Coordonat de Federico SOLLAZZO
Volum IV, Nr. 4 (14), Serie nouă, 2016
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Sollevarsi dallo stagno afferrandosi per il codino. L’attualità della metacritica di Theodor W. Adorno
(Pulling oneself out of the bog by one’s own pigtail. The legacy of Theodor W. Adorno’s metacritique)
Luca BALDASSARRE
Abstract: In this article the author highlights some issues about Adorno’s thought that are fundamental to be acquired in the present age. It focuses on the questions most criticized in the postwar period: cultural industry, managed world, presumed snobbery about mass society, decline of aura, end of individuality, post-individual or pseudo-individuality, ticket mentality. Therefore, the author suggests to explain contemporary age starting from the Adornian model, an important interpretive antecedent to understand new media and the world that they produce. So this article underscores the similarity about many causes for reflection in Theodor W. Adorno and also H. Marcuse: in spite of oustanding differences, both theorists persist on the “power of negative thinking” and on the “feeling of the contrary”. This persistence lays the foundations of critical thought in Adorno, who shows parodying art such as the critical model par excellence. Finally, last pages are directed to remark the importance of Adorno’s thought such as metacritical philosophy, surely more fruitful than the paradigm of the “second generation” in the following decades.
Keywords: Cultural Industry, Ticket Mentality, Personality, Aura, Alienation, Fragmentation.
«Era questo il nostro principio: pessimisti in teoria e ottimisti nella pratica!»1
Così Max Horkheimer chiuse la conferenza tenutasi a Venezia il 10 settembre 1969, appena un mese dopo la morte dell’amico e collega Theodor Wiesengrund Adorno. Questo principio, all’apparenza banalmente contraddittorio, contiene invece il nocciolo di ciò che si è configurato, nella metà del secolo scorso, come la teoria critica della prima generazione della Scuola di Francoforte. Esso sorregge l’intero impianto di Dialektik der Aufklärung: se lo si interroga fino in fondo, permette di interpretare l’opera scritta a quattro mani come un interessante tentativo di leggere allegoricamente la storia della civiltà occidentale, non solo: esso consente – ed è ciò che qui è precipuamente sotto esame – di proiettare quell’opera ai nostri giorni attualizzandone il valore euristico. In cosa consiste dunque il pessimismo della teoria? È la coscienza che il percorso storico si dirige unidirezionalmente verso il “mondo amministrato” e che questo movimento, definito come progresso, si compie quale scarto delle capacità teoretiche e pratiche dei singoli rispetto alla loro totalità e al prodotto della loro attività – ciò che un altro pensatore vicino all’ambiente francofortese, ma purtroppo finora ancora troppo poco studiato, Günther Anders, qualificò come prometheisches Gefälle. È in questa prospettiva che il concetto di verwaltete Welt acquista connotati abbastanza definiti: come un panorama inanimato, ovvero in-animato, di uomini quali cose fra cose, il cui andirivieni caotico è la manifestazione di un ordine senza alcuna connessione fra il tutto e i particolari.2 Più volte si è tentato di assimilare l’impostazione di Horkheimer e Adorno – spesso nell’ossequiosa e cocciuta devozione all’ortodossia marxista piuttosto che come esito di una analisi effettiva dell’opera francofortese – all’etichetta storiografica della “Kulturkritik”, allo snobismo nei confronti della avanzante società di massa, ad un aristocraticismo in ritardo. Tale equiparazione si ferma alla superficie, e dimostra le disoneste intenzioni di chi la propone. Al contrario, l’equidistanza rispetto ai due poli opposti dell’anticonformismo elitario e del conformismo di massa, della filosofia come vezzo intellettualistico e della filosofia come espressione di una nuova cultura di massa, è esattamente ciò che contraddistingue la posizione dei due teorici dell’Istituto per la Ricerca Sociale e che causa all’interprete numerosi problemi di natura ermeneutica. Il filosofo critico