Coordonat de Angelo CHIELLI & Ioana Cristea DRĂGULIN
Volum IV, Nr. 2(12), Serie nouă, Martie – Mai 2016
Idealismo attuale
(Current idealism)
Alessandro GERARDI
Abstract: The object of the essay is the personal and cultural relationship between two Italian philosophers: Benedetto Croce and Giovanni Gentile. It is not entirely correct to say that the dialogue between Benedetto Croce and Giovanni Gentile was interrupted by fascism. In fact the reasons for the crisis between the two philosophers were philosophical before policies.
Keywords: Benedetto Croce, Giovanni Gentile, actual idealism, historicism, fascism.
L’incontro e lo scontro dei due maggiori filosofi italiani della prima metà del ventesimo secolo – Benedetto Croce e Giovanni Gentile – riassume la vita culturale e politica del nostro Paese nel primo quarto del Novecento. C’è ancora chi crede che a dividere insanabilmente Croce e Gentile sia stato il fascismo. Prima, vi sarebbe stato un lungo ineguagliabile sodalizio, durato, senza ombre, circa trent’anni, all’insegna dell’idealismo trionfante; poi la politica, come un demone, si sarebbe inserita fra i due mettendoli uno contro l’altro e distruggendo una delle più fertili collaborazioni culturali che la nostra storia ricordi. Ma le cose non sono andate così, come i filosofi e gli storici sanno bene. La successione dei fatti non è questa. La vicenda è più intricata, più profonda, meno schematica. E’ necessario rievocare tutta la vicenda, documenti alla mano, anche perché essa, oltre i suoi contenuti culturali, è umanamente straordinaria. Questa rievocazione ci fa comprendere che la cultura e la vita si intersecano e si fondono al punto che vien difficile accertare quale sia il condizionamento che ciascuna esercita sull’altra. Non occorre schierarsi né con Croce contro Gentile, né con Gentile contro Croce, perché se il pensiero si è allontanato in questo nuovo millennio dalle loro concezioni filosofiche, le loro personalità continueranno a giganteggiare sull’orizzonte, un po’ spopolato, della nostra storia culturale, ed il loro scontro, pur sempre doloroso ed anche drammatico, ci apparirà, anche se con segno diverso, una lezione di impegno e di coerenza, qualunque siano oggi le scelte e gli orientamenti adottate. In quello scontro di filosofie non vi fu né un vincitore né un vinto, ma entrambi furono, forse, perdenti, sempre che si possano definire tali due filosofi, il cui pensiero è stato condiviso e discusso per cinquant’anni. Questa, quindi, non è una storia giustiziera, secondo un’icastica espressione proprio del Croce, intesa ad irrogare condanne, ma neppure una storia giustificatrice che assolve tutto e tutti. Ma soltanto la ricostruzione, per quanto possibile fedele, di ciò che unì e di ciò che divise i due grandi filosofi, fatta con le loro parole, con le loro lettere, con i loro scritti, con le più serene testimonianze. Una storia italiana che appassionò gli animi, divise gli intellettuali in due opposte schiere, provocò crisi di coscienza, lacerazioni, abbandoni, scelte difficili, separazioni dolorose, giudizi appassionati, risentimenti, rancori, dispute interminabili e spesso accanite. La prima lettera di Croce, allora trentenne, che risponde garbatamente all’invio, da parte di Gentile ventunenne, ancora studente all’Università di Pisa, di uno dei suoi primi articoli, reca la data del 26 giugno 1896.
L’ultima è del 24 ottobre 1924, quando Gentile è ormai passato stabilmente, pervicacemente, al nemico, a quello che d’allora innanzi per Croce, e lo sarà sempre più in seguito, un avversario da combattere a viso aperto. In quest’ultima missiva, Gentile è’ preoccupato che Croce, il compagno di tante battaglie combattute insieme, voglia rompere con lui. Croce risponde che non ha nessuna intenzione di rompere sia perché il suo temperamento si è fatto negli anni sempre più bonario, sia perché ha fiducia che col tempo molte asprezze si appianeranno da sé. Ma in realtà la rottura è già avventa nell’animo di entrambi. Le parole scritte la dissimulano ma non la possono cancellare. Non si scriveranno più. Il resto della storia è un seguito di polemiche, di attacchi reciproci, spesso feroci, di invettive, di condanne durissime che colpiscono errori filosofici e comportamenti morali. Termina quando Croce, apprendendo la notizia dell’assassinio di Gentile avvenuto ad opera di un gruppo di gappisti il 15 aprile 1944 a Firenze, scrive nel diario, alcune parole di freddo cordoglio e racconta che la consorte, ascoltando la notizia scoppia in pianto ricordando il bonario uomo ed amico, accolto a festa quando si recava a Napoli loro ospite. L’interesse sta anche nel fatto che attraverso la cronaca minutamente documentata dei rapporti fra i due personaggi passa gran parte della storia italiana di mezzo secolo. La fase, che va dal primo scambio di lettere alla rottura, corrisponde all’età giolittiana, che precipita nella guerra da Giolitti non voluta, nel biennio rosso e nell’avvento del fascismo. In questa fase prevale fra i due protagonisti il dibattito intellettuale: la critica, se pur da due diversi punti di vista, del marxismo, che per Croce non è una filosofia, per Gentile è una filosofia, sì, ma da respingere perché materialistica; la confutazione, condotta spesso con toni sprezzanti, del positivismo; la comune battaglia per la restaurazione filosofica, all’insegna