Coordinated by Laura MITAROTONDO & Teodora PRELIPCEAN
Volume V, Issue 2 (16), New Series 2017
L’utopia della pacificazione internazionale nel Nouveau Cynée (1623) di Émeric Crucé
(The utopia of international pacification in Émeric Crucé’s Nouveau Cynée (1623)
Francesca RUSSO
Abstract: At the beginning of Seventeenth century French culture lived a very fruitful moment. New political trends appeared. The idea of Europe in relationship with the idea of peace was deeply discussed. There was also a huge debate about the project of organizing a new crusade against the Turkish Empire, following the hints taken from the new edition of De recuperatione terrae sanctae written by Pierre Dubois. The Muslims were instead considered as good neighbors by Eméric Crucé, who was in favor of religious freedom. He published in 1623 Le Nouveau Cynée, ou Discours répresentant les occasions et le moyens d’estabilir une paix génerale et la liberté du commerce par tout le monde. The main purpose of his work is to find a way to set up an enduring peace in the world. It contains for the first time the idea of avoiding war, by creating an international court of arbitration, settled in Venice and composed by representatives of all States, even the Turkish Empire. This assembly is considered by the author as a concrete mean to work out a solution for political crises. He believed that peace was near to come and that it was the only condition to let every State develop its own economic and social potentialities. Crucé wrote his essay during the Thirty years war and his project of peace is a real interesting one. It is a masterpiece of the history of European political utopia.
Keywords: Idea of Europe, Utopia of international peace, Peace Projects, Arbitration Court, Religious Toleration.
Il pacifismo cruceano nella cultura politica francese del primo Seicento
Agli inizi del Diciassettesimo secolo nella cultura politica francese era vivo e rilevante il dibattito in merito al tema della guerra e dei metodi su come evitarla.[1] La fine dei conflitti religiosi aveva posto le basi per la ricostruzione morale, sociale, politica e strutturale del paese.[2] Il regno di Enrico IV, terminato nel 1610 con l’omicidio da parte di Ravaillac, aveva contribuito fortemente a stabilizzare lo Stato. Esso aveva conosciuto una fase di riorganizzazione interna e di bilanciamento istituzionale. Con la promulgazione dell’editto di Nantes, avvenuta in seguito alla sua ascesa al trono e alla sua necessaria conversione al cattolicesimo, Enrico aveva mantenuto fede all’impegno di riportare la pace religiosa nella società francese, lungamente devastata dalle guerre civili, riconoscendo libertà di culto ai suoi ex correligionari di fede calvinista. Alla sua morte lasciava un paese ancora attraversato da tensioni religiose, ma più saldo e più forte di come lo aveva trovato e più unito.[3] Ciononostante, il tema della difformità religiosa e il dibattito intorno alla tolleranza erano questioni ancora vive e ampi erano i margini per condurre la battaglia in nome della libertà religiosa e di pensiero nel contesto culturale d’oltralpe.