deve elaborare il proprio pensiero non di certo a favore del mondo amministrato, in linea con una realtà che liquida l’individuo nella misura in cui lo libera dalle necessità naturali, da ciò che Marcuse in Eros e civiltà avrebbe concettualizzato nei termini di una Lebensnot, ma nemmeno contro il mondo amministrato: prendendo coscienza di esser parte di questo mondo – cui bisogna peraltro riconoscere il raggiungimento di importanti obiettivi: la parziale eliminazione, appunto, della Lebensnot – il filosofo critico deve pensare nonostante esso, nel senso che deve orientare paradossalmente il proprio pensiero verso il recupero di una individualità entro un orizzonte che non permette più non solo la realizzazione, ma nemmeno la pensabilità dell’individuo. Solo in quest’ottica è possibile comprendere la stima (quasi) incondizionata – caso assai raro nella produzione critica adorniana – che l’autore dei Minima Moralia riservò a Samuel Beckett: è possibile salvare l’eredità del moderno solo nella prospettiva di un fallimento dello stesso, e non nell’apologia di una sua anticipata realizzazione. Il progetto storico della modernità non è riuscito a portare a compimento il suo fine, una società di individui liberi ed eguali: ridestarne la spinta utopica è possibile solo a patto di non cadere nell’errore di manipolare, ipostatizzandola, la categoria moderna di individuo – o altrimenti: di libertà – e di applicarla in maniera posticcia al presente, ovvero al mondo amministrato. Dio non può risorgere dalle proprie ceneri, come Nietzsche aveva profetizzato auspicando la Überwindung, l’oltrepassamento del mondo amministrato ch’egli aveva già preannunciato. La salvezza dell’individuo passa dalla coscienza del non-ancora-individuo di essere un non-più-individuo; in altri termini, richiamandoci alle categorie logiche hegeliane: dalla coscienza dell’avvenuta conversione della quantità in qualità.
Occorre pertanto tener saldo un primo punto fondamentale, per configurare il ruolo dell’intellettuale nella prima generazione della Scuola di Francoforte e per metterne in risalto gli elementi di attualità: se si ammette l’elitarismo quale atteggiamento privilegiato dell’intellettuale nella teoresi di Horkheimer e Adorno, non è in alcun modo da intendersi come il risultato della polarizzazione fra la massa e pochi individui eletti. L’affinità del ruolo dell’intellettuale francofortese con la Vornehmheit di matrice nietzscheana trova riscontro solo nella misura in cui l’autore dello Zarathustra dimostra di essere un pensatore profondamente inattuale e di vivere la distanza dal proprio tempo non con signorile disprezzo, ma con la nostalgia per una situazione pacificata e con il dolore per una ferita non rimarginata.
Lo sviluppo adorniano del concetto di industria culturale può fornire ulteriori decisive indicazioni a tal proposito. A costo di apparire monotoni, nodale è soffermarsi sulla morte dell’individuo e sulla critica adorniana alla pseudo-individualità, giacché si tratta di un assunto che è alla base dell’opportunità, sostenuta da Adorno, della lettura – dai più accusata di blasfemia – di una sostanziale affinità fra la struttura sociale degli USA e quella nazionalsocialista, fra sistema fordista americano e sistema totalitario europeo e più specificamente tedesco. 3
Se ci si attiene all’ipotesi di Horkheimer e Adorno secondo cui la diffusione su scala globale della standardizzazione e della produzione in serie tipica dell’industria culturale «non si deve addebitare a una presunta legge di sviluppo della mera tecnica come tale, ma alla funzione che essa svolge nell’economia attuale»,4 confondere la radicalità della critica francofortese con un catastrofismo di maniera equivarrebbe a gettar via il bambino con l’acqua sporca.5 Per meglio comprendere la critica adorniana al concetto di individuo nel secolo XX, essenziale si rivela il confronto con le posizioni dell’amico Walter Benjamin, espresse in L’oeuvre d’art à l’époque de sa re production mécanisée, con specifico riferimento alla teorizzazione circa la perdita dell’aura da parte dell’opera d’arte riproducibile tecnicamente.
