Volume IV, Issue 4 (14), New Series, September – November 2016

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La societá del paradosso e il paradosso della societá. Una riflessione Adorniana

(The society of paradox and the paradox of society: an Adornian reflection)

 

 

Valeria FERRARETTO

Abstract: Critical Theory offers a new way to understand not only the society, but also the individual. In particular, I will focus on the thought of Adorno and his conception of society.

First, I want to investigate the Adornian description of society in its totalitarian face and in its paradoxical relationship with the individual. The individual, first element of society, without which any society cannot be imaged, paradoxically finds – in the society – its liquidation and destruction.

Secondly, I want to consider the Adornian revolutionary statement in a conversation with Horkheimer of a need of a “New Manifesto”. Do we need it even today? Would be really possible a new Marxian society in our world? The attempt to answer to those questions will conclude my paper.

Keywords: Adorno, Critical Theory, Individual, New Manifesto.

Introduzione

Tra società e teoria critica vi è – da sempre – un grosso legame. Fin dalla nomina di Horkheimer a direttore della Scuola di Francoforte (1931), ci si propone di elaborare una “teoria critica della società”: le due nozioni non possono essere divise, ma anzi fin dalle origini la teoria è finalizzata alla comprensione sociale del primo dopoguerra. Il presente saggio vuole concentrarsi sul contributo di Adorno alla teoria critica e, in particolar modo, riflettere sul portato per la società della sua particolare teoria critica. Una società che – con Adorno – ha conosciuto la seconda guerra mondiale, gli orrori dello stalinismo e gli albori della società di massa.

Per provare a far ciò dobbiamo capire prima di tutto che cosa viene inteso per società da Adorno. Scopriremo quindi un concetto funzionale e dinamico di società, che non può mai essere trattato senza un’altra nozione, quella di individuo. Ci concentreremo infine su un desiderio condiviso da Adorno e Horkheimer di scrivere – o meglio ri-scrivere – un nuovo manifesto, come base per una nuova e futura società.

Società: tra funzionalità e dinamicità

Cosa intende Adorno per società? Innanzitutto egli afferma più volte l’impossibilità di definire tale termine, intendendolo come una

[…] sorta di compagine integrata di esseri umani al cui interno tutto e tutti dipendono da tutti; in cui il tutto si ottiene soltanto dall’unità delle funzioni svolte da ciascuno dei membri e dove a ogni singolo individuo spetta in linea di principio una di queste funzioni1.

Nell’Einleitungsvortrag del 1953, Individuum und Organisation, la società è descritta come strutturata da un «potere onniavvolgente» e da una «potenza onnipresente»: quello dell’organizzazione.2 Rifiutandosi anche per quest’ultimo concetto di fornire una definizione, Adorno procede all’esposizione e alla critica dei significati unilaterali, nella loro interconnessione dialettica, di ciò che significa organizzazione. Essa è delineata come «complesso di scopi coscientemente istituito e diretto», distinto «tanto dai gruppi quasi-naturali, come la tribù o la famiglia, quanto, all’opposto, dalla totalità non pianificata del processo sociale». È «razionalità conforme allo scopo», una «associazione razionale di scopi», ovvero finalizzata all’autoconservazione dell’individuo, che esclude tutti coloro che non ne fanno parte:

Il nome organizzazione ricorda l’organo, lo strumento. In ciò risuona il fatto che coloro che vengono compresi nell’organizzazione non le appartengono in primo luogo per se stessi, bensì come strumenti per la realizzazione di quello scopo che l’organizzazione persegue e che in modo innanzitutto mediato – daccapo, se volete, come «strumento» – si serve nuovamente di essi.3

L’organizzazione è il medium delle relazioni umane ed è «qualcosa di completamente storico».4 Dieci anni più tardi, nel 1965, in Società, Adorno, oltre a ribadire nuovamente l’indefinibilità del concetto di società, afferma che: «Essa è essenzialmente processo; su di essa dicono di più le sue leggi di movimento che invarianti astratte ed esteriori».5

Non si può identificare la società con alcunché, sia perché è un termine che muta nel tempo, quindi non può essere intesa come un «concetto classificatorio», sia perché non è la somma dei suoi componenti: «Non è neanche l’universo dei suoi elementi; non è una categoria solo dinamica, ma funzionale».6

La società è un «concetto funzionale» (Funktionsbegriff).7 Questa determinazione del concetto di Gesellschaft non è tuttavia da intendere «funzionalisticamente», come se fosse la «quintessenza della connessione di singole funzioni reciprocamente riferite le une alle altre»,8 non è riassumibile dalla somma dei singoli fenomeni, come fosse un «atlante sociale» (Sozialatlas),9 in cui tutto avrebbe un suo posto preciso.