di un rinnovato spiritualismo, attraverso la feconda collaborazione all’impresa de La Critica. Le divergenze filosofiche vengono da entrambi considerate come un naturale alimento di una amicizia che si arricchisce nel continuo confronto delle opinioni. E’ da respingere l’opinione che la divisione fra Croce e Gentile sia nata dall’opposto atteggiamento assunto rispettivamente dall’uno e dall’altro di fronte al fascismo. E’ da osservare che tutto il loro sodalizio intellettuale è punteggiato da contrasti; a cominciare, come si è detto, dall’interpretazione del marxismo, per sfociare nell’articolo di Croce Intorno all’idealismo attuale, pubblicato sulla La Voce nel novembre 1913 e nel gennaio 1914, che fa scoppiare un contrasto sino allora latente tra i due modi diversi di concepire l’essenza, la funzione e il significato storico della filosofia, sia pure della stessa filosofia idealistica. Se nei primi anni poteva sembrare che il più vecchio fosse andato a scuola di filosofia dal più giovane, Croce, che sin dal 1907 ha pubblicato il suo studio su Hegel, e ha tradotto l’Enciclopedia, e nel 1908 ha pubblicato la terza parte di un sistema filosofico, la Filosofia della pratica, dopo l’Estetica e la Logica, dichiara apertamente la sua insofferenza nei riguardi del “purus philosophus”, e del modo di concepire la filosofia che ne deriva, ovvero come una forma di adorazione mistica dell’unità, di aborrimento delle distinzioni e delle “particolarità”, in definitiva di perdita di senso della ricchezza della realtà, che non può non condurre alla presuntuosa convinzione, propria dei vecchi metafisici, di aver risolto per sempre il problema dell’universo. La grande guerra non scalfì la loro autorevolezza né l’influenza sulla cultura italiana. Anche per le nuove generazioni, che cominciarono a scrivere dopo la grande guerra e a condurre battaglie culturali nuove rispetto al passato, Croce e Gentile continuarono ad essere punti di riferimento obbligati. Si pensi solo per citare due nomi illustri, a Gramsci e Gobetti. Durante il fascismo, se Croce apparve sempre più come l’ispiratore dei primi gruppi di giovani antifascisti, il prestigio di Gentile non venne mai meno anche in molti di coloro, come Calogero e Capitini, che furono tra i fondatori del movimento liberalsocialista. Solo la seconda guerra mondiale mise fine a quella che è stata chiamata, a ragione, una irripetibile egemonia intellettuale. Sia Angelo Romanò in, La cultura del 1900 attraverso le riviste: La Voce[1], che Eugenio Garin nella Introduzione al volume Giovanni Gentile Opere filosofiche[2], che Jader Jacobelli nel libro Croce Gentile. Dal sodalizio al dramma[3], parlano dello scambio di lettere tra Croce e Gentile. Il 1913 è l’anno in cui la divergenza fra Croce e Gentile, manifestatasi soltanto nei loro discorsi privati o nelle loro lettere, irruppe all’esterno e divenne clamorosamente pubblica: pubblica, ma senza determinare quella rottura che avverrà soltanto undici anni dopo. Per raccontare come i due giunsero a quella prima svolta dei loro rapporti muoviamo dal settembre del 1908 quando l’iperhegeliano professor Maturi scriveva, quasi scandalizzato, a Gentile:
«Ma, caro Giovanni, cosa pensi tu di tutta questa filosofia del nostro amico? Ma è filosofia? E’ processo filosofico codesto? Tu sai che io gli voglio un gran bene, soprattutto per la sua sincerità e poi vuol tanto bene a te! Ma riflettiamoci un po’: è bene lasciar correre così?».[4]
E concludeva:
«Vorrei vedere il nostro amico spoglio delle sue velleità riformistiche; vorrei vederlo fatto realmente consapevole di questa verità, che la filosofia di Hegel è filosofia ultima; vera ed assoluta palingenesi, e che perciò non c’è da aspettare o da fantasticare nuovi cieli e terre nuove»[5].
Gentile gli risponde sei giorni dopo. Potrebbe, in fondo, dargli una risposta di maniera, tipo: sì, Croce non è hegeliano, ma è un grande studioso. La risposta di Gentile è ampia, obiettiva, generosa:
«Delle cose del Croce che vuoi che ti dica? Tu sai il mio pensiero, e puoi indovinare quello che approvo e quello che disapprovo negli scritti del nostro amico. Non bisogna tuttavia dimenticare che egli ha avuto la sfortuna di muovere verso l’hegelismo da vie molto lontane e da pregiudizi profondamente radicati nell’animo di quasi tutti nel tempo della sua educazione intellettuale. Tutto quello che è riuscito a fare, l’ha fatto per virtù d’ingegno e di carattere, malgrado tutta la sua cultura antecedente, e quasi malgrado se stesso. Di questo bisogna riconoscergli il merito, tanto più in quanto i pregiudizii, che egli ha dovuto a poco a poco vincere in se stesso, non erano in lui una semplice patina superficiale, ma una seria e coscienziosa struttura di studii e di dottrina. Quel tanto dell’hegelismo che è stato conquistato dal Croce, in questo momento, è, secondo me, una forza di gran valore e di straordinaria efficacia perché il Croce è uno scrittore che si fa leggere ed amare da molti, e attrae molti ingegni verso le questioni filosofiche, in un periodo in cui non si tratta già, purtroppo, di riconoscere quella verità che è sul nostro orizzonte, ma di conquistarla poco a poco, grado per grado, faticosamente. Paragona Croce a tutti gli altri che scrivono oggi di filosofia in Italia e fuori d’Italia: c’è di mezzo un abisso, assoluta palingenesi, e che perciò non c’è da aspettare o da fantasticare nuovi cieli e terre nuove. Questa è la ragione per cui non saprei essere severo nel giudicarlo. Vedo i suoi errori e cerco sempre di farli vedere anche a lui, e in altre condizioni di cultura generale sarei un suo avversario anzi che un suo collaboratore. Ma, se volessi ora dire pubblicamente il mio giudizio su questa filosofia del nostro amico, con quel rigore che uso nel giudicare gli altri, commetterei, io credo, una bestialità, in danno della stessa causa che sta a cuore a te e a me. Tante volte ho preso la penna per una discussione pubblica amichevole e l’ho deposta con la coscienza che avrei reso appunto un cattivo servigio alla verità».[6]
