Coordonat de Radu CARP
Volum IV, Nr. 3(5), Serie nouă, Septembrie 2014
Marisa Civardi: profilo scientifico di una studiosa di scienzesociali
(Marisa Civardi: profilul științific al unei cercetătoare în științele sociale)
Silvio BERETTA
Renata TARGETTI LENTI
Emma ZAVARRONE
Abstract. Marisa Civardi’s research activity at Istituto di Statistica of Pavia University (where she started working in 1964 after obtaining a degree in Physics) is characterised by outstanding achievements in the use of quantitative methods of analysis applied to multidisciplinary social research. Her main research themes so far have been: changes in social structure and in life and working conditions, stratification phenomena and their perception, the status of applied research and the measurement of risk attitude of entrepreneurs, and the careers of a group of Political Science graduates.Marisa Civardi has subsequently conducted innovative research on the structural analysis of income distribution (that is the type of analysis that connects income distribution with the variables that are typical of any socio-economic system) and on inequality problems. In addition to investigating these issues from a methodological perspective, she has also identified recurring features and mutations in personal income distribution in Italy, and she has done research on the relations between functional and personal income distribution. This research includes the possibility of building Social Accounting Matrices (sam), which can also be used to simulate redistributive policies. A relevant aspect of Marisa Civardi’s recent research is represented by the measurement of the effectiveness and efficiency of higher education. Her intensive experience as a manager of an important university together with her mainly government-funded research activity have enabled her to create innovative instruments for the evaluation of the university system, which can also be used to assess the students’ occupational possibilities. It should also be underlined that Marisa Civardi is extremely aware of the importance of statistical data and of the need to keep it free from theoretical influences and contingent interests.
Keywords: statistical method, income distribution, Social Accounting Matrices (sam), Computable General Equilibrium (cge) Models, university rankings.
Introduzione
Il presente lavoro si propone di illustrare, attraverso le testimonianze di tre colleghi e collaboratori, il profilo scientifico e accademico di Marisa Civardi, docente e ricercatrice di eminente prestigio nel panorama italiano degli studiosi di scienze sociali.
Laureatasi in Fisica nell’ottobre del 1963 presso l’Università di Pavia, Marisa Civardi ha tenuto a diverso titolo – professore incaricato, supplente, associato e infine straordinario e poi ordinario – gli insegnamenti di Istituzioni di Matematica, di Matematiche per le Scienze sociali, di Statistica, di Statistica economica, di Statistica per la ricerca sociale, di Statistica giudiziaria, di Indagini campionarie e sondaggi demoscopici presso diversi Atenei italiani, e precisamente le Facoltà di Scienze economiche e sociali dell’Università della Calabria, di Scienze politiche dell’Università di Pavia (nel cui Istituto di Statistica era entrata da giovane laureata), di Economia e Commercio dell’ Università di Firenze, di Economia e Commercio dell’Università di Brescia (dove ha diretto il Dipartimento di Metodi Quantitativi), infine di Economia dell’Università di Milano-Statale e poi di Milano-Bicocca, della quale ultima è stata Preside. È stata membro del collegio dei docenti dei dottorati di “Strategia, gestione e metodi quantitativi di impresa” e di “Statistica metodologica ed applicata” dell’Università di Milano-Bicocca, delegata del Rettore per il progetto vulcano (Vetrina Universitaria Laureati con Curricula per le Aziende Navigabile On-line) che fa capo al cilea e al quale partecipano numerose Università lombarde, nonché membro del Nucleo di valutazione dell’Università degli Studi di Milano-Statale e di quello di Milano-Bicocca. È attualmente presidente del Nucleo di valutazione dell’Università di Pavia. Membro della Società Italiana di Statistica, dell’ International Association of Survey Statistics e dell’ International Statistical Institute, ha fatto parte, su nomina dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Commissione di Garanzia per l’Informazione Statistica.
Responsabile scientifica di ricerche ministeriali e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, è stata coordinatrice nazionale di un progetto strategico cnr-iscona sulle tematiche delle sam, le matrici di contabilità sociale. Dal 2003 partecipa, in ambito cilea, alla messa a punto del progetto stella sul monitoraggio della condizione occupazionale post laurea. Nella propria attività di ricerca si è occupata, tra l’altro, delle misure di diseguaglianza della distribuzione personale dei redditi, con particolare riguardo all’ analisi strutturale. Il suo attuale campo di ricerca è l’analisi del capitale umano e dei problemi connessi con la misura delle variabili latenti che lo determinano (qualità dei servizi e della didattica universitaria in particolare) e con lo studio dei problemi della transizione Università-lavoro.
Uscita dai ruoli dell’Università nel novembre 2012, nel 2014 è stata nominata Professore emerito. In più occasioni l’Università di Milano-Bicocca ha organizzato in onore di Marisa Civardi incontri di studio ai quali hanno recato il proprio contributo, illustrandone la figura scientifica, numerosi colleghi appartenenti alle sedi che l’avevano avuta docente. Tre di tali contributi sono raccolti di seguito: il primo e il secondo sono dovuti, rispettivamente, a Silvio Beretta e a Renata Targetti Lenti dell’Università di Pavia, il terzo a Emma Zavarrone, ora docente presso lo iulm.
Marisa Civardi ricercatrice a Pavia
Nel presentare – era il settembre 1967 – il primo fascicolo della “Rivista di Statistica Applicata”, Pietro Gennaro – professore di Statistica nella Facoltà di Scienze politiche di Pavia che della Rivista stessa sarà direttore responsabile fino al 1974 – scriveva: “Negli anni più recenti, sembra si sia fatta più viva un’esigenza di unitarietà e di scambi fra i diversi campi di conoscenza. Si parla di interdisciplinarietà ma forse sarebbe più pertinente parlare di approccio multidisciplinare ai problemi della conoscenza. Contemporaneamente [e qui il riferimento è a Bruno De Finetti, n.d.r.], il dibattito epistemologico si è allargato ed approfondito e si è diffuso il ‘punto di vista operativo’ [il quale] ‘ha condotto la fisica a riconoscere come priva di senso la nozione di ‘tempo assoluto’, ed ogni ‘grandezza’ suscettibile di venir misurata mediante esperienze almeno concettualmente ‘possibili’ “. “In questo contesto – proseguiva Gennaro – la logica dell’incerto o del probabile si è guadagnata il riconoscimento di strumento metodologico universale, cioè appunto interdisciplinare; di conseguenza si è riconosciuta una validità universale alla metodologia statistica che su di essa è fondata. Tuttavia, se en principe si riconosce alla statistica validità strumentale per ogni materia oggetto di ricerca, in pratica essa è conosciuta ed usata molto meno di quanto la materia investigata richiederebbe, secondo l’occhio dello statistico…Ora, a nostro parere, sono…da diffondere queste applicazioni che presentano la metodologia statistica con un linguaggio atto a suscitare l’interesse dei ricercatori delle stesse discipline a cui si riferiscono; e che sviluppano una comunicazione che sarebbe certo feconda anche per gli statistici, perché la ricca problematica della ricerca concreta è stata sempre la matrice dei progressi della stessa metodologia statistica”[1]. Al programma delineato dal suo fondatore la Rivista si atterrà con rigore, e con successo, sia negli anni dal 1967 al 1974, con Pietro Gennaro direttore e Luigi Muttarini redattore capo, sia in quelli successivi dal 1975 al 1977 con Luigi Muttarini direttore, affiancato da un autorevole Comitato di direzione. Nel corso di questi undici anni Marisa Civardi – tecnico laureato prima di terza e poi di seconda classe presso quell’Istituto di Statistica nel quale era entrata come laureata in Fisica nel 1964 – avrà, nella vita della Rivista, un ruolo significativo: sua è una delle primissime recensioni pubblicate nel primo fascicolo, alla quale numerose altre seguiranno, e suo – dal 1975 al 1977 – il ruolo di redattore capo di una rivista che, potenziata nell’organizzazione editoriale come nei contenuti, manterrà tuttavia immutato “l’obiettivo di fondo di contribuire ad estendere la conoscenza dei metodi quantitativi di analisi attraverso la loro applicazione”[2]. In un ambiente, l’Istituto di Statistica di Pavia fondato e diretto da Libero Lenti, nel quale, per richiamare le parole di Pietro Gennaro, l’ “approccio multidisciplinare ai problemi della conoscenza” era pratica quotidiana – ben fondata negli orientamenti di ricerca come nelle attitudini personali dei suoi membri – chi si trovasse a padroneggiare il metodo statistico deteneva per ciò stesso, d’altra parte, le chiavi del suo fondamento, cioè di quella “logica dell’incerto o del probabile…strumento metodologico universale” cui aveva fatto riferimento lo stesso Gennaro nella presentazione della “Rivista di Statistica Applicata”.