Dal punto di vista della politica internazionale, la Francia si era mossa sotto il regno di Enrico IV, da protagonista, tessendo alleanze con le potenze protestanti, al fine di limitare la potenza degli Asburgo. Aveva evitato, però, di creare occasioni per determinare o prendere parte a conflitti. L’attenzione del sovrano, per scelta strategica, piuttosto che per vocazione pacifista, era stata quella di impegnarsi nel rafforzare le strutture amministrative, economiche e l’ordinamento politico del suo paese.[4] Alcuni storici contemporanei ritenevano che Enrico IV fosse in procinto di preparare una guerra nei confronti degli Asburgo, come si evince anche dalle testimonianze del suo principale collaboratore e grande consigliere Maximillien de Béthune, duca di Sully, tratte dalle differenti redazioni del Grand Dessein.[5] Alla morte del sovrano, la Reggente Maria de’ Medici decise con il Consiglio di reggenza, del quale faceva parte anche Sully, che fu messo in minoranza, di inaugurare un nuovo corso della politica estera francese, più incline a cercare un accordo con la Spagna, che preludeva a nuovi cambiamenti di rotta.[6] Sully si isolò di conseguenza dalla vita politica, preferendo il ritiro nelle sue proprietà e negli studi, durante il quale intraprese la scrittura della monumentale opera le Œconomies royales, al fine di rivendicare di fronte ai detrattori l’importanza dell’azione politica di Enrico IV, mettendo in luce il suo ruolo di ministro del Re.[7] Dopo il conflitto che oppose Maria de’ Medici a suo figlio Luigi e l’ascesa al trono del nuovo sovrano Luigi XIII, definitivamente emancipatosi dalla madre, la politica estera francese subì ulteriori assestamenti.[8] Astro fondamentale del sistema divenne, come è noto, il cardinale di Richelieu, il quale, da consigliere della reggente Maria de’ Medici, assunse il ruolo di principale artefice delle scelte diplomatiche del nuovo sovrano.[9] Allo scoppio della guerra dei Trent’anni, la corte francese optò, come è noto, per la neutralità del paese, posizione che mantenne fino al 1635, allorquando la Francia decise di intervenire a contrasto dello schieramento ispanico-imperiale.
Negli anni successivi al deflagrare del conflitto europeo, si sviluppò nei circoli intellettuali del paese un ampio dibattito in merito al tema della pace, ma si ravvivò anche un’articolata discussione in merito al concetto di guerra giusta e una rielaborazione in chiave più attuale del concetto di crociata contro gli infedeli, funzionale ad identificare un nemico esterno per riunire gli Stati europei. Vi sono differenti impostazioni della questione. Nonostante ciò, nella Francia che era stata lungamente colpita dalle guerre civili religionis causa vi erano forti attese di conciliazione religiosa e politica. Esse sono espresse con pregnanza dalla pubblicistica, la quale elaborò progetti di pacificazione internazionale, sia in risposta ad una problematica ideologica, sia come reazione ad una necessità storico-politica di definire un equilibrio solido e perdurante fra le potenze europee. La formulazione di teorie pacifiste emerse in quest’ambito anche per altre ragioni. Si riscontrava una veemente critica del concetto di Monarchia universale, sostenuto dai teorici e commentatori politici spagnoli, allo scopo – ma anche con finalità di mera contingenza politica, per volgere a loro favore gli equilibri europei – di unire i popoli cristiani per fronteggiare sotto l’egida asburgica il pericolo turco, forte nel XVII secolo, a causa dell’avanzata degli Ottomani ai confini orientali dell’Impero.[10]
Nella pubblicistica francese agli esordi del Seicento si delinearono tre tendenze principali. La prima era rappresentata dall’intento espresso nel 1608 da Villeroy, allora responsabile della politica estera di Enrico IV, di rendere duratura la pace fra la Francia, l’Inghilterra e la Spagna, tramite la tradizionale politica delle alleanze matrimoniali. Ad essa doveva seguire la ratifica da parte delle suddette potenze europee dello status quo territoriale e un impegno a mantenere rapporti pacifici e solidali. Una differente visione delle strategie di pacificazione europea era altresì insita nei tentativi esperiti fino al 1622 da “père Joseph”, eminenza grigia e consigliere di Richelieu, di coalizzare le potenze europee in funzione anti-ottomana, costituendo un’ampia coalizione volta a contrastare i turchi.[11] Una medesima finalità emergeva con maggiore forza, e corredata dalla ripresa di antichi miti religiosi ed ideali cavallereschi, sia nel progetto di “crociata” sostenuto da Jacques Bongars, traduttore e curatore del De recuperatione terrae sanctae di Pierre Dubois, sia nel pamphlet pubblicato in forma anonima a Parigi nel 1625 dal titolo Le Caton du siècle, ou conseil salutaire d’un ancien ministre d’État pour la conservation d’une paix universelle.[12]
Vi era poi nel dibattito interno alla pubblicistica francese un’altra tendenza più realistica, impersonata da Fancan, legata all’antico ma sempre vivo progetto di ridimensionamento del potere degli Asburgo.[13]
Egli riteneva, difatti, che la pace universale rappresentasse un obiettivo chimerico, un’affascinante utopia politica. Auspicava piuttosto un accordo, per altro già molto difficile da raggiungere, fra Stati cattolici e protestanti volto a creare un’alleanza anti-asburgica.