Né si può cogliere immediatamente, né è sottoposta a ferree leggi naturali, come vorrebbe ridurla quella branca della sociologia positivistica, bandendola come «relitto filosofico»:

Poiché, mentre la società non è un concetto che possa essere astratto dai singoli fatti, né è a sua volta un fatto che possa essere tratto in arresto come tale, non c’è un solo fatto sociale che non sia determinato attraverso la società. Nelle situazioni sociali fattuali appare la società.10

La vera funzione della società consiste nel designare i «rapporti che vigono tra gli elementi e le leggi che regolano questi rapporti piuttosto che gli elementi stessi, o la mera descrizione dei rapporti come tali»,11 ed è quindi un «concetto essenzialmente dinamico».12

La dialettica di società e individuo

Società è «essenzialmente la sostanza dell’individuo».13 Eppure si rivela essere una sostanza paradossale. Per un verso, la totalità sociale è funzionale nel senso che è dipendente dai singoli elementi, dai quali è riassunta, è il risultato di azioni individuali, quindi prodotto dell’agire umano. Senza gli individui non vi sarebbe. In ciò Adorno risente molto della lezione di Weber sulla «sociologia comprendente». Per Weber, le scienze storico-sociali originano da scelte individualizzanti, compiute esclusivamente da un soggetto agente, sulla base di determinati valori. La scienza può solo giudicare l’efficienza delle scelte rispetto alle mete che si vogliono raggiungere, ma la scelta di queste mete esula dalla scienza.

Adorno concorda con Weber che la società debba essere riconosciuta come prodotto umano, quindi ricondotta agli uomini che la compongono. Tuttavia, nello stesso tempo, ammette anche che per quanto le azioni individuali siano riconducibili a una posizione di scopo individuale, esse si compongono di una struttura oggettiva che trascende le singole posizioni di scopo:

Quando gli uomini, sotto la pressione delle circostanze, sono stati effettivamente ridotti a «reagire come anfibi», ad esempio quali consumatori coatti di mass media e altri piaceri regolamentati, l’inchiesta demoscopica di cui si indigna un umanesimo passato al bucato è più appropriata che, ad esempio, una sociologia della «comprensione»: poiché il sostrato del comprendere, il comportamento umano in sé coerente e dotato di senso, è già stato sostituito dal semplice riflesso condizionato dei soggetti stessi.14

In altre parole, se per Weber l’agire umano è un agire razionale, orientato a uno scopo (Zweckrationales Sichverhalten), per Adorno i fenomeni sociali non sono razionali o trasparenti al soggetto conoscente. Qui sta il vero motivo di dissidio con la «sociologia comprendente». La società è dal suo interno conoscibile e inconoscibile al tempo stesso.

Ed ecco infatti l’altro polo della questione, le dinamiche sociali hanno loro regole autonome, non riducibili alle azioni singole degli individui, che non sono sostanze ultime, ma anch’esse dipendono dal tutto, dal quale sono riassunte. Qui si gioca il ruolo di Durkheim, «il più influente sociologo francese di ogni generazione»,15 per il quale la società è un ambito distinto del reale, irriducibile agli individui e ai loro rapporti.