Fin dall’inizio del proprio percorso professionale Marisa Civardi, forte di una robusta formazione logico-matematica, presidia appunto questa posizione, avendo per altro al proprio attivo la partecipazione – prestata quando ancora era laureanda in Fisica – alle attività di ricerca promosse dall’Istituto e dal Centro di Ricerche Economiche e Sociali che dell’Istituto era emanazione. Vale la pena di ricordare con qualche particolare in più la sua prima importante collaborazione a questo settore di ricerca. Si tratta, infatti, di una corposa indagine su “Classi e dinamica sociale”, pubblicata nell’ormai lontano 1960. Presentata alla sezione sui “mutamenti della struttura sociale” in occasione del Congresso internazionale di studio sul progresso tecnologico e la società italiana svoltosi a Milano dal 28 giugno al 3 luglio di quell’anno, l’indagine (campionaria) era stata promossa dal Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale e dall’Amministrazione provinciale di Milano: la sua esecuzione era stata affidata al Centro di Ricerche Economiche e Sociali dell’Istituto di Statistica di Pavia. Il Comune di Milano e numerosi altri dell’hinterland milanese avevano reso disponibili i propri elenchi anagrafici per la costruzione del campione, il tutto sotto la direzione di un gruppo di lavoro la cui composizione è espressiva della percezione che i committenti avevano della complessità degli obiettivi che si prefiggevano e della conseguente necessità di mobilitare, per raggiungerli, una pluralità coordinata di competenze. Sotto la direzione scientifica di un gruppo di lavoro composto da Piero Bontadini, Pietro Gennaro, Angelo Pagani (che redasse il rapporto conclusivo) e Pasquale Scaramozzino (che coordinò l’indagine sotto il profilo sia metodologico sia organizzativo), 6 ricercatori effettuarono le interviste di prova, 30 condussero le circa 1.000 interviste nel territorio comunale di Milano (fra gli intervistatori ricordo Bianca Beccalli, Renata Colorni e Michele Salvati) e altri 28 (solo alcuni coincidenti con i primi) le residue 1.000 in comuni della provincia: 23 ricercatori, fra i quali proprio Marisa Civardi, condussero il lavoro di codifica e di redazione delle tavole. Fu, quella, una “palestra” ambiziosa e rigorosa, come emerge sia dall’introduzione di Libero Lenti, direttore dell’Istituto, sia dalla presentazione del rapporto redatta dal sociologo Angelo Pagani, sia infine dall’appendice metodologica di Pasquale Scaramozzino. Quanto alla rilevanza degli obiettivi di contenuto, Lenti sottolinea infatti “come apporto specifico della ricerca, l’avere condotto a termine una completa ricognizione di tutti i settori di opinione corrispondenti e derivabili da un atteggiamento generale verso le classi sociali” sottolineando, con riferimento al metodo, che se “Ogni unità sociologica, diciamo pure ogni famiglia, per l’indagine qui considerata, presenta aspetti a sé stanti, sia per quanto riguarda gli stimoli ch’essa riceve dall’ambiente in cui vive, sia per gli stimoli ch’essa stessa imprime all’ambiente”, è tuttavia “sempre possibile entro determinati limiti omogeneizzare queste sensazioni, e trarne indicazioni di generale validità”: questo a conferma dei progressi registrati dalle indagini sui temi della società, progressi resi possibili “grazie soprattutto all’impiego del metodo statistico e più particolarmente delle indagini per campione”[3]. Quanto poi all’attenzione dei coordinatori della ricerca per gli aspetti di metodo, nonché alle modalità espositive scelte per dare pubblicità ai risultati ottenuti e alla relativa tempistica (con la dichiarata previsione di ulteriori approfondimenti), vanno richiamate le scrupolose precisazioni di Angelo Pagani in apertura dell’avvertenza introduttiva, dove egli sottolinea: “Tutte queste limitazioni, che doverosamente si sono segnalate, lungi dall’essere pregiudizievoli alla comunicazione dei risultati, ci sembra possano costituire una ragione ulteriore di interesse. Il maggiore sviluppo delle argomentazioni, il rilievo maggiore dato al processo di generalizzazione dei dati, il completo inventario delle elaborazioni compiute, la segnalazione di tutte le direzioni alternative della fase di interpretazione, tutte queste circostanze ci auguriamo possano costituire altrettante ragioni di interesse per una discussione metodologica. La stessa maggiore apertura e disponibilità delle conclusioni ci sembra debba meritare una particolare considerazione non soltanto come prova di serietà e di fedeltà ad un metodo, ma anche come testimonianza di un impegno e di un contributo alla discussione”[4]. Le risposte alle 106 domande del questionario, suddivise in 7 capitoli (composizione familiare, mobilità territoriale, condizione professionale, analisi del prestigio, livello di istruzione, abitazione, spese familiari)[5] consentono di dare conto, oltreché dei dati di realtà, degli atteggiamenti degli intervistati nei confronti della realtà stessa, e specificamente del lavoro, del mutamento sociale, dello studio e inoltre delle classi sociali, dati tutti – come avverte Pasquale Scaramozzino – di “particolare importanza nel nostro Paese a cagione dei notevoli mutamenti che per via dell’intensa e rapida espansione del sistema economico [l’Italia si stava avviando allora alla conclusione del proprio “miracolo”, n.d.r.], si avvertono, senza poterli misurare nella nostra struttura sociale”[6]. Due passi del Rapporto di ricerca sono particolarmente eloquenti a proposito della rilevanza attribuita al binomio fatti-percezione dei fatti. Il primo attiene al tema dei mutamenti nelle condizioni di vita e di lavoro e recita: “L’atteggiamento verso il mutamento sociale può essere analizzato solo se si dispone di un quadro valutativo delle modificazioni intervenute nelle condizioni di vita e di lavoro nel corso dell’ultima generazione. Questo quadro potrebbe essere facilmente tratto dai dati della realtà obbiettiva…ma quello che interessa in questa sede non è tanto la verifica oggettiva di una trasformazione, quanto la valutazione che di essa sanno dare gli intervistati. Infatti il riconoscimento di una diversa possibilità di ascensione, nel senso atteso dagli intervistati, assume significato diverso a seconda che proceda da una valutazione positiva delle trasformazioni in atto, oppure si inserisca in un quadro soggettivamente giudicato come invariato o peggiore”. Il secondo passo attiene invece al tema delle classi sociali, e specialmente alla stratificazione. Vi si precisa inoltre che “Quando…tra i vari dati di disuguaglianza, si apprezza la sola condizione professionale e su di essa si costruisce un ordinamento per classi omogenee, si avrà una stratificazione professionale; quando invece tale operazione…mira a costruire un ordine verticale, nel quale cioè le varie condizioni non siano solo raggruppate e distinte per classi omogenee, ma anche sovrapposte in un sistema gerarchico che le apprezzi secondo un giudizio di relativa superiorità, allora si dà luogo ad una stratificazione sociale…Il passaggio da una stratificazione professionale…ad una stratificazione sociale, come ordinamento verticale degli individui secondo un criterio gerarchico, si compie tramite il concetto di prestigio”[7].