Nella pubblicistica francese d’inizio Seicento, era decisamente più sentita la problematica della difesa dall’eccessivo potere della casa di Asburgo, rispetto a quello della crociata contro gli infedeli. Una tale sensibilità ideologica appare del tutto evidente in riferimento alla storia cinquecentesca francese, segnata da una lunga ostilità con la corona asburgica e caratterizzata per altro anche da una breve ma significativa alleanza fra Francesco I e Solimano I.
La tematica anti-asburgica si evince anche nel pamphlet pubblicato nel 1615 anonimo Le remontrance de Henry le Grand au Roy touchant le voyage d’Espagne.[14] In linea, poi, con questa terza tendenza – che vede la realizzazione della pacificazione universale come corollario di un definitivo abbattimento degli Asburgo – si collocò in un secondo momento l’azione politica di “père Joseph”, una volta sancito il tramonto definitivo del suo progetto di crociata contro gli “infedeli”, secondo quanto emerge con lo scritto Le catholique d’Estat pubblicato nel 1625.[15] Nonostante le differenti ispirazioni politiche e gli aspetti progettuali, è possibile riscontrare un’attitudine da parte della pubblicistica francese ad esaminare il fenomeno della guerra in stretta connessione con la realtà politica contemporanea, in polemica con i contemporanei equilibri europei.[16] Fautore massimo della polemica anti-asburgica fu, come già ricordato, Maximillien de Béthune, duca di Sully, scrittore e polemista politico di grande rilievo e già esperto uomo di Stato nella Francia della prima metà del Seicento. Durante il suo esilio dorato trascorso nel castello sulla Marna, Sully compose, come già ricordato, le Œconomies royales, in diverse fasi, indotto principalmente dalla volontà di reagire agli attacchi rivolti all’operato del defunto Enrico dalla storiografia a lui contemporanea, e in particolar modo dalle veementi critiche sollevate Scipion Dupleix nell’Histoire de France, oltre che dal forte intento di rilanciare un preciso progetto politico ascrivibile in parte ad Enrico, in parte a Sully stesso, come rilevato da Puharré, editore ed interprete del Grand Dessein.
Charles Pfister, grande studioso delle Œconomies, ha rilevato per primo nella critica l’abissale differenza fra le varie redazioni manoscritte del testo e quella definitiva pubblicata, con l’artifizio letterario di significativi pseudonimi, dall’autore nel suo castello nel 1638.
Inizialmente si trova, infatti, un piano, che nella finzione letteraria l’anziano ministro attribuisce ad Enrico IV, proposto nel 1603 dal duca di Sully a Giacomo I Stuart, pur non adducendo sostanziali prove della veridicità della sua attribuzione. Lo scopo del piano è di associare Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, Repubblica di Venezia, i Principi e le città protestanti dell’Impero, «pour attaquer puissement le roy d’Espagne». Non traspare, come giustamente rileva Pfister, alcun accenno alla costituzione di una Società delle nazioni fondata su di un tribunale arbitrale. Un tale progetto sarebbe apparso nel Grand Dessein, contenuto nelle edizioni a stampa delle Œconomies royales del 1638 e Pfister assume che le prime tracce del nuovo progetto comparvero già nelle redazioni manoscritte del 1624.