Questa è una lettera che non va dimenticata per intendere come il dissenso fra i due filosofi convivesse, per ragioni di opportunità culturale, non di opportunismo, con il loro sodalizio, fino a quando, rotti gli argini di tale opportunità, proprio per ragioni di coerenza culturale, si manifestò clamorosamente. Sempre più frequenti, infatti, erano gli scritti dell’uno all’altro che provocavano una reazione, e sempre più evidente era il loro sforzo, spesso senza successo, di contenere le divergenze, di rinviarne l’approfondimento, di subordinarle alla loro amicizia e al loro sodalizio intellettuale. Il 1912 fu un susseguirsi di critiche e di polemiche. Gentile era ormai consapevole del rigore teoretico a cui il suo sistema filosofico era giunto, e Croce stesso aveva compreso che Gentile aveva ormai intrapreso un percorso ben preciso e che l’idealismo dell’amico non si conciliava più con il proprio, anzi era ad esso alternativo. Fu nell’inverno del 1911 che Gentile con un ciclo di conferenze fatte alla Biblioteca filosofica di Palermo su L’atto del pensare come atto puro, che saranno pubblicate qualche mese dopo, mise a punto la sua concezione contestando tutte quelle distinzioni del pensiero che Croce continuava invece ad affermare. Nacque così l’attualismo, l’idealismo di Gentile, contrapposto allo storicismo, l’idealismo di Croce. E fu nell’inverno del 1912 che Croce scrisse per l’Accademia Pontaniana di Napoli quella memoria dal titolo Storia, cronaca e false storie che, se da una parte sembrava “attualizzare” la storia, cioè avvicinarsi alla concezione dell’amico, dall’altra, separandola dalla cronaca, riproponeva una di quelle distinzioni che Gentile rifiutava. Radicalizzate così le posizioni, per evitare o ritardare la rottura non c’era che da ricorrere a una sorta di diplomazia, anche perché «in questa memoria – scrive Gentile – ho visto con gioia che torniamo sempre ad avvicinarci».
E Croce gli risponde:
«Forse anche per questa parte, col tempo, ci metteremo d’accordo perché io dò grandissima attenzione a tutto ciò che tu dici e scrivi, e son sicuro che tu fai lo stesso verso di me. Ripercorrendo talvolta le nostre relazioni ormai di sedici anni, mi pare che ci siamo nutriti l’uno del sangue dell’altro. E non ne siamo morti! E sarà poi giovevole un pieno accordo tra noi? Il cuore me lo fa desiderare; i nervi talvolta mi rendono impaziente del disaccordo; ma la mente vichianamente ed hegelianamente educata mi dice che è forse provvidenziale che restino o risorgano sempre tra noi disaccordi, che sono stimoli reciproci. Non ti pare?». [7]
Ma, con la diplomazia, il rapporto di due filosofi può fare poca strada. Bastò infatti che Gentile pubblicasse il suo Sommario di pedagogia come scienza filosofica perché Croce, lamentando innanzitutto di non aver avuto il manoscritto, osservasse:
«vedo che hai fatto un libro robusto, originale ed ispirato, che è la più ricca e personale delle tue opere. Anche questa volta mi pare che il problema della distinzione non sia né risoluto né liquidato. Ma lasciamo a migliore tempo questo vecchio dissenso che forse si comporrà, o forse non si comporrà mai perché non è tanto un dissenso, quanto una diversità d’interessi per cui io metto l’accento sopra una parola e tu sopra un’altra».[8]
E qualche giorno dopo, sempre a proposito di quel libro:
«Avresti dovuto astenerti dal tono aspro, polemico, infastidito, e prendere un tono più conciliante e persuasivo. In molte pagine mi è parso che tu discutessi con me».[9]
L’intuizione di Croce era esatta, anche se Gentile risponde:
«La tua lettera di ieri mi ha messo in una grande inquietudine. Io polemizzo nel Sommario con te? E in tono aspro, senza garbo? Ma io posso assicurarti di non aver mai pensato in codesto cattivo senso a te ai tuoi libri, né anche nel capitolo sulla volontà in cui sapevo bensì di dissentire da te. Basta, ne discorreremo a voce. Ma tu non vorrai farmi il torto di attribuirmi una polemica personale contro di te dove non facevo il tuo nome».[10]
E’ curioso che questa lettera termini con un «Riamami sempre» in cui l’enfasi affettiva tende proprio a celare la gravità della polemica. Si giunge così, tra divergenze filosofiche sempre più acute e momenti di abbandono affettivo, alla fine del 1913 quando Croce, divenuto insofferente delle critiche che gli muovevano gli allievi di Gentile, decide di rendere pubblica la sua protesta. Pregò infatti Prezzolini, che dirigeva la rivista La Voce, di pubblicargli un articolo, «per distrarmi – minimizzava – ho buttato sulla carta alcune osservazioni sulle dottrine del Gentile e dei suoi scolari». Ma gli suggerì al tempo di inviare le bozze a Gentile, prima di pubblicare.