Durkheim è l’interprete di una sociologia funzionalista e organicistica, che considera i fenomeni sociali disgiunti dai soggetti che li rappresentano e funzionali all’ordine sociale. Questa sociologia predilige nella spiegazione dei fenomeni sociali le cause super-individuali che trascendono la volontà degli individui, riducendo quest’ultima a mero epifenomeno. Fulcro della sociologia durkheimiana è, quindi, il dominio della società sull’individuo, sull’«autonomia delle tendenze sociali rispetto a quelle psicologico-individuali»16 e sul carattere vincolante delle prime per le seconde. È la società ad avere gli strumenti di coercizione ed è essa il tutto che guida le parti. Tale tesi è riconosciuta da Adorno come descrittiva di uno stato di fatto derivante da una dinamica storica: «La società viene prima del soggetto. Che egli si figuri di anteporsi alla società è la sua illusione necessaria».17

Tuttavia, come quella di Weber, anche la sociologia di Durkheim è solo un momento della sua riflessione. Durkheim presenta il predominio della società sull’individuo come un disciplinamento positivo dell’individualità e le manifestazioni patologiche della borghesia anziché venir criticate vengono assunte a norma sociale. Suo fine è «glorificare il dato in quanto sensato», tanto che arriva a trasformare la seconda natura della società in prima natura.

Certo Durkheim […] ha riconosciuto che l’individuo è una categoria sociale, che è mediato dalla società. Però nega spasmodicamente che questa mediazione [Vermittlung] abbia bisogno anche di ciò che è mediato [Vermittelten], che le creazioni collettive senza antipolo individuale sarebbero così poche come quelle senza universalità sociale.18

Durkheim ipostatizza l’individuo come «fenomeno originario» (Urphänomen) ed equipara «l’estraniazione sociale alla socializzazione, invece di riconoscerla come qualcosa di sorto (als Entsprungenes) e, nella sua possibilità, di transitorio (Vergängliches)».19

Per Adorno che la società sia «concetto funzionale» significa proprio che è dialettica tra le due posizioni, tra quella che la riduce a mero riassunto di azioni individuali e quella che la vuole autonoma e indipendente, come un mero fatto naturale.

[…] bisognerebbe mostrare come quei rapporti che sono diventati indipendenti dagli uomini e per loro impenetrabili derivino da rapporti fra gli uomini.20

La sociologia dovrebbe dialettizzare tra di loro la comprensibilità weberiana con la non-comprensibilità durkheimeriana. «La società è entrambe le cose, è insieme conoscibile e non conoscibile dall’interno».21

Questa «reciprocità» del rapporto tra il generale della totalità sociale e il particolare dei suoi momenti singoli, vuole distaccarsi dall’ipostatizzazione sia del concetto di comprensione, che pesa ad «atti singoli o tipi ideali, senza considerare la totalità della società», sia dal concetto di incomprensibile che «si limita ad accettare la realtà non conciliata, e infine si esalta ciò che è stato accettato, la società come meccanismo collettivo di costrizione». Bisogna andare «oltre la banalità che tutto è connesso con tutto» e giungere ad un concetto di società «critico».22

Autonomizzazione della società e liquidazione dell’individuo

Ci troviamo di fronte ad una costruzione umana, la società, che si colloca oggettivamente di fronte ai soggetti che l’hanno costituita: l’individuo diviene nient’altro che prodotto della divisione capitalistica del lavoro e della concorrenza.

La società è insieme comprensibile e incomprensibile. Comprensibile in quanto quel fatto dello scambio che le detta oggettivamente le sue regole è esso stesso un’astrazione, implica, nella sua oggettività, un atto soggettivo: in esso il soggetto riconosce e ritrova veramente se tesso. […] Ma la razionalità oggettiva della società, la razionalità dello scambio, si allontana sempre più, per la propria dinamica, dal modello della ragione logica. Perciò la società – ciò che ha assunto esistenza propria, autonoma – non è più comprensibile; è solo la legge di questa autonomizzazione. Oltre ad essere prodotto della società, l’individuo è anche proiezione delle sue contraddizioni.23

La società è «sin dall’inizio, unita a privilegi, all’irrigidimento di determinate funzioni degli organi sociali, al dominio».24 Prodotta degli individui, si rende autonoma, con la conseguente cancellazione di quelle condizioni che favorivano l’autonomia individuale. Diventa così una totalità, un universale, che tende a reificare il proprio oggetto, considerandolo come entità isolabile.

