, 30 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 322, pp. 229.
67 Cfr. Sonnino a Imperiali, Salvago Raggi e Carlotti, Roma, 27 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 293, p. 209.
68 Cadorna a Brusati, Boselli, Sonnino, Giardino, Del Bosco, Scialoja e Thaon di Revel, Zona di guerra, 28 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 299, pp. 213-214.
69 Jean Louis Barthou, (1862-1934).
70 Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 30 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 327, p. 231.
71 Ibidem, n. 336, p. 235.
72 Ibidem, n. 328, p. 232.
73 Ibidem, 2 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 352, p. 246, e Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 4 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 367, pp. 253-254. Cfr. anche Bissolati a Cadorna, Roma, 26 ottobre 1917, in: Sonnino, Carteggio, op. cit., pp. 315-316.
74 Ibidem,, 8 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 386, p. 266
75 Ibidem,, 3 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 359, p. 250.
76 Su Caporetto: M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra, 1914-1918, il Mulino, Bologna 2008, pp. 359-408, P. Melograni, Storia politica della Grande Guerra, 1915-1918, Laterza, Bari 1969, pp. 389-458, e P. Pieri, La Prima Guerra Mondiale 1914-1918, problemi di storia militare, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 1986, pp. 213-317.
77 Cfr. Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 4 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 365, p. 252.
78 Ibidem,, 22 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 510, p. 345.
79 Ibidem,, 11 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 409, p. 281.
80 Ibidem,, Roma, 13 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 428, p. 294.
81 Ibidem,, 3 gennaio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 15, p. 8.
82 Ibid., p. 9.
83 Cfr. “Processo verbale segreto”, Aix-les-Bains, 9 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 391, p. 270.
84 Ibid., p. 271.
85 Ibid., p. 272.
86 Ibid.
87 Ibidem,, 10 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 403, p. 278, e Orlando a Cittadini, Roma, 10 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 404, p. 279.
88 Ibidem,, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 415, p. 284, Sonnino a Imperiali e Bonin, Roma, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 420, p. 287-288, e Sonnino a Imperiali, Roma, 15 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 439, p. 301.
89 Ibidem,, 17 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 456, p. 311.
90 Giacomo De Martino, (1868-1957), Segretario Generale del Ministero degli Esteri dal 1913 al 1919.
91 Cfr. De Martino a Sonnino, Roma, 14 novembre 1917, in: Sonnino, Carteggio, op. cit., pp. 330-334.
92 Ibid.
93 Ibidem,, 16 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 453, p. 309.
94 Ibid.
95 Stephen Jean Marie Pichon, (1857-1933), Ministro degli Affari Esteri di Francia tra il 1917 e il 1920.
96 Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 18 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 472, p. 320.
97 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Telegramma n. 44, Sonnino a Bonin, 23 novembre 1917. Cfr. Sonnino a Bonin, Roma, 23 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 530, pp. 357-358.
98 Ibidem,, Sf. Francia posizione generale, Riservata n. 223, I Console generale a Lione, Mordini, al Ministro degli Affari esteri, 7 novembre 1917.
99 Ibid
100 Ibidem,, Telegramma n. 44, Sonnino a Bonin, 23 novembre 1917.
101 Ibidem,, Telegramma n. 5068/1677, Bonin a Sonnino, 2 dicembre 1917. Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 2 dicembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 612, pp. 421-422.
102 Ibid.
103 Ibid.
104 Ibid.
105 Ibid.Sull’argomento vedi anche: Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 23 novembre 1917, Sonnino, Carteggio, op. cit., pp. 340-343.
106 Ibidem,, b. 73, Telegramma n. 5068/1677, Bonin a Sonnino, 2 dicembre 1917.
107 Ibidem.
108 Ibidem, b. 74, Telegramma per posta n. 200, Bonin a R. Ministero degli Affari Esteri, Parigi 2 marzo 1918.
109 Ibidem, b. 73, Sf. Francia rapporti, n. 2855/959, Salvago Raggi a Sonnino, 16 luglio 1917. V. anche ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Sf. Francia Posizione generale, Riservatissimo n. 3103/1018, L’incaricato d’Affari a Parigi, Ruspoli, al Ministro degli affari esteri, 2 agosto 1917.
110 Sul corpo di spedizione britannico in Italia si veda: J. and E. Wilks, The British Army in Italy. 1917-1918, Leo Cooper, Barnsley, 1998.
111 Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 13 gennaio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 82, p. 58.