Com’è noto, con aura si intende lo «hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza irripetibile nel luogo in cui si trova», «il concetto della sua autenticità».6 Secondo Benjamin, «la tecnica della riproduzione […] sottrae il prodotto all’ambito della tradizione»,7 effettuando così una traslazione dal valore cultuale al valore espositivo dell’opera d’arte. Ciò che Adorno non condivide di tale impostazione, come già accennato, non sono tanto i presupposti della conversione della quantità in qualità,8 ovvero l’attestazione di un processo di secolarizzazione che ha prodotto un mutamento qualitativo della stessa opera d’arte, quanto l’ottimismo di fondo – facilmente deducibile dalla postilla9 – che sembra peraltro essere poi rinnegato dallo Angelus Novus delle stesse benjaminiane tesi di filosofia della storia. È in fin dei conti vero che il potere dell’aura, grazie al processo di riproduzione seriale dell’opera d’arte, viene finalmente debellato, aprendo così la strada alla intronizzazione del soggetto e alla sua liberazione rispetto alla ciclicità mitica, o piuttosto questa liquidazione conduce paradossalmente ad un suo rafforzamento? È lo stesso Benjamin, d’altronde, a rettificare in qualche modo, affermando che non si tratta propriamente di perdita, quanto di «declino dell’aura», cui il cinema risponde «con la costruzione artificiosa della personality al di fuori degli studi cinematografici».10 Per Adorno, tale artificio non è un piccolo ostacolo al processo di progressiva democratizzazione dell’arte, ma è consustanziale alla tendenza espansiva dell’economia e del dominio della società occidentale. Perfino Herbert Marcuse, nella prefazione politica del 1966, ammise l’incauto ottimismo della prima edizione di Eros e civiltà in merito alla possibilità di trasformazione della società opulenta ed al passaggio ad un nuovo principio di realtà, avvicinandosi – nonostante la divergenza di giudizio sul movimento studentesco e la seppur fragile speranza nei diseredati – alle posizioni critiche adorniane nei confronti dello Aktionismus, la ribellione al sistema configurantesi come prassi irriflessa e mera protesta.
Come ribadì Adorno in una conferenza radiofonica del 1963,11 l’insistenza dell’industria culturale nel conservare coartatamente il principio dell’aura anziché contrapporre ad esso – come si sarebbe augurato Benjamin – un nuovo principio, in linea con l’aspirazione alla rottura rispetto alla tradizione, rappresenta l’essenza ideologica della stessa industria culturale, la cui attività di rimozione/conservazione, di rimozione permanente di un patrimonio culturale tramandato è l’ultima figura della Verblendungszusammenhang della civiltà occidentale. L’industria culturale quale gestione della riproducibilità tecnica – che in essa si rispecchia – procede tramite un concetto di tecnica esterno rispetto all’opera che propina. Attraverso questa gestione programmata, che plasma ogni prodotto prima ancora che esso possa realizzarsi, appunto, come prodotto, tramite l’ipostatizzazione della dicotomia fra arte seria e amusement, fra tragedia e commedia, fra consumo d’élite e consumo di massa, la civiltà crede di poter raggiungere anticipatamente il suo scopo, la definitiva conciliazione fra universale e particolare per mezzo dell’accanimento ad infinitum sul principium individuationis. Si crede di poter eliminare l’angoscia per il mancato raggiungimento di una definitiva realizzazione dell’io, das Urphänomen der Angst, ovvero per l’ineludibile rapporto contraddittorio fra l’io e l’altro, reprimendola, o meglio inglobandola nel sistema come una sua appendice manipolabile a piacimento. Confinando l’angoscia entro precisi limiti, il sistema si manifestantesi nell’organizzazione totale dell’industria culturale, anticipa forzatamente le conquiste dell’io, che però può sperare di realizzarsi come tale solo nel rapporto con l’altro, con il non-identico, che è alla base stessa dell’angoscia, dell’orrore per l’indeterminato. Il contenimento dell’angoscia, la sua degradazione ad un’emozione fra le altre di cui si può disporre ad libitum, non ponendo più il soggetto, che vuol divenire un io, al cospetto dell’altro da sé, eterna l’angoscia e mette fine alla speranza di una definitiva conciliazione. La predeterminazione degli enti – uomini, cose, emozioni – sopprime l’individuo proprio nella misura in cui esalta il principium individuationis.