In primo luogo, è basata sullo scambio:

Il dominio universale del valore di scambio sugli uomini, che a priori nega ai soggetti di essere tali e che umilia pure la soggettività facendone un mero oggetto, relega alla non verità quel principio universale che afferma di istituire il predominio del soggetto.25

Il rapporto di scambio non solo nega l’individuo come tale, ma assume lui stesso come il ruolo di soggetto della società: il soggetto diviene «nemico del soggetto».26

In secondo luogo, scopo della società capitalistica non è altro che la «produzione come fine in sé», ovvero un «produrre per la produzione».27

Sotto queste condizioni l’individuo non può più agire in modo autonomo, ma viene completamente determinato dalla società, tanto che la legge individuale diviene «crittografia dello scambio di equivalenti».28 Proprio dal suo legame con la società borghese, quindi, matura la crisi dell’individuo. Le qualità, che il singolo aveva conquistato proprio entrando nella modernità – quali l’autonomia, l’identità e il carattere – diventano superflue e vengono superate da nuovi elementi che le svuotano di significato.

[…] Il fatto che ogni uomo sia sostituibile con ogni altro uomo e in fondo perciò sostituibile senz’altro; la sensazione perciò della superfluità e, se volete, della nullità di ognuno di noi per il tutto: questo è il fondamento, dato oggi nello sviluppo sociale oggettivo, di quella sensazione, anche nelle condizioni della libertà formale.29

Gli individui, così, da autonomi diventano «esecutori involontari delle leggi del mondo», tanto che quella presunta loro autonomia già alla loro nascita è «legata al funzionamento del sistema economico».30

Che nella totalità sociale tutto sia mediato da tutto e reciprocamente dipendente, si manifesta allo stesso tempo come il negativo, il carattere costrittivo della totalità sociale come di una connessione funzionale universale [Funktionszusammenhang]31.

Nella totalità sociale, qualcosa può esistere e conservarsi solo come funzione di e per qualcos’altro. «In generale, per poter campare ogni singolo deve assumersi una funzione, e gli si insegna a ringraziare, finché ne ha una».32

Si svela così la «proprietà specifica della socialità»: il «predominio sugli uomini di rapporti di cui essi sono diventati, alla fine, i prodotti privi di qualsiasi potere»,33 «funzioni del proprio apparato produttivo».34

La vita viene abbassata a manifestazione della produzione, «quella che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo».35 Ma la decadenza dell’individuo, afferma Adorno nell’aforisma 97 di Minima moralia, «non va spiegata individualisticamente, ma dedotta dalla tendenza sociale».36

Anche l’interpretazione reazionaria si rende conto della «decadenza dell’individuo e della crisi della società», ma addossa la «responsabilità ontologica di tutto questo all’individuo in sé, concepito come del tutto libero e interiore» e così preferisce «sacrificare l’individuo» invece di criticare il principium individuationis sociale. Condizione dell’uomo diventa l’«inumanità» e «il vivente in quanto vivente si è trasformato in cosa, in equipaggiamento». Concepire l’«uomo come un ente statico, sottoposto a certe deformazioni ad opera di un “influsso” esterno», aggiunge Adorno nell’aforisma 147, è ingannevole, perché

In realtà, non c’è nessun sostrato di queste «deformazioni», non c’è un’interiorità sostanziale, su cui opererebbero – dall’esterno – determinati meccanismi sociali: la deformazione non è una malattia che colpisce gli uomini, ma è la malattia della società.37

Una nuova società per un nuovo individuo

Da un lato, la società è inesorabile, «altrimenti non si sarebbe costruito nemmeno un pontile primitivo e nessun fuoco da campo si sarebbe mai potuto tenere acceso», necessaria e razionale, poiché «si mescola con i compiti dell’autoconservazione collettiva e del dominio della natura».38 Dall’altro lato, le forme sociali diventano feticci e vengono rese tanto autonome da schiacciare e dominare l’uomo in una «connessione d’accecamento» (Verblendungszusammenhang).

Noi siamo costretti, volenti o nolenti, a collaborare come ingranaggi del meccanismo e […] la nostra individualità è ristretta sempre più alla nostra vita privata e alla nostra riflessione ed è perciò atrofizzata.40

La società «mantiene in vita e insieme minaccia di morte se stessa e i suoi membri».41 È quindi in sé contraddittoria: nata da atti liberi degli individui, conduce alla costruzione di un sistema autonomo autodeterminantesi, che si oppone alle soggettività agenti.