Mi sono soffermato con qualche dettaglio su genesi, obiettivi e modalità di esecuzione di una ricerca di oltre mezzo secolo fa perché ci sono buoni motivi per ritenere che quella vicenda sia esemplare di un atteggiamento culturale ben preciso, che ha coinvolto in profondità proprio la studiosa a cui rivolgiamo la nostra attenzione, indirizzandone gli orientamenti di ricerca. Innanzitutto perché quella vicenda individua un ambiente di lavoro (tanto interno quanto esterno al mondo accademico) dalle caratteristiche assai peculiari (e fortunate) che erano: 1) la presenza di committenti interessati ad approfondire i temi di fondo della struttura della società e disponibili a sostenerne con risorse adeguate i relativi oneri, 2) la corrispondente disponibilità delle strutture e delle normative universitarie a fare fronte alla domanda di conoscenza proveniente dall’esterno con l’indispensabile elasticità normativa e perciò operativa, 3) la possibilità, date le condizioni di cui sopra, di “arruolare” personale di ricerca tecnicamente e numericamente adeguato all’approfondimento di temi complessi, 4) la presenza di ricercatori disponibili a impegnarsi, non necessariamente a tempo pieno né con ambizioni di continuità professionale, in lavori di gruppo, integrando con quelle altrui le proprie competenze specifiche, 5) la presenza di coordinatori, nel contempo prestigiosi e disponibili, in grado di “accreditare” all’esterno il lavoro dei ricercatori, dando ai risultati raggiunti adeguata diffusione nelle sedi appropriate. Come si vede, condizioni positivamente peculiari e come tali non agevolmente riproducibili nello spazio né trasferibili nel tempo. Marisa Civardi dimostrava tuttavia già allora, e confermerà in seguito, di possedere in grado elevato le attitudini idonee a porla in sintonia proprio con quell’ambiente e con l’attività che vi si progettava: da una parte, la padronanza degli strumenti di analisi utili a intercettare la domanda di ricerche – lato sensu sociali – provenienti da committenti esigenti ma, a loro volta, disponibili a interagire con strutture accademiche dai contenuti disciplinari compositi; dall’altra l’apertura a rapporti interpersonali collaborativi, condizione indispensabile per aderire alle caratteristiche specifiche di quell’ambiente di lavoro, non ultime fra queste la natura del tutto peculiare delle relazioni accademiche e la numerosità stessa dei collaboratori delle ricerche.
Due indagini di poco successive, entrambe affidate al Centro di Ricerche Economiche e Sociali dalla Pietro Gennaro e Associati s.p.a. e dirette e coordinate da Pasquale Scaramozzino, vedono Marisa Civardi nuovamente impegnata, all’interno di un gruppo di lavoro molto più ristretto – 10 ricercatori in tutto – nell’approfondire le problematiche della ricerca applicata in Italia, sia di quella sviluppata dalle aziende italiane di maggiori dimensioni, sia di quella svolta presso gli istituti scientifici e di ricerca operanti nel paese[8]. Nella prima indagine l’analisi si concentra su di un campione ragionato (965 unità analizzate tramite somministrazione di questionari assai articolati, su di un universo di 2819 unità) delle aziende più rappresentative di ogni settore industriale, raggruppate in 34 classi di attività economica. Conviene, anche in questo caso, sottolineare l’attenzione prestata dai responsabili agli aspetti di metodo dell’analisi: nella presentazione si precisa infatti che “Si sono…scelte per ogni categoria circa un quarto delle aziende, col limite minimo di 25; criterio che in pratica ha naturalmente portato ad una rappresentanza variabile a seconda delle categorie…Poiché però…la scelta non è stata operata casualmente, ma con criteri di rappresentatività, si può ritenere che qualitativamente nel complesso tutte le categorie industriali siano state rappresentate. Sul piano metodologico uno studio successivo della variabilità di alcuni aspetti fornirà interessanti indicazioni di controllo, e suggerimenti più precisi per indagini future”[9]. Rispetto al numero totale delle aziende interrogate, risultava che il 31,9% faceva ricerca, mentre rispetto alle rispondenti la percentuale saliva al 54,3%. Quanto alla tipologia della ricerca effettuata, emergevano dall’analisi quattro categorie: ricerca di nuovi materiali, ricerca di nuovi processi di fabbricazione, ricerca di nuove applicazioni di prodotti, ricerca di nuovi prodotti: quella di nuovi processi di fabbricazione risultava per altro la tipologia prevalente per tutti i tipi di industria, con l’eccezione di gas e trasporti. La seconda indagine, sulla ricerca applicata sviluppata dagli istituti dedicati, è stata svolta, diversamente dalla precedente, somministrando il questionario predisposto (opportunamente differenziato rispetto alla prima indagine) all’universo dei 643 istituti scientifici operanti nelle Facoltà universitarie non umanistiche e al corrispondente universo dei 175 centri di ricerca e stazioni sperimentali risultanti dalle fonti censite. Degli 818 questionari inviati 518 furono quelli restituiti; 329 istituti dichiararono di dedicarsi alla ricerca applicata tanto in via esclusiva quanto congiuntamente a quella pura: è interessante (e sorprendente) notare che, degli altri 189 rispondenti, ben 95 (di cui 90 universitari) dichiararono di non effettuare ricerca applicata unicamente per il fatto di non disporre di attrezzature né di opportunità, e di questi 18 (su 28) aggregati a Facoltà di Ingegneria, 13 (su 23) ad Agraria e Veterinaria, 29 (su 62) a Scienze, 16 (su 36) a Medicina, infine ben 14 (su 16) a Farmacia. Una proporzione piuttosto limitata di istituti godeva inoltre di autonomia di bilancio, e la grande maggioranza – in particolare quelli non dislocati al Nord – lamentava l’esiguità delle risorse. Quanto alla tipologia della ricerca effettuata, l’analisi segnalava tre categorie: ricerca di nuovi materiali, ricerca di nuove applicazioni di prodotti industriali (i due settori d’ indagine più praticati), e infine lo studio (propriamente tecnologico) dei processi di fabbricazione, a proposito del quale appariva sorprendente che vi si dedicassero in misura inadeguata proprio le Facoltà di Ingegneria.
Ancora una volta, dopo l’indagine del 1960 che aveva privilegiato gli orientamenti di ricerca del sociologo Angelo Pagani, era quindi un tema di eminente rilevanza strutturale l’oggetto dell’interesse del Centro e dell’Istituto nel quale questo era inserito, nonché di una committenza collegata a entrambi anche in virtù di situazioni di “unione personale”: sempre stimolante si rivelava infatti il ruolo di “ponte” fra mondo accademico e mondo dell’impresa svolto da Pietro Gennaro. All’ approfondimento di questo tema concorreva una pluralità coordinata di competenze, che confluivano in un’articolata “cassetta degli strumenti”: e ancora una volta Marisa Civardi dimostrava di possedere, di quella cassetta, la chiave risolutiva.
Altri, e numerosi, sono inoltre i contributi che Marisa Civardi ha fornito anche in seguito all’attività di ricerca del nostro Istituto di Statistica, ancora nelle vesti – sempre prevalenti ma sempre meno esclusive – di “custode del metodo”, quello statistico e della matematica applicata alle scienze sociali. Ricorderò soltanto – a un decennio di distanza dalle indagini sulla ricerca applicata in Italia – l’altra, davvero rilevante per contenuti innovativi, sulla misura dell’atteggiamento verso il rischio nel comportamento imprenditoriale. Scaturita, ancora una volta, dall’originalità intellettuale e dalla straordinaria esperienza operativa di Pietro Gennaro, l’indagine – resa possibile da un finanziamento del Consiglio Nazionale delle Ricerche – si inquadrava con “il carattere di primizia e la funzione di stimolo [come sottolinea nella presentazione Agostino de Vita, succeduto nel frattempo a Libero Lenti nella direzione dell’Istituto, n.d.r.] nel campo delle indagini per la verifica empirica di talune ben note teorie sulle scelte degli individui di fronte al rischio [il riferimento è alla tradizione di studi che vede fra i suoi cultori Von Neumann. Morgenstern e Allais, e fra gli autori più recenti Ralph Swalm della Syracuse University, n.d.r.]”[10]. Con la consulenza di un comitato scientifico di cui facevano parte, oltre allo stesso de Vita, Siro Lombardini e Carlo Felice Manara e sotto la direzione di Pietro Gennaro, un gruppo di lavoro al quale partecipavano docenti e assistenti dell’Istituto, fra i quali Luigi Muttarini, Pasquale Scaramozzino, Carla Ge e ancora Marisa Civardi (a lei è specificamente intestata la seconda delle appendici metodologiche[11]), si propose di “accertare e misurare, mediante interviste, l’atteggiamento dei dirigenti d’impresa nelle scelte tra risultati certi e risultati incerti, in modo da verificare con quale aderenza o discordanza sia di fatto seguito il modello ‘razionale’ delle decisioni secondo le speranze matematiche”[12]. Di particolare interesse l’”esperimento” diretto a osservare se e come, in decisioni collegiali (quelle assunte nel contesto di “tecnostrutture” à la Galbraith), l’individuo tende a modificare le proprie scelte per effetto delle dinamiche indotte dal gruppo nel quale è inserito, così come il tentativo (anche a fini di decisioni di politica economica) di sperimentare, mediante simulazione su calcolatore, le reazioni degli imprenditori intervistati ad alcune forme di incentivo nonché a talune situazioni congiunturali.