L’industria è interessata agli individui solo come a suoi clienti e a suoi impiegati, ed è riuscita effettivamente a ridurre l’umanità nel suo complesso, e ciascuno dei suoi elementi, a questa formula esauriente. A seconda dell’aspetto che prevale di volta in volta, si sottolinea e si mette in rilievo, nell’ideologia, il piano o il caso, la tecnica o la vita, la civiltà o la natura. Come dipendenti, vengono richiamati all’organizzazione razionale della produzione e tenuti ad inserirvisi dando prova di sano buon senso. Come clienti, invece, si vedono illustrare, sullo schermo o sulla stampa, in una serie di episodi umani e privati, la libertà della scelta individuale e il fascino di ciò che non è stato ancora inquadrato. Essi restano in ogni caso oggetti.12
Per Adorno si assiste ad una vera e propria inoculazione dell’aura: il sempre uguale è vestito da novità, e questa novità, questa originalità ostentata non è che il marchio impresso dall’esterno ai prodotti tutti fra loro identici. L’industria culturale vende ai propri clienti futili speranze di felicità, sfrutta la stendhaliana promesse de bonheur propagandando contenuti che la dialettica storica ha definitivamente abbandonato nella fase socio-economica del tardo capitalismo. Più la realtà storica si muove verso la direzione di un sostanziale livellamento fra gli uomini – livellamento quale eguaglianza repressiva, che non elimina ma nasconde, a sua volta, il contrasto sfruttati/sfruttatori, servi/padroni, nella forma di un beherrschtes Ganze, di una totalità autodominantesi – in maggior misura l’industria culturale, il volto ideologico di questa civiltà, insiste nel reclamizzare falsi miti di realizzazione individuale.
Il centro nevralgico del discorso adorniano è sempre dunque il rapporto fra l’io e l’altro, fra soggetto e oggetto, fra Spirito e Natura. L’intero opus adorniano è rivolto a riattivare in forma paradossale questo rapporto dialettico in un mondo che, assoggettata la Natura ai disegni dello Spirito e alle sue logiche di dominio, ha mutato il secondo nella prima.
Chi meglio ha ereditato la teoresi adorniana nel mondo contemporaneo è stato indubbiamente Fredric Jameson, che nel suo Postmodernism ha espressamente radicalizzato la posizione teorica della fine del soggetto in seguito alla liquidazione della Natura, nella forma del dissolvimento del referente.13 Non entro nel merito delle elaborazioni del filosofo americano, ma mi limito in questa sede a sottolineare come la sua opera agevoli a comprendere l’attualità del pensiero adorniano: il teorico francofortese è forse più attuale oggi di ieri, e proprio per questo, nel suo significato nietzscheano, anche profondamente inattuale.
Alfred Schmidt, tra i critici più benevoli di Adorno, ha rimproverato al maestro il «ripiegamento teoreticistico»14 rispetto ai cardini di un pensiero rivoluzionario – individuazione di un Soggetto collettivo nell’antagonismo sociale e ricerca empirica. È d’altro canto lo stesso Schmidt ad ammettere indirettamente come tale interpretazione sia troppo poco leale: «reificazione è l’autonomizzarsi, dinanzi al soggetto, dei processi sociali in forma di cose, che si ripercuote nell’autonomizzarsi dei processi conoscitivi nel soggetto conoscente stesso».15 Si può pertanto intuire come il proposito adorniano sia tutt’altro che stoico, alla ricerca di una ἀπάθεια quale gesto snobistico nei confronti del corso del mondo. Adorno indugia sul particolare perché proprio da esso trapela la cattiva essenza dell’universale, e in modo tale da poter rimettere in luce la duplicità dell’essente tramite la categoria Wesen/Unwesen. Mediante lo studio micrologico è possibile pervenire – pur nella fragilità di un modello gnoseologico per costellazioni in contrapposizione al modello della totalità del sistema – alla conoscenza dello stato di lacerazione dell’individuale nel mondo tardo capitalistico, che Jameson, ancor più radicale dello stesso Adorno, interpreterà nei termini non più di alienation of the subject, bensì di fragmentation.16
Occorre dunque, per cercare di penetrare l’universale, mettere in risalto le modificazioni che subisce l’individuo in termini di relazione con l’ambiente, ovvero di sensazioni, percezioni, emozioni – al livello, quindi, della coscienza. La riproducibilità tecnica e la standardizzazione dei prodotti dell’industria culturale offrono al consumatore – Adorno si riferiva in particolar modo al consumo musicale – una mole talmente elevata di prodotti, una dose talmente concentrata di stimoli ad una velocità talmente accelerata, che le modalità di fruizione da parte degli ascoltatori si appiattiscono nel senso di un calo di attenzione: si ascolta senza ascoltare.