In altre parole, la sua totalità non è identica ai singoli momenti sociali, senza i quali tuttavia non ci sarebbe nulla, ma dall’altra parte quegli stessi momenti necessitano della totalità sociale. Nessuna delle due parti, né l’universalità della totalità sociale, né la particolarità dei suoi singoli momenti potrebbe esistere senza la sua identità con l’altra, con la quale è allo stesso tempo non identica, in forza di una mediazione simile.

In particolar modo, è nello scambio e nel mercato che si esplica la sua contraddittorietà: da momento di mediazione diventa momento di costrizione.

L’astrattezza del valore di scambio coincide […] con il dominio dell’universale sul particolare, della società sui suoi membri coatti. Esso non è socialmente neutrale […] Nella riduzione degli uomini ad agenti e portatori dello scambio della merce si cela il dominio degli uomini sugli uomini.42

Adorno riconosce così, nell’analisi del processo di scambio, la possibilità di concepire quel processo di autonomizzazione che costituisce il tratto caratteristico della società capitalistica. Nello scambio la totalità sociale, che è il «principio della relazione sociale degli individui tra loro»,43 si rende indipendente rispetto ai singoli. «Il processo di autonomizzazione [Verselbständigung] dell’individuo, funzione della società di scambio, culmina nella sua eliminazione tramite integrazione».

I moderni processi di razionalizzazione si autonomizzano dall’agire sociale individuale.

Gli uomini sono ancor sempre ciò che secondo l’analisi marxista erano intorno alla metà del secolo XIX: appendici della macchina, non soltanto i lavoratori sono tali in senso letterale, perché devono conformarsi alla natura delle macchine a cui attendono, ma lo sono, ben più, metaforicamente, poiché sono costretti, fin nei loro impulsi più intimi, a inserirsi nel meccanismo sociale, come portatori di un determinato ruolo, e a modellarsi senza riserve su di esso.45

È la massa benjaminiana, a cui è precluso ogni giudizio critico, vittima di quella «prima tecnica» che è finalizzata al dominio della natura e al sacrificio dell’uomo.46 Anche per Benjamin l’uomo nella società Novecentesca della riproducibilità tecnica diventa merce amorfa, indistinta e alienata.

Tale scissione tra individuo e società non consiste in una totale diversità, bensì nella continua e reiterata non realizzazione delle promesse fatte dalla società stessa agli individui.

Come realizzare tali promesse? In una conversazione con Horkheimer, Adorno esprime il suo desiderio di scrivere un nuovo manifesto, che però per questioni contingenti e per l’impegno nella stesura di Dialettica dell’illuminismo, rimane solo allo stato di idea comune. Questo manifesto deve essere di stampo «fortemente leninista» (streng leninistisches Manifest), per giungere alla terza fase del leninismo medesimo.47

Di fronte a un mondo basato su un «rapporto sociale che si palesa attraverso il principio di scambio, come se fosse una cosa in sé»,48 Adorno afferma chiaramente che:

È nostro compito chiarirlo in modo speculativo e protostorico [urgeschichtlich], per inferirlo dal principio della società, così che vada oltre Marx.49

In particolar modo, tale manifesto deve porre l’accento sul rapporto tra teoria e prassi. Adorno è convinto che la prassi non possa essere separata dalla teoria. La pretesa che la teoria debba essere qualcosa di puro, slegato dall’azione, ha qualcosa di deludente, così come è deludente considerare la prassi come la realizzazione di quella promessa di apertura e azione.

Ecco, quindi, come la teoria critica – che è appunto teoria – può dire molto riguardo alla società – e quindi alla prassi da adottare in essa.