Soltanto qualche mese prima Croce aveva però scritto all’amico Vossler:
«Di filosofia mi occuperò soltanto quando me ne verrà l’ispirazione perché non mi piace di fare il filosofo professionale. D’altro canto – continuava – avrai notato che il Gentile ha dato un certo indirizzo al suo pensiero che si differenzia dal mio perché tende a risolvere tutto nell’autocoscienza; e questo indirizzo ha ora parecchi aderenti. Io aspetto che si maturi o che perda del suo slancio momentaneo, per discuterlo; e se si sciogliesse da sé, senza mia opposizione e discussione, tanto meglio. Non mi è gradito oppormi, benché l’opposizione si aggirerebbe sulle alte vette della metafisica, a un amico e collaboratore che è per me tamquam frater. Il vero è che io credo dannoso quell’indirizzo perché fiacca tutte le opposizioni e distinzioni della vita, indebolisce le energie del giudizio, della fantasia, della volontà, e riesce a una forma di misticismo. Il mio sforzo era stato invece di far valere, nel senso dell’unità, tutte le distinzioni ed opposizioni e fondare un sistema di giudizi sulla vita: sistema vivente e trasformabile con la vita stessa, ma costante nel suo mutarsi. Ma questa esigenza, che io sento profondamente, di una filosofia che sia giudizio, non è sentita del pari da altri temperamenti, che cercano sempre nella filosofia la pace dell’anima e si acquietano nella immobile contemplazione del sempre Uno».[11]
Passarono soltanto pochi mesi e Croce, come abbiamo visto, ruppe gli indugi e prese l’iniziativa di quello che oggi possiamo definire uno show-down filosofico. Il fatto è che, da tempo, avvertiva che Gentile polarizzava l’interesse dei giovani, come rivela un’altra lettera al Vossler di ben tre anni prima:
«In Italia ci sono già parecchi giovanotti che vorrebbero ficcarmi a forza in una bellissima e decorosissima tomba. Ma, per quanto bellissima e decorosissima, è una tomba, e io non gradisco questa sorta di omaggio».[12]
Conoscendo questo suo stato d’animo, sempre più acuito, il Vossler, con intenzione consolatoria, gli scriveva nel 1913:
«La tua nazione e il tuo tempo vivono in te e tutto il secolo ti fa compagnia. Certo il secolo è anche un cattivo compagno, perché, come ti ha riempito dei suoi problemi, così ti può vuotare».[13]
Del resto che tra Gentile e i suoi allievi si fosse creato quasi uno spirito di setta, se ne trova conferma in una lettera del 1914 di Guido De Ruggiero, lo storico della filosofia:
«Se un giorno noi riusciremo a collocarci dovremo far tremare tutte le università d’Italia».[14]
La pubblicazione dell’articolo di Croce avvenne il 13 novembre. E’ intitolato Intorno all’idealismo attuale[15]. L’ampia citazione che ne faremo giustificata dal fatto che esso segna la svolta storica del rapporto tra Croce e Gentile e sancisce l’esistenza di due idealismi, l’un contro l’altro armati, anche se dovranno trascorrere altri undici anni perché il dissidio dei nostri due filosofi, ormai pubblico, si trasformi in clamorosa rottura politica aprendo una vicenda che si concluderà in un dramma. Croce aveva allora quarantasette anni, Gentile trentotto.
«Miei cari amici della Biblioteca filosofica di Palermo, e tu che sei primo fra tutti così nel valore come nell’amicizia – questo è l’inizio quasi solenne dell’articolo – il vostro idealismo attuale non mi persuade. E debbo dirvelo in pubblico, perché proverei vergogna a continuare a dirlo solo tra me e me, o in conversazioni private, come faccio da qualche tempo in qua. Perché non mi persuade? O, meglio, in che cosa non mi persuade? E’chiaro che per gran parte mi persuade assai bene, giacché mi ritrovo me stesso, ossia il risultato del mio decennio o poco più di viva attività filosofica»[16].
E Croce ricorda la sua critica al sistema hegeliano, la sua ostilità alla metafisica, per giungere presto al punto di dissenso, ovvero l’idealismo attuale:
« Ma allorché voi soggiungete “idealismo attuale”, nasce il dissenso; e nasce dal modo in cui voi intendete l’attualità. Anch’io ho per fermo che le forme dello spirito prendono significato l’una dall’altra, e che la volontà non esiste e non è concepibile senza il pensiero, né questo senza quella, né il pensiero senza la fantasia, né la fantasia senza il pensiero, e via discorrendo: donde il concetto che svolgo dello spirito come circolarità e ricorso. Ma il significato che voi attribuite all’attualismo non è questo: non è rivolto contro la distinzione resa astratta, ma contro ogni distinzione, perché per voi astratta è la distinzione stessa. Pensare è unificare distinguendo o distinguere unificando, il che voi considerate come un trascendere l’attualità. Perdonate: ma codesta è la schietta posizione mistica, e si esprime, o piuttosto non si esprime nell’Ineffabile. Il vostro atto puro, che voi chiamate Pensiero, si potrebbe del pari chiamarlo Vita, Sentimento, Volontà, o in qualunque altro modo, perché ogni denominazione, importando una distinzione, è qui non solo inadeguata, ma indifferente. Che voi non vogliate essere mistici, lo so bene: il vostro duce è un vigoroso ragionatore e un forte storico. E da ciò, e soprattutto dalla personalità del vostro duce, il misticismo dell’attualità riceve un singolarissimo carattere: si atteggia a misticismo idealistico e storico. Ma tutto sta a vedere se questo atteggiamento è consentaneo al principio della dottrina»[17].
E qui Croce passa ad analizzare la dottrina di Gentile: la natura concepita come pensiero astratto, cioè come pensato, non come atto, ma come fatto, non come presente, ma come passato; l’errore identificato anch’esso con il fatto, con il passato. La conseguenza della filosofia attualistica gentiliana sarebbe, per Croce, «l’immersione in un immobile presente, privo di opposizioni, se ogni opposizione si fonda, come certamente si fonda, su una distinzione»[18].
Quindi l’accusa rivolta al filosofo siciliano di misticismo, ben lontano anche dall’idealismo se, come Croce scrive, il riferimento filosofico di Gentile non è né Kant né Hegel bensì Spaventa[19]. Al contrario Croce si sente attratto non dall’unità ma dalla particolarità:
«Quanto a me, confesso che ciò che sempre mi ha interessato è il momento della particolarità, laddove l’unità mi è parsa quasi come un sottointeso, un qualcosa che va da sé, che non offre altre difficoltà se non quelle che provengono dalla particolarità mal compresa e mal connessa nelle sue forme»[20].