A proposito dell’appercezione del film, Walter Benjamin ha detto che essa avviene in uno stato di distrazione: ciò vale anche per la musica leggera.17
Oggi, potremmo dire: ciò vale anche – anzi, a fortiori – per il web 2.0 e per le infinite e variegate possibilità e modalità di ricezione/rielaborazione che esso apparentemente offre. Dato questo scarto fra i singoli e la moltitudine dei prodotti, è leso il rapporto di conoscenza caratterizzante l’epoca moderna: nel mondo dell’industria culturale, la conoscenza si riduce a mero riconoscimento di un’identità coatta, determinata in quanto tale a priori proprio per favorire la ricezione immediata – acritica e irriflessa – dei consumatori. In ciò che Adorno definiva il rovesciamento del puro valore d’uso in puro valore di scambio, ciò che conta è unicamente Dabei sein e Bescheid wissen, partecipare ed essere al corrente.18 Ciò che già nel giovane Adorno prendeva la forma di una fenomenologia del consumo culturale è perciò mirato a svelare il fondamento teorico del sistema dell’industria culturale: il Ticket denken. In questo nodo cruciale, la lezione francofortese è unanime: Marcuse, nel suo One-Dimensional Man parla di «chiusura dell’universo di discorso» e di «linguaggio dell’amministrazione totale».19 Si è determinato un «nuovo conformismo»20 che ha prodotto una reificazione del pensiero tale che il linguaggio non esprime più il pensiero stesso, ma lo priva del suo imprescindibile elemento critico-negativo, riducendolo a mera funzione di un sistema eternamente autoproducentesi. Ancora una volta, i meccanismi posti in essere dal modello internauta dimostrano la lungimiranza delle intuizioni francofortesi. La comune e globale pratica degli hashtags, tipica degli odierni social networks, realizza, a prescindere dai contenuti veicolati, quanto i sistemi propagandistici nazionalsocialista e hollywoodiano riuscirono soltanto ad inaugurare:
Antisemita non è solo il ticket antisemita, ma la mentalità dei tickets in generale […] Ma se il ticket progressista tende a ciò che è peggiore del suo contenuto, il contenuto del ticket fascista è così vano che può essere ancora tenuto in piedi – al posto del meglio – solo a prezzo di uno sforzo disperato degli stessi ingannati. Il suo orrore è quello della menzogna manifesta e che pure continua a vivere.21
È accaduto proprio ciò che Dialettica dell’illuminismo sperava di esorcizzare: maggiori sono le possibilità di comunicazione fra gli uomini, tanto più questa comunicazione diventa pura, fine a se stessa, senza effettivo rapporto ai contenuti. Così oggi il web offre agli internauti svariati modi di interrelazione, con la apparente possibilità che servano da mezzo, ma imponendosi, tramite la propria struttura rizomatica, come fine: ciò che conta è esser connessi.