Ricorderò infine, e sarà trascorso un altro decennio, l’indagine di Pasquale Scaramozzino sui laureati in Scienze politiche a livello nazionale[13]. Sotto la sua direzione operavano 25 ricercatori, prevalentemente esterni all’Istituto, oltre ad alcuni interni, fra i quali ancora Carla Ge e Luigi Muttarini. A Marisa Civardi era affidata la responsabilità dei programmi di elaborazione. Obiettivo dell’indagine era quello di studiare la “leva” dei laureati in Scienze politiche del 1973, già interrogati una prima volta nel 1976-77, allo scopo, come osserva Scaramozzino in apertura del rapporto “di misurarne l’ulteriore percorso professionale nonché di rilevarne eventuali modificazioni negli atteggiamenti rispetto all’Università e nei comportamenti rispetto al mercato del lavoro”[14]. Vengono dettagliatamente esposti e commentati i giudizi degli intervistati sulla Facoltà (complessivamente positivi soprattutto con riferimento alla preparazione culturale ricevuta nel corso degli studi), lo “stato occupazionale” dei laureati, a sua volta del tutto soddisfacente, e infine i giudizi sulla carriera professionale e sulla laurea.
Quando – siamo nell’ottobre del 1983 – la ricerca sui laureati vede la luce nella forma – allora consueta – di fascicolo con la rilegatura a spirale, Marisa Civardi è già professore associato di Statistica presso la Facoltà pavese, dopo avervi tenuto per incarico l’insegnamento di Matematiche per le scienze sociali e prima di passare – nel 1987 – a quello di Statistica economica: per due anni accademici (fortunatamente per lei due semestri, e temo di portare in prima persona qualche responsabilità per questa ultima circostanza) terrà anche un affollato corso serale presso l’Università della Calabria ad Arcavacata di Rende. Il tragitto, nel contempo professionale e culturale, che Marisa Civardi percorre in questi trenta anni – tanto dura infatti la sua vicenda accademica pavese prima della chiamata alla cattedra di Firenze – appare quindi, alla luce dei fatti che ho richiamato seppure per episodi, davvero non comune, direi esemplarmente inconsueto. Le specifiche esperienze che di lei ho ricordato rendono testimonianza – credo – di tale singolarità. Impegnata, ma unitamente a numerosi altri ricercatori, in un’analisi di ampio respiro su temi di struttura sociale, Marisa Civardi passa – a breve distanza di tempo – ad approfondire un tema di eminente interesse pubblico (la ricerca scientifica applicata) in un gruppo di lavoro più ristretto, ma sempre “prestando” competenze di metodo. Si rende tuttavia progressivamente disponibile a essere coinvolta – in un ruolo di riconosciuta, autonoma evidenza e forte anche dell’esperienza acquisita nel contribuire a “pensare” e a costruire la “Rivista di Statistica Applicata” – nell’approfondimento di temi, valga per tutti quello della “razionalità” nelle decisioni di impresa, che si collocano, per così dire, in territori di confine fra campi diversi della conoscenza, campi retti da logiche spesso antitetiche o – all’opposto – vittime di “imperialismi” epistemologici fin troppo noti anche oggi ai cultori delle discipline sociali. Collocata come era agli esordi, e in ragione della propria stessa formazione, su un crinale ben preciso dello spazio che tradizionalmente si interpone fra le “due culture” (per mutuare il titolo della controversa Lecture di Charles Snow a Cambridge del 1959), Marisa Civardi ha coraggiosamente, e sapientemente, accettato la contaminazione, si è cioè resa disponibile a farsi “risucchiare” dai contenuti, a cedere al fascino dei dati dell’esperienza e della loro infinita molteplicità, senza per altro mai rinunciare a individuare, nella congerie dei fatti, le uniformità, le simmetrie, le regolarità, ricorrendo, come auspicava Pietro Gennaro presentando nel 1967 la “Rivista di Statistica Applicata”, a quella “logica dell’incerto e del probabile” sulla quale si fonda il metodo statistico. Il risultato (e anche il suo risultato personale di ricercatrice) è, per così dire, un crescente e proficuo dialogo “fra numeri e lettere”, fra metodi sofisticati e contenuti complessi da ordinare, da “mettere in riga”, per aiutarci a meglio conoscerli e, quando ne fossimo capaci, a meglio governarli.
Il contributo di Marisa Civardi agli studi sulla distribuzione del reddito: la collaborazione con Renata Targetti Lenti
Quando Renata Targetti Lenti arrivò per la prima volta a Pavia nel 1969 per partecipare ad un concorso per assistente di ruolo in materie economiche presso la Facoltà di Scienze politiche, Marisa Civardi faceva già parte dell’Istituto di Statistica come tecnico laureato. Tra le due studiose si sviluppò subito, ed andò poi consolidandosi, qualcosa di più di una semplice collaborazione. Il loro rapporto si è infatti tradotto non solo in numerose pubblicazioni comuni, ma altresì nella formazione di giovani allievi e allieve, nella partecipazione con relazioni a numerosi Convegni, in soggiorni all’estero come visiting professor. Naturalmente la collaborazione si è fatta meno intensa quando Marisa ha lasciato Pavia, pur resistendo al passare del tempo. Alla base di questa intesa vi è stata la comune passione per i temi della distribuzione del reddito e della diseguaglianza. La loro comune attenzione è sempre stata diretta a comprendere le tendenze e le cause della diseguaglianza e della povertà, con particolare riferimento ai legami tra questi fenomeni e alle caratteristiche del sistema economico, nella convinzione che i fenomeni distributivi non possano essere spiegati solo in termini statistici, ma che debbano necessariamente essere individuati i nessi tra la distribuzione dei redditi e le variabili che caratterizzano il sistema economico-sociale. Questa impostazione, che si può definire “strutturale”, non trovava spazio nella letteratura dominante negli anni ‘70. Per molto tempo la distribuzione personale dei redditi era stata infatti considerata alla stregua di un processo stocastico del quale dovevano essere determinate le leggi statistiche che lo governavano, avendo come obiettivi primari la formulazione di leggi generali per descrivere la „forma” della distribuzione e la misura, sulla base di queste leggi, del corrispondente grado di diseguaglianza. Questa impostazione statistico-descrittiva aveva portato ad una sorta di separazione tra lo sviluppo di una teoria della distribuzione personale dei redditi ed il corpus principale della teoria economica e, segnatamente, delle teorie della distribuzione funzionale.
Le giustificazioni addotte dagli economisti per spiegare questa sorta di “oblio” erano di natura sia teorica che empirica. La principale consisteva nell’ipotesi di un trade-off tra efficienza ed eguaglianza. In base ai princìpi dell’economia del benessere si affermava infatti che l’economia politica, intesa in senso positivo, può fornire criteri solo per assicurare l’efficienza. I temi relativi all’eguaglianza e/o alla diseguaglianza, caratterizzati da una valenza normativa, non avrebbero quindi potuto trovare spazio nella modellistica economica. L’evidenza empirica della distribuzione personale dei redditi, inoltre, era ancora scarsa e non disponibile per tutti i paesi. La raccolta dei microdati sui redditi individuali e familiari non era sistematica ed era perciò difficile effettuare analisi di lungo periodo e confronti internazionali. E’ solo a partire dall’ inizio degli anni ‘90 che la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi è tornata ad essere uno dei temi centrali del dibattito fra gli economisti sia sotto il profilo teorico, sia sotto quello applicato e di policy con riferimento a diversi sistemi economici. Un articolo di Atkinson del 1997[15] costituisce un importante segnale del rinnovato interesse per questi temi. Dal punto di vista teorico si è cercato di riformulare i concetti di eguaglianza e di diseguaglianza, di identificare le variabili causali (di natura sia micro che macro) che li determinano, di evidenziare le relazioni tra diseguaglianza e caratteristiche strutturali del sistema socio-economico, nonché tra diseguaglianza e politiche redistributive. Sul terreno dell’analisi empirica si è cercato di dare risposta ai nuovi e numerosi problemi metodologici che si presentano nel momento in cui si voglia quantificare il fenomeno: problemi riconducibili, sostanzialmente, alla scelta delle unità di riferimento e degli indicatori.