Una prassi impaziente che cerca di trasformare il mondo prima di interpretarlo è debole, fallisce e, soprattutto, porta alla riproduzione dello status quo. Come cieca pseudo-attività, l’attivismo non ha alcun effetto trasformativo: l’unico suo effetto è la riproduzione conformista delle sue condizioni. Si giunge così ad un’antinomia:

Da un lato la teoria esiste per dire cosa si può fare in riferimento alla realizzazione del comunismo all’interno di una determinata costellazione di poteri. Dall’altro lato è proprio la costrizione a pensare tali alternative che oggi rende il pensiero uno sproloquio. Questa è un’antinomia.50

La teoria deve far luce sulle possibili alternative del potere, perché un cambiamento sociale dipende da una comprensione della società e quindi la prassi, se vuole essere significativa, deve basarsi su una teoria. Tuttavia, proprio il sentirsi costretti a riflettere sulle alternative possibili può avere come effetto una ricaduta del pensiero nello sproloquio, come se – in ultima analisi – una teoria equivalesse all’altra, senza alcuna distinzione pratico-effettuale. Da questa antinomia si può uscire tornando a Marx, ma superarndolo. Ciò significa scrivere un nuovo manifesto, che possa mostrare lo stato attuale della società, ovvero di una società divenuta totale, impregnante ogni dettaglio della vita.

Non si dovrebbe oggi pensare veramente qualcosa di totalmente nuovo: scrivere un manifesto, che renda giustizia a come è l’oggi? Al tempo di Marx non si poteva ancora vedere che l’immanenza della società è diventata totale. Ciò significa, per un verso, che ci si deve spogliare solo dalla scorza esterna, per l’altro verso, che nessuno vuole più avere altro.51

Note

1     Th. W. Adorno, Gesellschaft. Erste Fassung eines Soziologischen Excurses, in Id., Frankfurter Adorno Blätter VIII, a cura di R. Tiedemann, Edition Text+Kritik, München, 2003, pp. 143-150, qui p. 143 (trad. it. di F. Peri, Società. Prima stesura di una delle Lezioni di sociologia, in Th. W. Adorno, La crisi dell’individuo, a cura di I. Testa, Diabasis, Reggio Emilia, 2010, pp. 149-159, qui pp. 149-150).

2        Id., Individuum und Organisation, in Id., Gesammelte Schriften 8, a cura di Rolf Tiedemann, con la coll. di Gretel Adorno, Susan Buck-Morss e Klaus Schultz, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1972, pp. 440-456, qui p. 443 (trad. it. di A. Bellan, Individuo e organizzazione, in «La società degli individui», III, 9, 2000, pp. 125-139, qui p. 128).

3        Ibid., p. 441; trad. it. p. 126.

4        Ibid, p. 443; trad. it. p. 128. «[…] il concetto di società non è separabile dalla storia […] Una sociologia che facesse astrazione dall’elemento storico immanente alla stessa società per andare alla ricerca di strutture sovratemporali o limitarsi a registrar stati di fatto momentanei, però, mancherebbe a priori il proprio oggetto» (Th. W. Adorno, Gesellschaft, cit., p. 150; trad. it., Società, cit., p. 158).

5        Th. W. Adorno, Gesellschaft (I), in Id., Soziologische Schriften I, in Id., Gesammente Schriften 8, cit., pp. 9-19, qui p. 9 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Società, in Th. W. Adorno, Scritti sociologici, Einaudi, Torino, 1976, pp. 3-13, qui p. 3).

6        Ibid., pp. 9-10; trad. it. p. 4.

7        Th. W. Adorno, Gesellschaft, cit., p. 143 (trad. it., Società, cit., p. 150).

8        J. F. Schmucker, Adorno. Logik des Zerfalls, Frommann/Holzboog, Stuttgart, 1977, p. 43 (trad. mia).

9        Th. W. Adorno, Soziologie und empirische Forschung, in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 196-216, qui p. 210 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Sociologia e ricerca empirica, in Th. W. Adorno, Scritti sociologici, cit., pp. 189-209, qui p. 204).

10      Th. W. Adorno, Gesellschaft (I), cit., p. 10 (trad. it., Società, cit., p. 4).

11      Ibid., p. 143 (trad. it., Società, cit., p. 150).

12      Ibid., pp. 143 e 146; trad. it. pp. 150 e 153.

13      Id., Minima Moralia. Reflexionenen aus dem beschädigten Leben, in Id., Gesammelte Schriften 4, cit., 1980, p. 16 (trad. it. di R. Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino, 1994,  p. 6).