Non solo, a parere di Croce, l’idealismo attualistico di Gentile si pone come una filosofia che vuole «liquidare la filosofia»[21], tacitare, per sempre tutte le dispute filosofiche, il che per Croce è una colpa ancor più grave di quella già mossa a Gentile di misticismo[22]. La propria dottrina, invece non vede nella realtà un grande e definitivo enigma da sciogliere ma un infinito processo di problemi che devono essere risolti ed in cui ogni soluzione è, contemporaneamente, posizione di nuove questioni e problemi.
Croce procede senza sosta nel corpo a corpo con il suo interlocutore:
«Ciò che soprattutto m’impensierisce nel vostro idealismo attuale è la depressione che esso produce nella coscienza dei contrasti della realtà, l’acquiescenza al fatto come fatto o all’atto come atto, implicita nella teoria che proponete dell’errore e del male, da voi attenuati sino alla completa vanificazione, e privati di ogni realtà. Io temo che voi, miei cari amici, torniate all’indifferentismo teoretico ed etico. Non vi tornerete già come uomini, perché, quanto è vivo il vostro senso storico, altrettanto è elevato il vostro sentimento etico e il vostro amore per la verità. Ma vi tornerete come teorici e questa teoria avrà o sta già avendo, tutti quegli effetti che sono proprii delle teorie. Tutt’altra è la disposizione del mio animo in questo problema. Io mi sento ben più di voi pigro e peccatore; e perciò il pensiero non so altrimenti concepire se non come critica, e la morale se non come redenzione. Critica e redenzione che sono lotta non già contro il passato, contro l’ieri, ma contro ciò che è in me, e dev’essere in me, e che pur dev’essere vinto da me, e che minaccia di soverchiarmi, e spesso mi soverchia, e che pure io confido sempre di vincere o rivincere. Se il male, se l’errore fossero una semplice illusione, se non avessero le loro radici o ragioni positive nel differenziarsi dialettico delle forme spirituali, la lotta contro di essi sarebbe ridicola, per mancanza d’avversario. A me, insomma – è la conclusione dell’articolo di Croce che è senza dubbio uno dei suoi scritti più intensi e letterariamente belli – la vita pare non come una commedia degli equivoci, di gente che si crede malvagia ed è buona, di lacrime versate per isbaglio e che si possono asciugare presto con un sorriso e una carezza come si usa verso i ragazzi che si disperano credendosi grandemente colpevole e non sono; ma come una tragedia nella quale, attraverso l’onta e il dolore, si crea faticosamente il bene e il vero, e, attraverso la distruzione della felicità individuale, si crea una serenità dolorosa, che sarà anche felicità, ma che quasi si sdegna di essere chiamata con questo nome che le suona troppo idillico»[23].
La pubblicazione dell’articolo di Croce mise a rumore il piccolo mondo filosofico italiano. I non idealisti s’illusero che la rottura tra Croce e Gentile segnasse l’inizio della liquidazione dell’idealismo, mentre essa lo rafforzò creando al suo interno una bipolarità che lo attivizzò. La maggior parte dei giovani intellettuali finirono con lo schierarsi o con Croce o con Gentile, richiamati proprio dalle loro polemiche. Ma Gentile come reagì? Merita leggere le lettere affannose che i due filosofi si scambiarono con il proposito di sminuire il dissenso, ma con l’effetto di acuirlo perché ognuno voleva avere l’ultima parola.
Gentile scrive dunque a Croce, preannunciandogli di aver inviato un suo scritto al Prezzolini in risposta all’articolo crociano, non nascondendo un profondo disagio per questa pubblica discussione con l’amico. Il senso di pena provato dal Gentile lo fa anche dubitare del suo ruolo nella rivista La Critica, sino a mettere in forse il prosieguo della propria collaborazione[24].
La risposta di Croce è, come sempre, tesa a recuperare, dopo il duro scontro teorico, il rapporto umano con il Gentile, ribadendo esplicitamente come il loro dissenso fosse oramai noto da lungo tempo ad entrambi i contendenti, ma quel contrasto è limitato e circoscritto a quell’unico aspetto, mentre non vi sono ragioni per dubitare su una sostanziale unità d’intenti sul piano di politica culturale e per questa ragione rassicura l’amico sulla sua partecipazione a La Critica. Pur tuttavia in un contesto tutto teso a riallacciare i fili di un legame solido ma sottoposto a continue tensioni, Croce non rinuncia ad un stoccata polemica proprio in conclusione della missiva:
«A proposito ho visto nel programma dei tuoi Studi che quella collezione si propone di svolgere i principii dell’idealismo attuale. Male. Nella Critica non ci siamo proposti di svolgere nessun sistema: ci siamo svolti noi, che è valso meglio».
Ma ormai non la diatriba procede su binari necessari che oltrepassano anche la comune volontà di perseguire nel loro sodalizio. Gentile risponde con solerzia alla lettera del Croce e sebbene i toni siano distesi lo scontro non accenna ad attenuarsi, anzi Gentile rimprovera a Croce di avergli lanciato una scomunica e di aver percepito distintamente un fastidio nei suoi confronti. Gentile, quindi, per sembra attendere da parte di Croce un gesto riparatore che gli confermi quella stima che sino a quel momento a consentito e sostenuto la propria partecipazione nella redazione de La Critica[25].
Più le lettere si succedono, più i toni si fanno aspri nella sostanza, a riprova che quella che si era scoperchiata era una pentola che bolliva da un pezzo.