A partire dalla metà degli anni ‘70 il comune percorso di ricerca di Marisa e Renata si è articolato lungo tre direzioni. I primi lavori, di contenuto prevalentemente metodologico, si proponevano di analizzare caratteristiche e significato degli indicatori tradizionalmente utilizzati per misurare lo sviluppo economico nonché il livello di diseguaglianza nella distribuzione personale dei redditi delle famiglie. In parallelo, una seconda linea di ricerca, per molti anni la principale e che si è tradotta in numerose pubblicazioni, ha avuto come oggetto l’analisi delle caratteristiche e dei mutamenti nella distribuzione personale dei redditi in Italia. Lo sforzo è consistito nel mettere in relazione le caratteristiche della diseguaglianza con quelle del sistema produttivo e socio-istituzionale, nella costante convinzione che i processi attraverso i quali i redditi individuali e/o familiari si determinano siano molto complessi. La diseguaglianza accertata nella distribuzione personale è la risultante delle diseguaglianze che si instaurano nel momento della formazione delle diverse componenti del reddito in corrispondenza della struttura proprietaria dei fattori produttivi. Questa linea di ricerca è stata essenzialmente empirica ed ha spinto al confronto con i numerosi problemi metodologici che sorgono, ma soprattutto sorgevano in passato, per la necessità di effettuare elaborazioni su dati disponibili solo su supporto cartaceo. I programmi di elaborazione dovevano essere scritti in fortran ed i dati dovevano essere riportati su schede perforate. Questo per ricordare quanto fosse time consuming un processo oggi del tutto consueto. In questa fase, naturalmente, è stato determinante l’apporto di Marisa Civardi, non solo per le sue competenze informatiche, ma anche per il necessario lavoro di selezione delle variabili da considerare. Rigore metodologico e attenzione alla rilevanza e al significato del dato statistico sono state infatti una costante dell’ attività di ricerca della studiosa. L’attitudine ad applicare il metodo quantitativo, matematico e statistico, all’analisi dei fenomeni economici ha consentito inoltre ad entrambe di verificare alcune interessanti ipotesi di ricerca: e in questo il contributo di originalità e di competenza di Marisa è stato fondamentale.
Un’ipotesi da verificare era quella secondo cui, nel nostro sistema economico, ci sarebbe stata una corrispondenza tra quote di famiglie che appartengono a specifiche classi di reddito e qualifica professionale/settoriale del capofamiglia. Questa ipotesi è stata oggetto di un lavoro nel 1974[16]. In particolare, dal caso italiano degli anni 1948-1971 sembrava emergere una corrispondenza tra i gruppi che appartenevano alle classi medie e medio-alte e le trasformazioni strutturali del sistema economico. Distinguendo tra fattori strutturali e congiunturali, l’evidenza empirica aveva permesso di affermare che “la minore importanza del settore agricolo rispetto a quello industriale, e soprattutto a quello dei servizi, ha favorito l’emergere della classe impiegatizia”, con conseguente incremento della quota di reddito dei decili medio-alti. L’influenza dei fattori congiunturali è apparsa invece più evidente esaminando la situazione delle classi estreme, in particolare di quelle appartenenti al primo decile.
La ricerca delle determinanti della distribuzione personale dei redditi è stata oggetto di altri lavori nel corso degli anni ‘80. Sul piano empirico è proseguito il tentativo di collegare la distribuzione funzionale e settoriale dei redditi a quella personale grazie all’adozione di indici di scomposizione adeguati[17]. Allo stesso modo si sono analizzate le caratteristiche della distribuzione dei redditi nell’area metropolitana milanese collegandole a quelle occupazionali[18]. Questa ricerca, condotta sul 1981, è stata effettuata impiegando contemporaneamente dati fiscali forniti dal Ministero delle Finanze e dati del Censimento per elaborare stime cross-section sui 106 Comuni dell’area milanese, raggruppati in comparti secondo la classificazione del Pim (Piano Intercomunale Milanese). La ricerca ha consentito di evidenziare l’esistenza di differenze nel grado di diseguaglianza esistente nel Comune di Milano rispetto ai Comuni della “corona”, caratterizzati da un grado di urbanizzazione inferiore. Nel Comune di Milano era più elevata la quota dei servizi, e corrispondentemente il peso delle rendite e dei redditi da libera professione. Veniva così confermata l’ipotesi secondo cui il passaggio da un’economia basata sull’industria ad una basata sui servizi implica un mutamento nella funzione di distribuzione dei redditi, con un addensamento delle frequenze in corrispondenza dei livelli estremi ed una rarefazione in corrispondenza di quelli intermedi.
Lavorando in collaborazione, le due studiose hanno dato vita ad una serie di ricerche allora poco sviluppate in Italia, ma ancora oggi “popolari” nell’ambito della Scienza delle finanze. Nel 1984 in particolare, si è cercato di stimare mediante indici adeguati l’azione perequativa dell’IRPEF concludendo che, nel periodo 1976-1983 e nonostante si fosse verificata una caduta del grado di progressività, questa aveva favorito un lieve effetto perequativo limitatamente ad alcune categorie di percettori, sostanzialmente imputabile al processo inflazionistico[19]. Naturalmente anche altri fattori hanno contribuito a tale effetto: in particolare la capacità perequativa finale è stata influenzata dal “gioco” delle detrazioni e degli oneri deducibili, nonché dalla natura e dalla composizione della base imponibile.
Una trattazione più ampia e sistematica delle tendenze della distribuzione dei redditi in Italia è stata oggetto infine, nel 2001, di una relazione presentata dalle due studiose ad un Convegno organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei[20]. Si è tentato di collegare le tendenze della distribuzione complessiva (e per diverse categorie di percettori) ai mutamenti dell’assetto tecnologico e territoriale, nonché alla composizione dell’occupazione per settori e per categorie professionali. L’evidenza empirica raccolta e discussa ha confermato che i processi attraverso i quali i redditi individuali e/o familiari si determinano non solo sono molto complessi, ma risultano dall’influenza congiunta della struttura economica e socio-istituzionale del sistema produttivo. Ogni agente economico (individuo, impresa, Stato), grazie alla posizione che ricopre all’interno del sistema ed alle interazioni con gli altri agenti, contribuisce a determinare la diseguaglianza che caratterizza la distribuzione del reddito individuale e familiare a livello sia primario che secondario. La famiglia, il mercato e lo Stato sono i tre fattori che, congiuntamente, determinano la distribuzione personale dei redditi ed il relativo grado di diseguaglianza.
Una terza linea di ricerca, con valenza inizialmente teorica e successivamente applicata, ha avuto come oggetto la costruzione di schemi interpretativi che potessero spiegare le relazioni tra distribuzione funzionale e distribuzione personale dei redditi. Nel 1980 il “Giornale degli Economisti” pubblicava il primo lavoro su questi temi[21]. Senza quasi rendersene conto si era iniziato ad esplorare un filone di ricerca che sarebbe diventato, in seguito, di rilievo primario. Lo schema proposto in quel lavoro poteva essere considerato una Matrice di Contabilità Sociale (SAM) molto semplificata. Poco tempo dopo veniva proposto un primo schema di analisi per collegare in modo sistematico fra loro la distribuzione personale e quella funzionale dei redditi. Un soggiorno a New York presso le Nazioni Unite nel 1982 permise alle due ricercatrici di discutere le intuizioni sviluppate nel lavoro del 1980 con Antonio Costa, Senior Economist presso il Department of International Economics and Social Affairs. Proprio Costa segnalò loro i lavori pionieristici sulle SAM che Irma Adelman stava conducendo a Berkeley.