Tale finalità, indicata da Sully, fu espressa, infatti, per la prima volta nel Nouveau Cynée, ou Discours des occasions et des moyens d’éstabilir une paix générale et la liberté du commerce par tout le monde. Aux monarches et princes souverains de ce temps, pubblicato a Parigi nel 1623 da un monaco umanista vicino al circolo di Père Joseph, Émeric Crucé. Sully nel suo Grand Dessein si ispirò al progetto cruceano, modificandone aspetti e limitandone la prospettiva, ma tenendo in vita il nucleo teorico dell’istituzione di un sistema di arbitrato internazionale permanente.
L’opera di Crucé, nella quale echeggiano temi cari alla cultura libertina, ebbe nell’immediato una buona circolazione, ma fu oggetto di una tortuosa traditio per cadere quasi nell’oblio, pur essendo fonte di ispirazione non adeguatamente menzionata per successivi testi della tradizione delle utopie pacifiste. Il Nouveau Cynée sarebbe stato quasi irreperibile, se nel 1909 sir David Willing Balch, giureconsulto americano, fautore dell’arbitrato internazionale, membro della fondazione Canergie e soprattutto amico personale del presidente americano Woodrow Wilson, non ne avesse curato un’edizione critica con una traduzione inglese, utilizzando una copia conservata presso la biblioteca della facoltà di legge dell’Università di Harvard.[17] La pubblicazione a Philadelphia di quest’opera ne determinò una scoperta per il pubblico americano; ma per l’Europa non si trattava di una scoperta, ma piuttosto di un rilancio dell’autore e del suo testo.
A fine Ottocento, infatti, il giudice belga Ernest Nys si era già occupato di Crucé e del suo progetto di pace in due articoli pubblicati sulla Revue de droit international et de législation comparée, segnalando il rinvenimento di una copia del Nouveau Cynée nella Bibliothèque Nationale de France.[18] Vi erano stati in Europa interventi nel periodo volti a ripristinare la conoscenza di questo dimenticato autore e della sua interessante e singolare opera, ascrivibile certamente alla tradizione delle utopie pacifiste, ma studiata paradossalmente quasi esclusivamente da giuristi, appassionati delle tematiche dell’arbitrato internazionale ed in maniera secondaria e residuale dagli storici della cultura e delle idee politiche.[19]
Un tale paradosso spesso è ancora presente. In Francia, dopo un’edizione anastatica dell’originale dell’opera procurata nel 1976, solo nel 2004 è stata data alle stampe un’edizione critica del testo. Essa nasce dalla collaborazione fra letterati, francesisti e giuristi, diretta da Alain Fenet, un professore di diritto internazionale presso l’Università di Nantes.
In Italia, invece, il testo cruceano è stato oggetto specifico dell’attenzione degli storici del pensiero grazie all’accurata edizione critica realizzata da Anna Maria Lazzarino Del Grosso e pubblicata per i tipi di Guida nel 1979 nella collana dedicata agli “Utopisti”, diretta da Luigi Firpo.