Non è per niente casuale che, quasi in concomitanza con la diffusione di tali pratiche relazionali, si sia assistito in questi ultimi anni ad una rapidissima ed esponenziale crescita della produzione e distribuzione di ciò che va sotto il nome di serie TV. L’aumento e la pluridirezionalità dei canali di distribuzione non son certo esterni alle logiche di produzione e alla qualità dei prodotti, ma, al contrario, ne esprimono esattamente la logica immanente: l’autoriproduzione e il flusso continuo; ma, anziché elaborare i propri contenuti dall’interno, mettendo per così dire in scena la serialità stessa, somministrano narrazioni di eventi, storie strappalacrime o commedie divertenti spacciandole per prodotti di ottima fattura agli spettatori che, pur non facendo più, nella loro vita, esperienza di quei contenuti, reagiscono come se assistessero a tragedie puramente shakespeariane. Nei prodotti dell’attuale industria culturale, oggi ancor più di ieri, la forma tradisce il contenuto, che non riesce a starle al passo. Tragedie e commedie, drammi e gags rappresentati diventano così la pura occasione per veicolare, come unico vero contenuto, l’onnipotenza del sistema stesso, che oggi si esprime nella convulsa e spasmodica connessione. «Perché questa commedia tutti i santi giorni?»22 chiede Nell a Nagg nel beckettiano Fin de partie. In ciò consiste per Adorno il modello critico par excellence nel mondo amministrato: il metateatro di Samuel Beckett illumina il teorico critico circa l’esigenza della pratica metacritica, dettata dalla consapevolezza che la critica non può più rivolgersi verso i contenuti – che, in quanto reificati, sono facilmente manipolabili dall’industria culturale – bensì verso gli stessi mezzi espressivi e comunicativi che veicolano quei contenuti e di cui lo stesso soggetto della critica, nolens volens, partecipa.
A volersi esprimere enfaticamente, parodia significa impiego delle forme nell’epoca della loro impossibilità. La parodia dimostra tale impossibilità e modifica così le forme.23
Il pensiero critico deve rendersi conto, pertanto, di non poter aderire perfettamente al proprio oggetto, ma deve piuttosto rivolgersi anche contro se stesso. Su un piano prettamente politico, nonostante le notevoli differenze, è possibile rinvenire una sorprendente analogia rispetto alle posizioni espresse da Marcuse già negli anni Trenta, all’epoca della monumentale opera collettanea dal titolo Studien über Autorität und Familie, dove il pensiero anarchico di matrice soreliana – antiautoritarismo alla base della fortunata diffusione della figura del ribelle – è considerato come facilmente succube della tendenza di un rovesciamento in «autoritarismo formalistico»,24 e più tardi negli anni Sessanta, tramite la denuncia del pericolo di un potere acefalo.25 Non c’è che dire: anche sotto questo peculiare aspetto, ancora una volta i maestri francofortesi sono stati lungimiranti, se si osserva l’attuale panorama socio-politico internazionale e in particolar modo europeo, dominato da populismi d’ogni sorta.
Qual è dunque il lascito adorniano al pensiero contemporaneo? Una delle possibili risposte può essere rinvenuta nella comprensione di quanto sopra è stato chiamato metacritica. Un mondo che liquida il potenziale critico del pensiero semplicemente inglobandolo, rendendolo così innocuo e funzionale alla affermazione del potere stesso, può essere ricondotto su nuovi binari di bidimensionalità – utilizzando il lessico marcusiano – recuperando, non senza sforzo, una delle facoltà cognitive primarie dell’umano: la memoria. Il pensiero che voglia rimanere fedele alla propria funzione critica deve divenire metacritico strutturandosi quale Eingedenken der Natur im Subjekt. Occorre, cioè, rapportarsi all’oggetto del pensiero non tramite l’occhio del dominio che ha caratterizzato i dualismi della modernità – che Adorno non aveva timore a definire tutti, nel complesso, come idealisti – bensì attraverso la rammemorazione di quanto è stato perduto ed è stato lasciato indietro rispetto al movimento livellatore della storia occidentale. La coscienza individuale può salvare paradossalmente l’individuo solo ricordandolo, nella consapevolezza che non è più tale.
C’è chi, come Habermas, ha aspramente contestato tale impostazione, non tanto nei termini di una sua sostanziale equiparazione al pensiero tardoromantico, ma più lecitamente criticandone l’assenza di criteri normativi in base a cui svolgere l’attività critica del pensiero. Se il soggetto della critica è ineluttabilmente legato all’oggetto, qual è il parametro in base a cui si può esser certi che la critica venga indirizzata nella giusta direzione? La risposta forse è la più fragile, ma anche la più onesta: il pensiero rimane critico nella misura in cui mira alla Versöhnung, alla conciliazione fra universale e particolari e alla pacificazione dell’esistente.