14      Id, Soziologie und empirische Forschung, cit., p. 202 (trad. it., Sociologia e ricerca empirica, cit., pp. 195-196).

15      Id., Einleitung zu Emile Durkheim, «Soziologie und Philosophie», in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 245-279, qui p. 245. Saggio del 1965, scritto come introduzione all’edizione tedesca di Sociologia e filosofia di Durkheim. È l’unico fra quelli della prima parte delle Soziologische Schriften I a non essere stato ancora tradotto in italiano.

16    Ibid., p. 246.

17      Id., Negative Dialektik, in Id., Gesammelte Schriften 6, cit., 1973, pp. 7-412, qui p. 132 (trad. it. di P. Lauro, Dialettica negativa, Einaudi, Torino, 2004, p. 116).

18      Id., Einleitung zu Emile Durkheim, «Soziologie und Philosophie», cit., p. 251 (trad. mia).

19      Ibid.

20      Id., Gesellschaft (I), cit., p. 12 (trad. it. Società, cit., p. 6). «[…] La dinamica autonoma che caratterizza i processi sociali (si pensi, per citare un esempio non casuale, alle crisi economiche) non può far dimenticare il fatto che essi restano comunque, in ultima istanza, il risultato di azioni teleologiche degli individui» (S. Petrucciani, Il mitico nel moderno: figure del feticismo in Adorno, in S. Mistura, Figure del feticismo, Einaudi, Torino, 2001, pp. 197-224, qui p. 209).

21      Ibid., p. 13 (trad. it. Società, cit., p. 7).

22      Ibid., pp. 12 e 13; trad. it. pp. 6 e 7.

23      Id., Einleitung zum «Positivismusstreit in der deutschen Soziologie», in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 280-352, qui pp. 295-296 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Introduzione a «Dialettica e Positivismo in sociologia», in Id., Scritti sociologici, cit., pp. 239-313, qui p. 255).

24      Id., Individuum und Staat, in Id., Gesellschaft, Unterricht, Politik, in Id., Gesammelte Schriften 20.1, cit., 1986, pp. 287-292, qui p. 287 (trad. it. di I. Testa, Individuo e stato, in «La società degli individui», III, 9, 2000/3, pp. 119-124, qui p. 119).

25      Id., Negative Dialektik, cit., p. 180; trad. it., Dialettica negativa, cit., p. 161.

26      Ibid, p. 22; trad. it. p. 12. «[…] sotto il rapporto di scambio tutto viene ridotto a mezzo per altro e gli uomini vengono defraudati del valore d’uso. Il principio di scambio conformemente a ciò diventerebbe totalità e causa del degrado del soggetto: totalità, in quanto abbraccia il mondo intero, causa del degrado, in quanto costringe gli uomini in rapporti di scambio e li rende dei mezzi» (J. Weyand, Adornos Kritische Theorie des Subjekts, Klampen, Lüneburg, 2011, p. 65, trad. mia).

27      Id., Negative Dialektik, cit., pp. 302, 301; trad. it., Dialettica negativa, cit., p. 274.

28      Id,, Minima Moralia, cit., p. 184 (trad. it., Minima moralia, cit., p. 190).

29      Id., Metaphysik. Begriff und Probleme, in Id., Nachgelassene Schriften IV, Vorlesungen, vol. 4, a cura di R. Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1998, p. 171 (trad. it di L. Garzone, Metafisica. Concetto e problemi, a cura di S. Petrucciani, Einaudi, Torino, 2006, p. 132).

30      H.-H. Kappner, Adornos Reflexion über den Zerfall des bürgerlichen Individuums, in H. L. Arnold (cura), Th. W. Adorno, Sonderband, Text+Kritik GmbH, München, 1977, pp. 44 -63, qui pp. 45-46 (trad. mia).

31      J. F. Schmucker, Adorno. Logik des Zerfalls, cit., p. 44 (trad. mia).

32      Th. W. Adorno, Gesellschaft (I), cit., p. 10 (trad. it., Società, cit., p. 4).

33      Ibid., p. 9; trad. it. p. 3.

34      Id., Spätkapitalismus oder Industriegesellschaft?, in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 354-370, qui p. 359 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Tardo capitalismo o società industriale?, in Id., Scritti sociologici, cit., pp. 314-330, qui p. 320).