Nel 1985 Marisa e Renata si recarono a Berkeley per un soggiorno di studio presso la Giannini Foundation. Quel soggiorno è stato molto importante per i successivi sviluppi delle loro ricerche. Presero infatti conoscenza dei modelli di equilibrio economico generale computabili (cge): le competenze analitiche di Marisa Civardi furono naturalmente fondamentali per comprendere il funzionamento e la struttura di tali modelli. A Napoli, nel 1987, al First International Symposium on the Social Accounting Matrix (sam): Methods and Applications, venne presentata una relazione a quattro mani[22] e ci fu la possibilità di incontrare, oltre a Sherman Robinson e Irma Adelman, Graham Pyatt, Jeffrey Round e Jaime De Melo. Si trattava del gruppo di studiosi che costituivano, per così dire, il nucleo storico di coloro che hanno fornito i maggiori contributi alla modellistica sam e cge. De Melo ebbe l’incarico di selezionare i contributi più originali del convegno di Napoli, e così una sintesi della relazione delle due studiose venne pubblicata nel 1998 sul “Journal of Policy Modelling”[23].
In questo lavoro Marisa Civardi aveva discusso una importante intuizione, cioè quella di considerare il moltiplicatore riferito al settore delle famiglie (che risulta dalla scomposizione del moltiplicatore globale) come una misura per così dire “strutturale” della diseguaglianza nella distribuzione personale dei redditi. Questa scomposizione consente infatti di evidenziare la rilevanza che, in un’economia di mercato, hanno i fattori di natura strutturale nel determinare il grado di diseguaglianza. Dall’analisi del moltiplicatore risulta evidente come un ammontare di reddito (per esempio dovuto a trasferimenti da parte dello Stato), inizialmente ricevuto in pari ammontare dai diversi decili di popolazione, si traduca in aumenti differenziati alla fine del processo produttivo e distributivo. Risultano proporzionalmente più avvantaggiati, nel senso che sono caratterizzati da un moltiplicatore più elevato, gli ultimi decili. Si conferma per tale via che le caratteristiche del mercato del lavoro, la struttura proprietaria dei fattori, le caratteristiche tecnologiche sono tutte determinanti che “spiegano” il grado di diseguaglianza esistente nei diversi sistemi economici, nonché la sua relativa stabilità. La diseguaglianza, in altre parole, appare come una caratteristica endogena al sistema, che difficilmente può essere ridotta. Le politiche distributive possono sì risultare efficaci nell’immediato, ma alla fine del processo la diseguaglianza si riproduce attraverso il funzionamento del mercato stesso e la composizione della spesa delle famiglie.
Approfondendo la ricerca sulle sam, nel 1988 Marisa Civardi pubblicava il volume Le matrici di contabilità sociale per un’analisi strutturale della distribuzione personale dei redditi (Giuffrè editore). Si trattava del primo lavoro sistematico su questi temi apparso in Italia. La sua formazione in Fisica aveva naturalmente favorito l’ “incontro” con le sam. Per coglierne il significato e le potenzialità era necessario, infatti, avere una preparazione idonea a catturare le caratteristiche strutturali di un sistema e le complesse interrelazioni tra le sue variabili, proprio come avviene in Fisica. Un approccio, questo, del tutto opposto all’individualismo metodologico che prevaleva nella ricerca economica degli anni ‘80. La Matrice di Contabilità Sociale (sam) costituisce, com’è noto, non solo lo strumento idoneo a integrare le informazioni relative alla produzione e alla domanda intermedia e finale con quelle relative alla distribuzione del reddito tra e all’interno dei diversi settori istituzionali, ma anche la base per la costruzione di modelli di ispirazione keynesiana e, alternativamente, di equilibrio economico generale calcolabile (cge).
A partire da questo momento la ricerca di Marisa e Renata è stata indirizzata, appunto, alla costruzione ed all’impiego di modelli di equilibrio economico generale calcolabile (cge), ovvero di modelli multisettoriali che consentano di simulare e di „quantificare” gli effetti di politiche alternative sull’equilibrio del sistema economico, con particolare riferimento agli aspetti distributivi. In un volume collettaneo del 1990[24], a cura di Camilo Dagum e Michele Zenga, Marisa Civardi mostra come sia possibile utilizzare i moltiplicatori a scopo di simulazione di politiche alternative, con particolare riferimento a quelle fiscali. Nel 1990, con la collaborazione di Enrica Chiappero, è stata costruita una sam per l’Italia[25]. Questa ha permesso, a partire da quel momento, di effettuare numerose simulazioni con dati riferiti al nostro paese. In particolare, in un lavoro del 1992, la sam è stata impiegata come schema di riferimento per costruire, a scopo di simulazione, un modello di equilibrio economico generale[26]. A questo scopo è stato necessario introdurre nelle diverse celle della sam, al posto dei valori numerici, le “espressioni algebriche” dei valori che compongono le singole transazioni. Ancora una volta le competenze matematiche e statistiche di Marisa sono state preziose. I modelli cge, infatti, si presentano come un sistema di equazioni di comportamento (la cui forma funzionale deve essere specificata), di vincoli e di equazioni di equilibrio. Nel tempo sono stati proposti metodi alternativi di soluzione. Il più noto è il gams (General Algebraic Modelling System) messo a punto dalla Banca Mondiale. Le simulazioni sono state effettuate impiegando un programma meno flessibile, ma più semplice, chiamato hercules (Highlevel Economic Representation for Creation and Use of Large Economywide Systems). Il risultato più significativo, che del resto conferma risultati precedentemente ottenuti da Stone, Pyatt e Round, è quello di una sostanziale invarianza nella distribuzione personale dei redditi come conseguenza di politiche fiscali e/o redistributive alternative.
I risultati delle simulazioni sono stati presentati in alcuni convegni internazionali, a Berna ed a Valencia (nel 1990 in occasione della Conferenza A sam for Europe). Queste conferenze sono state inoltre l’occasione per incontrare di nuovo Irma Adelman, Pyatt, Round, Sherman Robinson e De Melo.
Un successivo soggiorno come visiting a Warwick di entrambe le studiose ha consentito di approfondire alcuni aspetti metodologici relativi all’impiego delle sam, allo scopo di identificare i problemi concettuali che rendono difficile, nel nostro paese, la costruzione di una sam da parte dell’istat. Si è osservato, in particolare, come i recenti tentativi effettuati dagli uffici statistici delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea per introdurre, con il nuovo „Sistema di Conti Nazionali”, le norme per la costruzione di una Matrice di Contabilità Sociale debbano considerarsi un’operazione essenzialmente contabile. La nam (National Accounting Matrix) che viene proposta non è infatti altro che una presentazione in forma matriciale dei tradizionali conti nazionali e resta lontana dall’originale sam intesa come modello macroeconomico. Queste considerazioni sono state presentate in alcuni convegni internazionali come l’VIII Colloque de l’acn, a Parigi nel 2000[27] e l’International Workshop on Income Distribution and Welfare organizzato nel 2002 dall’Università Bocconi[28] in occasione del proprio centenario.
I lavori sulle sam da parte delle due “samiologhe” (così sono state scherzosamente definite Marisa Civardi e Renata Targetti Lenti all’interno del Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale dell’Università di Pavia) hanno formato oggetto anche di progetti di ricerca ministeriali. Questo filone di studio è proseguito nell’ultimo decennio, anche se in modo meno sistematico a causa degli impegni accademici di Marisa, quasi completamente assorbita per sei anni dai compiti di Preside di Facoltà. Seguendo i contributi pionieristici di Pyatt e Round, in particolare, è stata affinata la tecnica di scomposizione dei moltiplicatori. Il nuovo metodo consiste nello scomporre ogni elemento della matrice dei moltiplicatori globali in modo da evidenziare i legami tra il reddito di ogni gruppo familiare e gli altri conti (delle attività e degli altri gruppi di famiglie). Sono stati in tal modo quantificati, in un lavoro pubblicato nel 2009[29], gli effetti di un iniziale shock esogeno sui redditi dei diversi gruppi familiari, distinguendo gli effetti diretti da quelli indiretti. La stessa metodologia è stata applicata, con la collaborazione di Rosaria Vega Pansini, al Vietnam ed ha trovato collocazione, nel 2010, sull’ultimo numero di “Economic Systems Research”[30]. Si tratta del loro lavoro comune più recente, ma certamente non l’ultimo.