Ora è la volta di Croce che ribadisce – non celando un accenno di rabbia – senza indietreggiare, le proprie posizioni e, sottilmente, insinua che Gentile sia influenzato da voci malevole che tentano di allontanare i due amici. Croce ventila anche, ma imputandolo alla volontà di Gentile, una rottura nella collaborazione a La Critica. Vale la pena riportare per intero il passaggio crociano:
«Sono stupito e dolente che si parli del tono più o meno conveniente del mio articolo. Quando non solo io ho la coscienza di essermi astenuto da ogni punta e ho detto solo quanto mi sembrava la verità, ma ho desiderato che tu leggessi l’articolo prima, e tu ti mostrasti soddisfatto del tono. Certo, c’è gente malevola che sarà ben lieta di vederci in contrasto e che ora ti soffia nell’orecchio. Io invece chiudo il mio a tutte le insinuazioni malevole che sono senz’alcun effetto sopra di me, fondato come sono sul saldo ricordo di una provata amicizia quasi quadrilustre. E mi meraviglio anche che non si sia inteso per quale ragione io abbia portato la discussione fuori della Critica. Appunto perché alla Critica tu hai lavorato e lavori con me, e io ho desiderato che testimoniasse il nostro accordo e non il nostro dissenso. Ben mi dovrei dolere che tu, invece di stare alle tue personali impressioni, ti lasci ingombrare l’animo dalle chiacchiere altrui: e quasi quasi darei ragione al pazzesco nostro Sarno che ti consigliava di fuggire l’avarum litus siculo! Io non ho nessuna colpa se non mi è piaciuto mai l’indirizzo spaventiano, e se ripugno all’idealismo attuale. Non ho nessuna colpa se, in un dato momento, mi son trovato innanzi una piccola falange, che parla dicendo: Noi, e una scuola filosofica con relativo battesimo, e con dichiarata opposizione. Ho taciuto quanto più mi è stato possibile e ho parlato solo per dignità verso me stesso, per non cadere nella maldicenza alle spalle che è contraria al mio temperamento. Per la Critica ti ho già detto come vedo la cosa. Credi tu che l’attualità e la distinzione siano cose più importanti dell’esempio morale dell’amicizia? Se credi questo, intendo bene che tu non possa più collaborare alla Critica e preferisca altra compagnia. Io, invece, credo orribile spezzare una collaborazione che è durata per tutti i migliori anni della nostra vita. Io limiterei il dissenso a un punto determinato, lo chiarirei lungi dalla nostra rivista, e cercherei di continuare la collaborazione accantonando il dissenso. Ma i filosofi novellini cercheranno d’impedirti di fare ciò, perché essi vogliono la nuova formula, la scuola, la falange. Mi auguro che non prevalgano nel tuo animo: ecco tutto».
Il tono sopra le righe della lettera provoca risentimento in Gentile il quale, peraltro sembra sinceramente addolorato della prospettiva d’interrompere il lavoro a La Critica:
«Mi limito perciò ad assicurarti che io non ho punto l’intenzione d’interrompere quando che sia la mia collaborazione alla Critica.[…] mi sento in diritto di esser considerato da te a parte di tutti, come il tuo collaboratore, il tuo amico, il tuo Gentile. L’entourage che tu immagini non esiste. Io qui sono solo»[26].
Prezzolini, intanto, invia a Croce, come d’intesa con Gentile, le bozze della replica di questi. Ma che cosa sostenne Gentile nella replica all’articolo di Croce, replica che comparve sulla Voce l’11 dicembre e che, a differenza dello scritto di Croce, è di lettura meno scorrevole ed anche meno polemica, forse a seguito delle raccomandazioni che gli avevano fatto proprio alcuni suoi allievi, come Guido De Ruggiero e l’amico Fausto Nicolini?[27]
La risposta gentiliana è conciliante nei toni durissima nella sostanza. Dopo un esordio affettuosamente ironico, Gentile premette che l’idealismo attuale non è cosa recente perché il suo pensiero, fin dalla sua tesi di laurea, ha sempre affermato l’idealismo attuale come negazione di ogni distinzione[28]. Illustrate tutte le difficoltà e le contraddizioni in cui cade a suo parere la filosofia di Croce con le “distinzioni”, Gentile afferma che esse sono risolte dal suo attualismo. Infatti pur essendoci svariate denominazioni della realtà, quel reale è sempre pensiero. Dopo aver ricordato gli sviluppi della riflessione di entrambi, Gentile afferma:
«Io mi sono sempre più convinto che bisognava cambiare radicalmente il punto di partenza, ossia insistere fortemente sul principio di tutto l’idealismo moderno, del pensiero che non presuppone nulla perché assoluto, e crea tutto. Non ci sono io e il mio pensiero; ma io sono il mio pensiero: che non è un essere, e tanto meno qualcosa, ma un processo, il processo. Fuor di questo processo non solo non ci sono Io, quell’Io che tu fai soggetto ora del vedere e ora dell’agire, ma non c’è niente perché tutto quello che si può pensare è posizione di questo processo, cioè, in concreto, lo stesso processo»[29].
Su questi concetti Gentile insiste per varie pagine ripetendo, quasi fino all’ossessione, che il pensiero è tutto, che nulla vi è fuori del pensiero, che nel pensiero ogni distinzione non può che essere astratta. Ma l’affondo è nelle pagine successive, laddove Gentile ricorda a Croce che nel concetto di volontà di quest’ultimo e nella distinzione tra teoretica e pratica tale che «la realtà sia un prodotto del volere, ma un presupposto del conoscere»[30], egli rivede quello di natura. Inoltre, l’accusa di misticismo che Croce gli aveva rivolto viene rinviata al mittente, ed infine la sua filosofia è definita da Gentile come «una specie di metafisica dualistica e dommatica»[31].