Questa tesi risulterà senza dubbio assai debole a chi ritiene che il pensiero debba attenersi ai fatti, e si aspetti da esso piccole soluzioni a singoli problemi. Ma nel mondo globalizzato, in misura di gran lunga maggiore rispetto a ieri, non esistono più singoli problemi, se con ciò si intende la possibilità di soluzioni ad hoc senza che ciò interferisca con l’altro capo del mondo. In questa prospettiva, il ruolo dell’intellettuale rimane fondamentale: la sua condizione borderline non è un vezzo intellettualistico, bensì – come sottolineato in maniera interessante anche da Axel Honneth nel suo saggio Idiosynkrasie als Erkenntnismittel26 – rappresenta il punto di prospettiva a lui più congeniale, in quanto consente all’intellettuale di non vivere confinato all’esterno della propria società, ma abbastanza distante da poter essere, ad un tempo, dentro e fuori, e da poter così focalizzare i punti critici e le crepe del reale, ponendo la realtà incompiuta di fronte alla propria idea, che l’intellettuale può dunque richiamare solo ex negativo. Nella figura del teorico critico, il mondo come dovrebbe essere – il mondo conciliato e pacificato – protesta non contro il mondo così com’è, ma contro un mondo che, nascondendo le proprie contraddizioni, si spaccia come ciò che, secondo la propria idea, dovrebbe essere: come il migliore dei mondi possibili. Con le parole di Adorno, al pensatore odierno non si chiede niente di meno che questo: essere nello stesso momento nelle cose e al di fuori delle cose; e il gesto del barone di Münchhausen, che si solleva dallo stagno afferrandosi per il codino, diventa lo schema di ogni conoscenza che vuol essere qualcosa di più che constatazione o progetto. E poi vengono i filosofi di professione a rimproverarci di non avere un solido e stabile punto di vista.27
Se la filosofia, così intesa, appare nelle vesti della provocazione, essa è in realtà, ancora oggi, qualcosa in più: l’ostinata e caparbia attitudine a pensare in favore di un mondo finalmente conciliato, pur nella realistica consapevolezza dell’impossibilità di appianarne, una volta per tutte, le profonde contraddizioni.
Note
1 M. Horkheimer, La teoria critica ieri e oggi, in E. Donaggio (cura), La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, Einaudi, Torino 2005, p. 386 («Und so war unser Grundsatz: theoretischer Pessimistzusein und praktischer Optimist!»).
2 Nel suo From Caligari to Hitler. A Psychological History of the German Film, Princeton University Press, Princeton, 1947, superlativo saggio di fenomenologia cinematografica, Siegfried Kracauer, caro amico di Adorno e anch’egli, oltre che francofortese di nascita, legato allo Institut für Sozialforschung, nota ripetutamente come il cinema espressionista tedesco degli anni Venti tematizzi, più o meno consciamente, l’alternativa senza scampo fra dominio tirannico e caos istintuale, fra ordine imposto e anarchia, senza alcuno spazio per l’esperienza della libertà.
3 Ai fini del discorso adorniano, le differenze fra i due sistemi politici e socio-economici sono secondarie, sebbene mai negate. Si pensi che la stessa Dialettica dell’illuminismo fu dedicata a Friedrich Pollock, che pochi anni prima, nel saggio State Capitalism: Its Possibilities and Limitations, aveva teorizzato il concetto di capitalismo di Stato, preparando così il terreno per le successive speculazioni dei colleghi dell’Istituto, ma che aveva comunque posto alcune distinzioni fra la forma totalitaria e la forma democratica del nuovo sistema socio-economico globale.
4 M. Horkheimer, Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997, p. 128 («Das aber ist keinem Bewegungsgesetz der Technik als solcher aufzubürden, sondern ihrer Funktion in der Wirtschaftheute»).
5 Come si evince nello stesso Th. W. Adorno, Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1994, dall’aforisma Kind mit dem Bade, pp. 40-41.
6 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2011, pp. 6-7 («son hic et nunc, son existence unique au lieu où elle se trouve […] le contenu de la notion de l’authenticité»).