Marisa Civardi fra processi di valutazione e compiti istituzionali: la collaborazione con Emma Zavarrone
Nel 1997 l’Università Statale di Milano istituiva il dottorato di ricerca, a carattere interdisciplinare, in “Strategia, gestione e metodi quantitativi d’impresa”. In quella circostanza fu Marisa Civardi a “indossare il cappello” di coordinatrice dell’area quantitativa. Già nel corso del primo incontro fra i componenti del dottorato in occasione della pianificazione delle attività di formazione del primo anno, fu subito evidente come la sua persona costituisse una riuscita sintesi tra mondi non sempre compatibili: la ricerca, la carriera e l’essere donna. Fino a quell’incontro, e data la loro limitata esperienza, i neo-laureati avevano visto solo bizzarre combinazioni di queste caratteristiche, ma mai una sintesi così perfetta in una sola persona. I corsi del primo anno di dottorato ebbero inizio e, timidamente, prese forma, con Marisa Civardi, una collaborazione destinata a consolidarsi e a diventare più di una semplice relazione fra docente e discenti.
Le dottorande del XII ciclo si riferivano a lei con l’appellativo di “prof”. Tra le persone che condividono gli stessi percorsi e gli stessi interessi si crea infatti, spesso, un codice non scritto, e il termine “prof”, rivolto solo alla professoressa Civardi, era, per le dottorande, la dimostrazione della sua unicità all’interno del collegio docenti. La sua personalità appariva molto rigorosa, professionale e riservata ma al tempo stesso disponibile, capace di chiarire con poche semplici parole concetti di non sempre facile intuizione, e pronta ad affrontare con spirito critico qualsiasi contesto di ricerca. La locuzione sintetica “prof”, da titolo accademico divenne, nel corso degli anni, l’incipit per dialogare con Marisa su tematiche sulle quali non sempre l’accordo era completo.
In quel periodo Marisa Civardi era impegnata in numerose attività di ricerca, riconducibili a due vasti ambiti: le sam, cioè le matrici di contabilità sociale, e la valutazione del sistema universitario. Il primo ambito era costantemente studiato, analizzato e approfondito con la sua collega e amica da sempre Renata Targetti Lenti. Il secondo la vedeva inserita in un network di studiosi italiani interessati alla quantificazione dell’efficacia e dell’efficienza del processo formativo universitario. Tale contesto non le era, d’altra parte, affatto sconosciuto, dal momento che Marisa aveva già esplorato il sistema universitario svolgendo analisi sulle caratteristiche degli studenti sia a Brescia che a Pavia[31].
Nel 1998, insieme a Luigi Fabbris, Antonio Giusti e Simona Balbi, prese parte al Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (prin) su “Produzione e sperimentazione di sistemi computer-assisted per rilevare la qualità della didattica universitaria e l’inserimento professionale dei laureati”. Il titolo dell’unità di ricerca locale (Università Statale di Milano), da lei coordinata, era “La valutazione della qualità dei servizi per la didattica universitaria dell’Ateneo milanese”. Questo fu il primo di una fortunata serie di progetti cofinanziati (1998, 2000, 2002, 2005, 2007) con il focus sul sistema universitario. Fulcro della prima ricerca erano la progettazione, l’architettura e l’organizzazione del processo di produzione dei dati statistici per la misurazione empirica delle variabili riguardanti la qualità dei servizi per la didattica universitaria mediante sistemi informatizzati. In dettaglio, l’obiettivo era quello di apportare innovazioni “di contenuto”, mettendo a confronto, per l’individuazione degli indicatori, tecniche multivariate di analisi degli item e modelli strutturali per l’analisi di variabili latenti. Marisa Civardi ebbe l’intuizione di trasferire nella valutazione della qualità della didattica universitaria l’impianto metodologico delle strutture di covarianza, al fine di identificare le dimensioni latenti che condizionano il sistema universitario e le loro relazioni, all’epoca ignote. L’indagine fornì diversi risultati: costruzione e validazione di uno strumento di misura (questionario)[32], individuazione delle dimensioni (utilità del corso per gli studenti, grado di difficoltà del corso e giudizio sul medesimo, soddisfazione), evidenziando la necessità di disporre di misure flessibili per ciascuna disciplina analizzata. Il risultato fu ottenuto utilizzando sia strategie di rispecificazione sui modelli latenti individuati[33] sia analisi multigruppo sui parametri delle strutture di covarianza adottate[34].
Il secondo prin cofinanziato verteva su “La ricerca di determinanti del rischio mediante analisi di segmentazione di campioni”, e la ricerca coinvolgeva le sedi di Padova (Luigi Fabbris coordinatore nazionale), Siena, Bari, Cagliari, oltre a Milano-Bicocca. Il titolo dell’unità locale, coordinata da Marisa Civardi, era: “Segmentazione di un campione: alcune applicazioni in ambito socio-economico”. La ricerca era incentrata sui temi dell’efficienza del sistema formativo, attraverso l’impiego di metodologie innovative come gli alberi di regressione e i modelli multilevel. L’attenzione era rivolta innanzitutto alle cause che determinavano l’intervallo temporale necessario per portare a termine gli studi universitari. Lo studio della dinamica degli abbandoni e delle caratteristiche degli studenti fu sviluppato applicando sia nuovi algoritmi di segmentazione (repac, cart) capaci di modellare anche la dimensione temporale, sia strutture multilevel, e in particolare i modelli a componenti di varianza. I risultati ottenuti consentirono di stabilire che il periodo di permanenza nel sistema universitario muta al mutare del livello di dotazione di capitale formativo posseduto dagli studenti: tempi più lunghi di permanenza si registravano cioè per gli studenti con capitale formativo meno elevato[35],.
I tre prin successivi (2002, 2005, 2007), dedicati all’analisi dell’efficacia della formazione sotto diversi punti di vista fra loro correlati, ipotizzavano una nuova tipologia di capitale umano che si forma durante la permanenza in Università, tipologia definita “capitale umano universitario”. Di questa tipologia è stata fornita una misura descrittiva basata sul prodotto normalizzato dei voti per i crediti formativi. La misura è stata ottenuta seguendo diverse coorti di studenti immatricolati nei cinque corsi di laurea della Facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca. In seguito è stata studiata la dinamica di accrescimento che, coerentemente con la letteratura di riferimento, è risultata essere di tipo non lineare. In aggiunta, impiegando metodologie multilevel, è stato dimostrato che la velocità di accrescimento del capitale umano universitario segue un andamento à la Gompertz36,. Ulteriori studi sul capitale umano universitario hanno permesso di stabilire che la velocità di accrescimento non dipende solo dalle conoscenze apprese – hard skill – ma è fortemente condizionata da tutte quelle soft skill, o competenze trasversali, difficilmente misurabili ma fortemente caratterizzanti. In questo ambito è stata proposta una teorizzazione del modello generatore delle competenze37. Sempre nell’ambito della ricerca delle competenze più richieste dal mercato del lavoro ai laureati dell’Università Statale di Milano, preziose indicazioni sono state ottenute applicando la Rasch Analysis. I risultati indicano che, se le competenze certificate dall’Ateneo e dichiarate dal laureato rappresentano l’elemento discriminante per stimolare l’interesse dell’azienda a selezionare i candidati da sottoporre a colloquio, quando questo viene effettuato sono invece le caratteristiche/competenze individuali a sollecitare l’attenzione delle imprese, ma con gradi di importanza diversi a secondo del tipo di laurea richiesto38.
Tra un prin e l’altro il tempo scorreva inesorabile modificando così l’orogenesi della relazione docente-discente, della quale fiducia, stima, affetto, riconoscenza e quotidianità erano gli aspetti principali. Le lezioni, gli esami, la preparazione dei contributi, i convegni, le presentazioni, le cene, le gite, la stesura degli articoli e i ritagli di tempo più impensati dedicati alle correzioni rappresentavano momenti unici di un’atmosfera di familiarità in cui la professoressa Civardi lasciava il posto a Marisa.
La domanda di ricerca relativa al quarto prin (2005) riguardava la pianificazione delle attività didattiche, dato che gli studi precedenti si erano conclusi con l’osservazione che i laureati vengono selezionati inizialmente sulla base delle loro conoscenze e del voto di laurea. Il contributo di Marisa al progetto fu significativamente influenzato, in un periodo di intensi cambiamenti legislativi, dal suo ruolo istituzionale di Preside della Facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca. In quel progetto si affrontò il problema di come l’Università dovesse predisporre profili curriculari appetibili per il mercato del lavoro nel rispetto delle nomenclature. La ricerca era orientata a individuare i settori scientifico-disciplinari e i pesi a essi associati nella progettazione di specifiche figure professionali richieste dal settore dell’organizzazione di eventi, relazioni pubbliche e ricerche di mercato. Per raggiungere il risultato desiderato furono impiegate metodologie sia tradizionali (costruzioni di indicatori) sia innovative (rielaborazioni delle misure di centralità prese in prestito dalla social network analysis). Il risultato fu una “ricetta di produzione”, termine coniato da Marisa e da lei utilizzato in più circostanze e in grado di individuare, partendo dalle competenze richieste dal mercato e per le diverse figure professionali, un elenco di pesi da attribuire alle discipline impartite durante la formazione universitaria: si notò che il mercato richiedeva figure con un profilo fortemente quantitativo 39,.