Croce legge le bozze e rassicura l’amico-concorrente:
«Non ci ho trovato nulla che mi dispiaceva. E anzi sono contento, e mi congratulo con me stesso, di avere rotto il ghiaccio e dato occasione a lumeggiare un dissenso che deve pur essere discusso. […] A me sembra ora che non ci sia necessità di nessuna mia replica. Più in là, ripiglierò la questione in forma che a me sembra più concludente: cioè esaminando alcuni particolari concetti del tuo idealismo attuale, e mostrandone la difficoltà o la inadeguatezza. Perché è superfluo dirti che non c’è sillaba della tua risposta che io non prevedessi, e alla quale non abbia pronta la mia replica. Prima di scrivere avevo ben meditato sul tuo pensiero».[32]
E due giorni dopo Croce ritorna a scrivere all’amico :
«Mio caro Giovanni, ho riletto la tua risposta, dopo la prima scorsa un po’ frettolosa, e mi è piaciuta assai di più; né so immaginare perché tu temessi che potesse dispiacermi. Io non vorrei che qualche parola vivace scritta nelle mie lettere, dico, che qualche parola ti avesse turbato. Credi pure che l’affetto e la stima mia per te sono ora, come sono stati sempre, fortissimi. E mi pare che abbiamo dato un bell’esempio di lealtà scientifica, portando alla pubblica discussione il nostro dissenso; e ne daremo uno più bello di amicizia restando indivisibili. Non ti scriverò più di questo argomento perché per me come per te la questione deve considerarsi ormai chiusa».[33]
Gentile risponde che l’ultima lettera « è stata per l’animo mio una vera consolazione, e te ne ringrazio». Per comprendere appieno queste lettere della fine del 1913, in cui le punte polemiche si alternano alle espressioni affettuose, non bisogna dimenticare che, per Croce, Gentile era insostituibile nella Critica, e che, per Gentile, Croce era il “padrino” della sua carriera universitaria.
Croce, venendo meno al suo proposito di non replicare a quanto Gentile aveva scritto su La Voce , risponde, sempre sulla stessa rivista nel primo numero del 1914, con molta misura e più serenamente, tanto da concludere:
«Mi auguro che tu ed io, consenzienti in tante cose e unanimi in tutte, col continuare a ripensare i punti di dissenso che abbiamo ora discussi, ci ritroveremo, come ci è accaduto altre volte, dopo aver percorso per qualche tempo strade separate sebbene prossime, ci ritroveremo, dico, con nostra grande soddisfazione, sulla stessa strada»[34].
Il 1913, l’anno più travagliato dei rapporti tra Croce e Gentile, si concluse mestamente per entrambi: il primo cadde in una crisi depressiva, e il secondo agitato dalle vicende per la cattedra romana che non ottenne. Su quell’anno, e alle avvisaglie che avevano preceduto lo scontro col Gentile, Croce tornò più tardi, nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915, che apparve nel 1928, così rievocandoli, col distacco dello storico, ma non senza memoria polemica:
«Il direttore della Critica vide a un tratto sorgere accanto a sé una forma d’idealismo irrazionalistico per parte di un suo collaboratore, che aveva dato valida mano al promovimento degli studi filosofici, e ben battagliato contro i modernisti, e assai giovato alle ricerche di storia della filosofia e al rinnovamento delle dottrine pedagogiche, e che, diversamente da lui, proveniva dallo hegelismo ortodosso, e per questo, e per certo suo abito di professore, pareva cinto di grosso usbergo contro le lusinghe della Circe di moda. Sicché, quando il fatto accadde e comparve quel nuovo irrazionalismo, un misto di vecchia speculazione teologica e di decadentismo, tra lo stil dei moderni e il sermon prisco, sotto il nome di “idealismo attuale”, egli ne provò non piccolo stupore, ma pure non mise tempo in mezzo a censurarlo nel suo principio e nelle sue conseguenze e ad ammonire che si entrava in una cattiva via. Comunque, ora, dopo tante vicende, svanite tante mode, svelatosi sempre più apertamente il cosiddetto idealismo attuale come un complesso di equivoche generalità e un non limpido consigliere pratico, quel che ancora rimane in piedi, perché ancora fa lavorare coloro che pur lavorano in filosofia e storia e critica, aiutandoli a chiari e distinti concetti, è sempre la “metodologia”, che allora egli fondò e che nel corso degli anni è venuto particolareggiando e provando storicamente, con la speranza che altri continui questo lavorio critico, indispensabile per la sana vita degli studi»[35].
Qui, va ricordata una lettera del 1914 dell’amico tedesco Vossler a Croce che, apprezzando anche Gentile, vorrebbe che Croce riconoscesse al filosofo siciliano almeno la buona fede:
«Per quanto io conosca il Gentile mi pare che l’identità del pensiero con la vita, tanto pratica quanto teorica, sia per lui qualche cosa di certo, quindi indiscutibile. Di questa fede tutta la sua vita è informata. Se no, come avrebbe egli, così esatto e prudente nella scienza, potuto tirare avanti così disavveduto e eroicamente imprudente nelle faccende pratiche? In questo sta la sua grandezza umana e, sia pure, il debole logico della sua filosofia».[36]
BIBLIOGRAFIA
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Del NOCE, A., Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, il Mulino, Bologna, 1990.
FAUCCI, D., La filosofia politica di Croce e di Gentile, La Nuova Italia, Venezia, 1974.
GARIN, E., Giovanni Gentile opere filosofiche, Garzanti, Milano, 1991.
GENTILE, G., Guerra e fede, Firenze, 1919.
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JACOBELLI, J., Croce Gentile. Dal sodalizio al dramma, Rizzoli, Milano, 1989.
PAPA, R. E., Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, Milano, 1958.
ROMANÒ, A., La cultura italiana del’900 attraverso le riviste, Volume 49, La Voce, 1913-1914.
[1] A. Romanò (a cura di), La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste. La Voce (1908-1914), vol. III, Einaudi, Torino 1960.
[2] G. Gentile, Opere filosofiche, antologia a cura di E. Garin, Garzanti, Milano 1991.