7 Ibid., p. 8 («La technique de reproduction [… ] détache la chose reproduite du domaine de la tradition»).
8 Ibid., p. 33.
9 Ibid., p. 38.
10 Ibid., p. 22 («À cette nouvelle angoisse correspond, comme de juste, un triomphe nouveau: celui de la star»).
11 Th. W. Adorno, Ricapitolazione sull’industria culturale, in Id., Parva Aesthetica, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 58-68.
12 M. Horkheimer, Th. W. Adorno, Dialettica dell’ illuminismo, cit., p. 157 («Die Industrie ist an den Menschen bloß als an ihren Kunden und Angestellten interessiert und hat in der Tat die Menschheit als ganze wie jedes ihrer Elemente auf dieseer schöpfende Formel gebracht. Je nachdem, welcher Aspektgerademaßgebendist, wird in der Ideologie Plan oder Zufall, Techniko der Leben, Zivilisationo der Naturbetont. Als Angestellte werden sie an die rationale Organisation erinnert und dazuangehalten, ihrmit gesun dem Menschen verstandsicheinzufügen. Als Kunden wird ihnen Freiheit der Wahl, der Anreiz des Unerfaßten, an menschlich-privaten Ereignissensei’s auf der Leinwandsei’s in der Presse demonstriert. Objekte bleiben sie in jedem Fall»).
13 F. Jameson, Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, Durham, 1991, passim.
14 A. Schmidt, G.E. Rusconi, La Scuola di Francoforte. Origini e significato attuale, De Donato, Bari 1972, p. 154.
15 Ibid., p. 145.
16 F. Jameson, Postmodernism, cit., p. 14.
17 Th. W. Adorno, Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell’ascolto, in E. Donaggio (cura), La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, cit., p. 142 («Benjamins Hinweisauf die Apperzeption des Films im Zustand der Zerstreuung gilt ebensowohl für die leichte Musik»).
18 M. Horkheimer, Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 170.
19 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1999 pp. 96-97.
20 Ibid., p. 96.
21 M. Horkheimer, Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., pp. 222-223 («Nicht erst das antisemitische Ticket ist antisemitisch, sondern die Ticketmentalität überhaupt […] Wenn aber das fortschrittliche Ticket demzustrebt, was schlechter ist als se in Inhalt, so ist der Inhalt des faschistischen so nichtig, daßerals Ersatz des Besser ennurnoch durch verzweifelte Anstrengung der Betrogenenaufrechter halt en warden kann. Sein Grauenist das der offenkundigen und doch fort bestehen den Lüge»).
22 S. Beckett, Finale di partita, in Id., Teatro, Einaudi, Torino, 2002, p. 112.
23 Th. W. Adorno, Tentativo di capire il «Finale di partita», in Id., Note per la letteratura, Einaudi, Torino, 2012, p. 114 («Emphatisch heißt Parodie die Verwendung von Formenim Zeitalter ihrer Unmöglichkeit. Sie demonstriert diese Unmöglichkeit und verändert dadurch die Formen»).
24 H. Marcuse, L’autorità e la famiglia. Introduzione storica al problema, Einaudi, Torino, 2008, p. 107.
25 Id., L’uomo a una dimensione, cit., p. 255. Si tratta, a ben vedere, di un problema assai dibattuto da oltre cento anni, ovvero almeno a partire dagli attriti all’interno della Prima Internazionale, benché progressivamente accentuatosi.
26 L’idiosincrasia come mezzo di conoscenza. La critica sociale nell’epoca dell’intellettuale normalizzato, in Id., Patologie della ragione. Storia e attualità della teoria critica, Pensa Multimedia Editore, Lecce, 2012, p. 231.
27 Th. W. Adorno, Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa, cit., p. 78 («Vom Denken denn heute wird nicht weniger verlangt, als daßer in jedem Augenblick in den Sachen und außerden Sachenseinsoll – der Gestus Münchhausens, der sich an dem Zopfaus dem Sumpf zieht, wird zum Schema einer jeden Erkenntnis, die mehr sein willalsent weder Feststellungo der Entwurf. Und dann kommen noch die angestellten Philosophen und machen uns zum Vorwurf, daß wirkeinenfesten Standpunkt hätten»).
Bibliografia
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