L’ultimo prin (2007) ha riguardato l’efficacia reale del processo formativo attraverso il mercato del lavoro analizzando la leva della reputazione universitaria. Il costrutto di reputazione universitaria venne messo a punto all’interno di un lavoro di ricerca che vedeva coinvolte tre distinte realtà universitarie: la Facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca, la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari e la Facoltà di Comunicazione e Relazioni pubbliche dello iulm40.
Un altro aspetto della valutazione, che non è mai stato affrontato all’interno dei prin, ma vi è strettamente correlato, è l’impegnativo lavoro di ricerca relativo al rapporto stella e alle numerose riunioni e alle molteplici stesure che l’hanno accompagnato. stella (Statistiche in Tema di Laureati e Lavoro) è un’ iniziativa interuniversitaria che ha visto la partecipazione attiva di Marisa Civardi fin dalla costituzione nel 2002: il suo scopo era la costruzione di una banca dati per monitorare le caratteristiche dei percorsi di studio dei laureati, le loro aspirazioni, i loro comportamenti nei confronti del mercato del lavoro al momento della laurea, oltre che per monitorare i laureati stessi nel percorso di inserimento in quel mercato. In queste analisi una intera sezione era dedicata all’applicazione dell’indice ci proposto da Marisa nel 2001 e poi opportunamente sviluppato. Questo indice consente di analizzare le risposte provenienti da scale ordinali con un numero limitato di livelli (4 o 5), di cui le prime (o le ultime) associate a valutazioni positive e le ultime (o le prime) a valutazioni negative41. La partecipazione congiunta a diversi convegni scientifici insieme a Marisa è legata al ci: l’indice è stato infatti presentato in forma preliminare a Berlino del 2003 42 e successivamente a Bahia 43, a Praga44 e a Lisbona45.
Quello tracciato è solo uno spaccato della produzione scientifica di Marisa Civardi durante il periodo trascorso presso la Facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca e dedicato alla valutazione del sistema universitario. Per brevità, sono stati tralasciati tutti i ricordi legati alle cariche, accademiche e non, da lei ricoperte fra il 1997 e il 2012: Preside di Facoltà, componente del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo, delegato del Rettore, componente della Commissione per la Garanzia dell’ Informazione Statistica, presenza in commissioni di procedure valutative di docenti. In questa breve rassegna dei suoi contributi alla valutazione del sistema universitario ci si è proposti il massimo dell’obiettività, sorvolando sui tanti ricordi che nel corso del tempo sono andati accumulandosi: il profilo che si ricava è quello di una studiosa propensa alla multidisciplinarità e guidata sempre da uno spiccato senso della realtà, ma anche portata a sollecitare, nei suoi interlocutori, la capacità di fare tesoro di tutti gli insegnamenti, formali e informali, diretti e indiretti, da lei stessa elargiti.
Non si può tuttavia concludere questa nota senza ricordare il principale fra gli insegnamenti di Marisa Civardi: quello dell’attenzione al dato. Per Marisa, infatti, il dato è dotato di un’anima, per cui non può essere manipolato, “costretto” a raccontare una storia che non è la sua perché piegato alla teoria o all’interesse contingente. A questo insegnamento si associa quello del metodo scientifico. Proprio seguendo questi insegnamenti è risultato spontaneo ricercare su Google “Marisa Civardi”. I risultati ottenuti sono 26.400 di cui i primi 287 contenuti in 30 pagine, anche se dalla 25ma in poi le occorrenze diventano sempre più sfumate. Sulla scorta degli insegnamenti di Marisa stessa, tuttavia, una sola fonte non può essere ritenuta valida! La ricerca è quindi proseguita consultando altri motori di ricerca, Yahoo e Bing, trovando in entrambi 24.500 risultati; anche qui a partire dalla 22ma pagina le citazioni risultano un po’confuse. Focalizzando l’attenzione su Google Scholar si ottengono 190 risultati, dei quali il 75% dedicato unicamente ai lavori recenti di Marisa.
Se a queste occorrenze si aggiunge la tendenza di Marisa a essere globe-trotter (con l’eccezione dell’Australia ha visitato tutto il mondo) e le sue premure verso Laura, Marinella e Blaise in particolare, e si tiene poi conto del suo background di fisica, la nota formula di Einstein E=mc2 potrebbe avere una chiave diversa di lettura: precisamente E(nergia) = M(arisa) C(ivardi)2.
Conclusione
In un’epoca così difficile per le sorti dell’Università pubblica italiana, personalità scientifiche ed umane come quella di Marisa Civardi, con la sua capacità, fondata su di un percorso scientifico molto solido e articolato, di distinguere e di promuovere i valori autentici di un lavoro di ricerca sono preziose, così come lo è il loro (e suo) attaccamento all’istituzione accademica e alla qualità della formazione che questa fornisce. Figure come la sua, di ricercatrice che non si accontenta dei pur utili strumenti dell’impact factor e degli indici bibliometrici, inducono quindi alla speranza e ci sollecitano a continuare ad “avere voglia” di fare ricerca e di lavorare alla formazione delle giovani generazioni. Non è d’altra parte un caso che Fabio Rugge, il nuovo Rettore della sua prima Università, quella di Pavia, abbia affidato proprio a Marisa Civardi il compito di presiedere il nucleo di valutazione dell’Alma Ticinensis Universitas recentemente costituito.
Note:
1 P. Gennaro, “Presentazione”, Rivista di Statistica Applicata, n.1, settembre 1967, pp. 3-4.
2 L. Muttarini, “Editoriale”, Rivista di Statistica Applicata, n. 1, marzo 1975, p. 3.
3 L. Lenti, Prefazione in A. Pagani (a cura di), Classi e dinamica sociale, Milano 28 giugno-3 luglio 1960, p. III.
4 A. Pagani, Classi e dinamica sociale in A. Pagani (a cura di), Classi e dinamica sociale, cit., p. X.
5 Ne parla diffusamente Pasquale Scaramozzino nell’appendice Metodo e storia della ricerca in A. Pagani (a cura di), Classi e dinamica sociale, cit., pp. 175-202.
6 P. Scaramozzino, ibidem, p. 177.
7 La citazione, come la precedente, è tratta da A. Pagani, Classi e dinamica sociale, cit., rispettivamente pp. 29 e 159.
8 Centro di Ricerche Economiche e Sociali – Istituto di Statistica dell’Università di Pavia, La ricerca applicata in Italia. Due indagini (a cura di Pasquale Scaramozzino), Pavia, marzo 1962.
9 Ibidem, p. 3.
10 A. de Vita, Presentazione a P. Gennaro, La misura dell’atteggiamento verso il rischio nel comportamento imprenditoriale, Milano, Giuffrè Editore, 1972, p. V.
11 M. Bottiroli Civardi, Il calcolo delle interpolanti in P. Gennaro, ibidem, pp. 74- 80.
12 A. de Vita, Presentazione a P. Gennaro, La misura dell’atteggiamento verso il rischio nel comportamento imprenditoriale, cit., p. V.
13 P. Scaramozzino, Una leva di laureati in Scienze politiche. Indagine nazionale. 2° fase, Istituto di Statistica dell’Università di Pavia, ottobre 1983. Per i risultati di una prima fase della ricerca cfr. P. Scaramozzino, Una leva di laureati in scienze politiche. Indagine statistica, Milano, Giuffrè Editore, 1979. Anche a quella fase della ricerca Marisa Civardi aveva dato il proprio contributo in quanto responsabile del programma di calcolo,
14 P. Scaramozzino, ibidem, p. 1.
15 A.B.Atkinson., Bringing Income Distribution in from the Cold, “The Economic Journal”, 1977, n. 441, pp.297-321.
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