112 Cfr. Orlando a Imperiali, Roma, 28 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 315, p. 262.
113 Ibidem,, 23 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 449, p. 374, e Orlando a Imperiali, Roma, 24 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 456, p. 378, e Orlando a Imperiali, Roma, 30 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 483, p. 394.
114 Ibidem,, 4 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 499, p. 404
115 Ibidem,, 7 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 521, p. 424-425.
116 Ibidem,, 9 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 531, p. 434.
117 Ibidem,, 13 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 544, p. 441.
118 Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 19 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 569, p. 456
119 Imperiali a Orlando, Londra, 6 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 518, p.422
120 Giardino a Orlando, Versailles, 15 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 551, p. 446
121 Sonnino a Imperiali e Bonin, Roma, 19 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 567, p. 455
122 Ibidem,, 14 maggio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 692, p. 558, e Bonin a Sonnino, Parigi, 25 maggio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 741, p. 590.
123 Arthur James Balfour, I conte di Balfour, (1848-1930)
124 Imperiali a Sonnino, Londra, 9 giugno 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 36, pp.48-49
125 Orlando a Imperiali, Quartier Generale, 19 giugno 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 87, p.77
126 Bonin a Sonnino, Parigi, 25 giugno 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 118, p. 99
127 Imperiali a Sonnino, Londra, 17 maggio 1916, DDI, V serie, vol. V, n. 828, pp. 615-616
128 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Telegramma, Il Ministro dell’Agricoltura, Raineri, al Ministro dell’Agricoltura francese, Étienne Clémentel, 25 febbraio 1917
129 Cfr. Cadorna a Sonnino, Comando Supremo, 27 giugno 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 429, p. 302
130 Sulla questione della mano d’opera si veda anche ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Telegramma, Sonnino a Boselli, 10 gennaio 1917.
131 Cfr. Sonnino a Bonin, Roma, 20 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 488, p. 332
132 Cfr. Clemenceau a Orlando, Parigi, 15 agosto 1918, in: Sonnino, Carteggio, op. cit., pp. 465-467
133 Cfr. Orlando a Sonnino, Roma, 18 agosto 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 405, p.319
134 Ibidem,, pp. 320-321
135 Ibidem
136 Cfr. Sonnino a Orlando, Roma, 18 agosto 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 406, p. 321
137 Ibidem,, 11 settembre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 501, p. 383.
138 Cfr. Diaz a Orlando, Italia, 14 settembre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 509, p. 388
139 Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 15 settembre 1918, in: Sonnino, Carteggio, op. cit., p.485.
140 Cfr. Sonnino a Orlando, Roma, 15 settembre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 519, p. 394
141 Cfr. Orlando a Bonin, Roma, 2 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 605, p. 441.
142 Orlando a Macchi di Cellere, Roma, 2 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 609, p. 443
143 Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 13 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 666, p. 505-506
144 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 74, Riservatissimo n. 4131/1271, Bonin a Sonnino, Parigi, 15 ottobre 1918. Cfr. Bonin a Sonnino, Parigi, 15 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 678, p. 515.
144 Cfr. Diaz a Orlando, Quartier Generale, 30 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 781, p. 592
145 Ibidem
146 Ibidem,, 30 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 783, pp. 593-594.
147 ASMAE, AP 1915 – 1918, b. 73, Riservato n. 01363/458, Salvago Raggi a Ministro degli Esteri, Sonnino, 7 aprile 1917
148 Ibidem,, b. 72, Sf. Francia, Riservatissimo Personale n. 991, Il capo di Stato maggiore della Marina a S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli affari Esteri, al Ministro della Marina e al I aiutante di Campo Generale di S.M. il Re, Roma, 29 novembre 1918
149 Ibidem.
Bibliografie
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Idem, Telegramma n. 6028, R. Ambasciata d’Italia a Parigi a S.E. il Regio Ministro per gli Affari Esteri, 4 dicembre 1915. Al telegramma è allegato un sunto degli articoli dei giornali francesi che parlano del discorso di Sonnino alla Camera relativo alla dichiarazione di guerra all’Austria.
Idem, b. 75, Dello spirito pubblico in Francia e dei suoi atteggiamenti verso l’Italia, Relazione del Sottotenente G.A. Borgese all’Ufficio speciale della R. Marina in Roma, Parigi – Roma, Marzo –Aprile 1917.
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Idem, b. 72, Sf. Francia, Telegramma in Partenza n. 1078, Sonnino a Legazione Italiana a Berna, 28 settembre 1915.
Idem , b. 72, Sf. Francia rapporti politici, Telegramma in arrivo, Tittoni a Ministero Affari esteri, Parigi, 2 novembre 1916.
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