35      Id., Minima Moralia, cit., p. 13 (trad. it., Minima moralia, cit., p. 3).

36      Ibid., p. 169; trad. it. p. 175.

37      Ibid., pp. 263, 262; trad. it. pp. 280, 279.

38      Id., Individuum und Organisation, cit., pp. 444-445 (trad. it., Individuo e organizzazione, cit., p. 129).

39      Id., M. Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, in Id., Gesammelte Schriften 3, cit., 1981, p. 59 (trad. it. di R. Solmi, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, p. 49) e Th. W. Adorno, Negative Dialektik, cit., pp. 99, 236, 364, 399 (trad. it., Dialettica negativa, cit., pp. 85, 212, 333, 364).

40      Id., Individuum und Organisation, cit., pp. 444 (trad. it., Individuo e organizzazione, cit., p. 129).

41      Id, Zur Logik der Sozialwissenschaften, in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 547-565, qui p. 551 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Sulla logica delle scienze sociali, in Th. W. Adorno, K. R. Popper, R. Dahrendorf, J. Habermas, H. Albert, H. Pilot, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino, 1972, pp. 125-143, qui  128).

42      Id., Gesellschaft (I), cit., p. 14 (trad. it., Società, cit., p. 8). «In altri termini, la società non trova altra determinazione per se stessa se non quella del capitale. La coesione sociale è possibile soltanto grazie al mercato, alla reificazione, alla dissoluzione del sé nel ruolo e all’integrazione sistemica» (A. Bellan, La possibilità dell’altrimenti. Adorno e la teoria della società, in P. P. Poggio (cura), L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, vol. 2, JacaBook, Milano, 2011, pp. 471-489, qui p. 484).

43      Id., Einleitung zum «Positivismusstreit in der deutschen Soziologie», cit., p. 292 (trad. it. di, Introduzione a «Dialettica e Positivismo in sociologia», cit., p. 251).

44      Id., Negative Dialektik, cit., p. 259 (trad. it., Dialettica negativa, cit., p. 235).

45      Id., Spätkapitalismus oder Industriegesellschaft?, cit., p. 361 (trad. it., Tardo capitalismo o società industriale?, cit., p. 321).

46      Cfr. W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit. Zweite Fassung, in Id., Gesammelte Schriften VII/1, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, con la coll. di Th.W. Adorno, G. Scholem, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1991, pp. 350-384 (trad. it. di E. Filippini, H. Riediger, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [prima stesura], in Id., Opere complete VI, a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino, 2004, pp. 271-303). A differenza di Adorno, Benjamin – nella prima e seconda versione del saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – parla anche di una «seconda tecnica», portatrice di una nuova consapevolezza. In particolare, è il cinema ad essere espressione di una tecnica che è «gioco combinato» (Zusammenspiel) tra natura e uomo, teso alla liberazione di quest’ultimo (ivi, p. 359; trad. It. pp. 279-280), come se riuscisse a mediare il risveglio, che trasforma lo choc in chance.

47      Th. W. Adorno, M. Horkheimer, Diskussion über Theorie und Praxis, in Nachtrag zu Band 13: Nachgelassene Schriften 1949-1972.2. Gespräche, in M. Horkheimer, Nachträge, Verzeichnisse und Register, in Id., Gesammelte Schriften 19, a cura di G. S. Noerr, in coll. con J. Baars, R. Clodius, F. v. Gelder e G. S. Noerr, Fischer, Frankfurt a. M., 1996, pp. 32-72, qui p. 66 (trad. mia).

48      Ibid, p. 37 (trad. mia).

49      Ibid. (trad. e corsivo miei).

50      Ibid., p. 64 (trad. mia).

51      Ibid, p. 65 (trad. e corsivo miei).

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IDEM, Zur Logik der Sozialwissenschaften, in Id., Soziologische Schriften I, cit., pp. 547-565, qui p. 551 (trad. it. di A. Marietti Solmi, Sulla logica delle scienze sociali, in Th. W. Adorno, K. R. Popper, R. Dahrendorf, J. Habermas, H. Albert, H. Pilot, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino, 1972, pp. 125-143, qui  128).

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