Émeric Crucé, un pensatore eclettico e un docente appassionato
Le notizie circa la vicenda biografica di Crucé non sono moltissime. Nelle sue opere, l’autore racconta poco di sé. Da esse si ricavano scarse informazioni circa la sua vita e la sua cerchia di contatti. Le ricerche sull’autore non sono state moltissime.[20] Si è posta, come ricordato, molta attenzione circa il contenuto innovativo del Nouveau Cynée dagli studiosi dell’arbitrato internazionale, delle utopie pacifiste e della storia del cosmopolitismo. Molti di essi erano giuristi, come ricordato, piuttosto che storici, oppure figure eminenti dei movimenti pacifisti della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Una convincente ricostruzione della vita di Crucé tramite le fonti e le testimonianze letterarie è stata fornita da Anna Maria Lazzarino nella sua Introduzione a Il Nuovo Cinea. Ho avuto modo di proseguire le ricerche nel mio volume Alle origini della Società delle nazioni. Per lungo tempo anche sul nome dell’autore si è verificata una certa incertezza. Quelle abbreviazioni «Em. Cr. P.» riportate sul frontespizio dell’editio princeps del Nouveau Cynée sono state sciolte a fine dell’Ottocento dal giudice belga Ernest Nys, che ha identificato come corretta identità dell’autore Émeric Crucé, e non Émeric de La Croix.[21] Ciononostante spesso l’autore è ancora citato in maniera non del tutto corretta. Si ritiene con una buona probabilità che egli sia nato fuori dai confini francesi nel 1590, come è stato indicato in primo luogo da Charles Weiss nella voce dedicata all’autore e redatta per la Biographie Universelle curata da Michaud.[22] Fu invece Vestnich, l’ambasciatore serbo che si trovava a Parigi ai primi del Novecento, appassionato studioso delle utopie pacifiste, a situare nel 1648 la data di morte dell’autore, grazie a delle annotazioni manoscritte secentesche presenti sulla copertina dell’edizione di un’opera cruceana.[23] Si trattava delle Notae circa l’opera di Stazio. Si legge dall’autore dell’appunto che Crucé fu sepolto a Parigi, «apud Cardinalitios» il 6 dicembre del 1648. L’autore fu infatti sepolto nella cappella del Collegio Cardinal Lemoine dove insegnò per molti anni della sua vita, avendo fra i più celebri allievi Gabriel Naudé, figura di spicco della cultura politica francese ed europea del tempo.[24]
Si è discusso lungamente anche dell’origine geografica di Crucé. [25]
Si è indotti a ritenere che questi fosse originario di Parigi, grazie ad un’indicazione emersa dalle opere del Crucé e proprio dalla Bibliographia Politica di Gabriel Naudé, pubblicata nel 1633.[26] In un passo del Nouveau Cynée, poi, questi si definisce cattolico e francese.[27]
L’esemplare del Nouveau Cynée datato 1623, e conservato alla Bibliothèque Mazarine, è, inoltre, così siglato dallo stesso autore: Em. Cr. Par. [28]
Indicazione scarna, ma del resto sempre più esplicita rispetto a quel «E.C.P.» apposto in calce alla prima opera del Crucé, l’Adonia, seu mnemosium Henrici Magni, volta a celebrare le virtù del defunto Enrico IV e ad augurare i migliori successi al nuovo re.[29]
In effetti, il Crucé indicò la paternità di tutti i suoi scritti “politici” e “cortigiani”, probabilmente in funzione di un’aspirazione al miglioramento del proprio status sociale.[30] Egli era fortemente animato dall’intento di migliorare la sua posizione sociale. Troviamo nei suoi scritti il riferimento autobiografico ad una «fortuna maligna» che lo avrebbe relegato ad una condizione molto inferiore a quella che le sua condizione sociale e culturale avrebbero dovuto garantirgli. Egli manifestava un forte malessere per la sua marginalità rispetto alla vita sociale e di corte, pur appartenendo per cultura e per ceto ad un ambiente elevato. Si pone quindi l’interrogativo sulle sue origini e su quale sia stata la vicenda negativa che abbia segnato la parabola esistenziale del nostro autore.[31]
Si è da più parti ipotizzato che egli fosse figlio di Oudin Crucé, procuratore dello Châtelet, famigerato esponente della “Lega”, componente estrema della fazione cattolica. Oudin Crucé era capitano del quartiere di Saint Jacques e durante le guerre di religione era stato uno dei “Sedici”.[32] Le sue terrificanti gesta durante la notte di San Bartolomeo, il suo spietato furore anti-calvinista sono ricordati dal De Thou nella Histoire universelle.[33] Alla fine delle guerre di religione, con l’ascesa del regno di Enrico IV, la famiglia di Crucé avrebbe probabilmente scelto la via dell’esilio nelle Fiandre sotto la protezione spagnola.