[3] J. Jacobelli, Croce Gentile dal sodalizio al dramma, Milano, Rizzoli 1989
[4] Carteggio Gentile-Maturi (1899-1917), Le Lettere, Firenze 1987, p. 413.
[5] Ibidem, pp. 4417-4418.
[6] G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, vol. IV, Sansoni, Firenze 1980, p. 130.
[7] B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile (1896-1924), (a cura di A. Croce), Mondadori, Milano 1981, pp. 512.
[8] Ibidem, p.519.
[9] Ibidem.
[10] G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, op. cit., p141.
[11] Carteggio Croce-Vossler, 1899-1949, Laterza, Bari 1983, p. 157.
[12] Ibidem, p.104.
[13] Ibidem, p. 166.
[14] B. Croce, Intorno all’idealismo attuale, in La Voce, 1913, V, 46, pp. 1195-7, ripubblicato in A. Romanò, op. cit, pp. 595-605.
[15] Ibidem, pp. 595-605.
[16] Ibidem, pp. 595-596.
[17] Ibidem, p. 597.
[18] «Il vostro precedente reale sono i tormentosi travagli dello Spaventa circa l’interpretazione dell’hegelismo: dello Spaventa, austero intelletto, gran disciplinatore della filosofia in Italia, ma che, venuto fuori dal seminario e dalla teologia, fu esclusivamente divorato dall’ansia religiosa dell’unità e rimase chiuso a ogni altro interesse», Ibidem, p. 598.
[19] Ibidem, p. 598.
[20] Ibidem.
[21] «E trovo un altro inconveniente nel vostro idealismo attuale: ed è che esso mi sembra una filosofia la quale si propone di liquidare la filosofia, e far tacere una volta per sempre tutte le dispute filosofiche, che, fondate come sono tutte su distinzioni, sarebbero tutte prive di fondamento, essendo tutte le distinzioni, per voi, astratte e arbitrarie. Con l’idealismo attuale l’umanità riceverebbe, insomma, una rivelazione, attesa per secoli invano. Sebbene voi protestiate a ragione contro l’idea di una filosofia definitiva, la vostra sarebbe per l’appunto una filosofia definitiva, giacché oltre di essa non resterebbe altro che le distinzioni astratte che si fanno nell’oggetto del pensiero, l’empirismo, il concepire ordinario degli uomini, la non filosofia», Ibidem, pp. 598-599.
[22] Ibidem, pp.604-605.
[23] «E perciò in questi giorni mi sono più di una volta domandato se sarà possibile continuare La Critica come l’abbiamo fatta finora, o se io non debba trasformarmi in uno dei collaboratori avventizi e straordinari come gli altri. Ti prego di riflettere sulla mia nuova situazione pacatamente e liberissimamente, e di parlarmi poi con quella franchezza che si deve alla nostra fraterna amicizia. Io potrò parlare liberamente di filosofia nella tua Critica, quando per qualche mia osservazione o espressione potrò sospettare di sorprenderti sulle labbra un sorriso?», G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, op. cit., p.179.
[24] B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, op. cit., 583.
[25] Le esatte parole di Gentile: «Ora tu intendi che io per scrivere nella tua rivista debbo sentirmi sorretto dalla tua stima, come mi sono sentito sempre fino a questi ultimi giorni. Perciò fo appello un’altra volta alla tua fraterna amicizia per pregarti che tu rifletta veramente sulla mia situazione essendo io sempre disposto ad attenermi al tuo avviso quando tu t’induca a considerare il nostro caso con quella pacatezza che merita il nostro reciproco affetto», op. cit., p. 186.
[26] B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, op. cit., pp. 597-598.
[27] G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, op. cit., p.193. E Croce, di rimando:«Io non ti ho risposto punto ab irato; come posso avere ira verso di te? Ti ho risposto forse turbato perché la tua lettera, inaspettatissima, mi ha turbato.[…] Non è colpa mia se ci sia un contrasto tra noi nel modo di considerare il metodo filosofico: questo contrasto non poteva non venire in luce,[…] Io sono persuaso che, restando concordi e collaboratori, faremo il vantaggio degli studii italiani, e faremo una migliore filosofia, di quella, ottima che sia, che possa nascere nella tua o nella mia mente», B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, op. cit., p.609.
[28] Gentile prosegue affermando che questo è stato l’oggetto costante del contendere «delle nostre discussioni – dolci nella memoria – le quali ebbero per effetto il solito effetto di tante discussioni filosofiche: che cioè mettessero sempre più salde e profonde radici negli animi nostri le opposte esigenze a cui obbedivano da una parte la tua distinzione, e dall’altra la mia avversione ad essa, e si facesse quindi più reciso, su questo punto, il nostro dissenso. E tu, se ti sei, nel seguito delle tue riflessioni su questa materia, sforzato di salvare e garantire l’unità dello spirito, in realtà hai irrigidito sempre di più l’opposizione. Ho visto così risorgere nel tuo pensiero quella natura che, a parte le costruzioni del naturalismo, è stata in ogni tempo lo scoglio su cui s’è spezzata ogni concezione spiritualistica. E questa natura, che è la vita, l’essere, la realtà, m’è parso inghiottisse il tuo spiritualismo. Tu persisti nel tuo antico modo di vedere lo spirito altalenante dalla realtà alla contemplazione di questa», G. Gentile, Intorno all’idealismo attuale. Ricordi e confessioni, in La Voce, 1913, V, 50, pp. 1213-16, ripubblicato in A. Romanò, op. cit., pp. 608-25, la citazione è a p. 616.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem, p. 612.
[31] Ibidem, p. 613.
[32] B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, op. cit., p.621.
[33] Ibidem, p.622.
[34] G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, op. cit., p.203.
[35] A. Romanò, op. cit., pp. 641 ss.
[36] B. Croce, La storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza Bari 1928, p. 83.
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