L’autore, nato probabilmente in esilio in terra fiamminga, avrebbe spesso rivendicato la sua appartenenza alla «nazione francese», per sottolineare con orgoglio la sua identità culturale “ritrovata”.[34]
In questa sede non si intende ricostruire nel dettaglio la figura di Crucé come studioso e autore politico. Mi sono occupata altrove della questione ed intendo dedicare al tema un prossimo volume monografico, collocando la sua opera e il suo pensiero nel solco della tradizione pacifista, ma anche della vivace cultura libertina e neo stoica presente nell’ambiente francese di primo Seicento.
Occorre ricordare che Crucé non fu un coerente pacifista. Scrisse in altri momenti della sua vita opere nelle quali si celebravano imprese belliche di Luigi XIII. Forte era in lui il desiderio di riprendere quel ruolo nel milieu intellettuale che gli era stato negato dalle avverse condizioni nelle quali si era trovato a nascere a causa della difficile eredità paterna e del tardivo inserimento nella vita parigina. La sua marginalità fu per lui una condizione di frustrazione, ma anche di stimolo per osservare in maniera autonoma e personale i mutamenti culturali e politici della società francese e dell’ideologia di corte, in particolare del circolo legato al cardinale di Richelieu nel quale egli ambiva ad avere accesso. Anche alla luce delle differenti posizioni del cardinale Richelieu sul tema della pace e della necessità per la Francia di tenersi lontana dalla guerra dei Trent’anni, si può spiegare l’incostanza di Crucé sulla difesa della pace come tema assoluto. Nel Nouveau Cynée egli teorizzò recisamente la condanna della guerra e ipotizzò un sistema per superare il ricorso allo stato di permanente belligeranza dell’Europa.[35] In altri scritti successivi ad esso, quali ad esempio l’Iselasticon e la Soteria Casalea, Crucé celebrò i successi militari di Luigi XIII nel Monferrato e a La Rochelle. Si tratta però, con tutta evidenza, non di opere teoriche, ma di poemi di circostanza, volti a compiacere il sovrano e la sua corte. Non sono tali a mio avviso da negare i convincimenti filosofici pacifisti dell’autore. Si è fatto riferimento al ruolo di Crucé come docente presso il collegio Cardinal Lemoine.[36]
È importante a tal fine ricordare la testimonianza di Gabriel Naudé, che fu fra i suoi allievi e che, non a caso, inserisce l’autore del Nouveau Cynée anche nella sua Bibliografia politica, tramandandone così la memoria, che sarebbe altrimenti andata persa.[37] Naudè menziona il suo maestro anche in un’altra opera, nel Mascurat. Egli cita Crucé fra i suoi docenti negli anni della frequentazione del Collège Cardinal Lemoine, definendolo significativamente «le bon homme Crucé». [38] In quest’opera, scritta sotto forma di dialogo fra l’autore che usa lo pseudonimo di Sainct-Ange e Mascurat, «le bon homme Crucé» è ripetutamente citato.[39]
L’autore del Nouveau Cynée viene ricordato dal suo ex-allievo per i suoi commenti di Orazio, per le sue manie riguardo l’ortografia latina, per le interpretazioni filologiche, per i proverbi enunciati e per i distici scherzosi che amava comporre.[40]
Naudé restituisce del suo professore l’immagine dello studioso appassionato di filologia latina e animato da grande passione per la docenza e caratterizzato da un’apertura culturale che lo faceva emergere e destava la curiosità degli allievi culturalmente più attenti. Non è un caso che le sue idee siano sfociate in un progetto politico utopico e allo stesso tempo innovativo.
Crucé e l’utopia della pacificazione internazionale: contenuto e finalità del Nouveau Cynée ou Discours representant les occasions et les moyens d’étabilir une paix générale et la liberté du commerce par tout le monde
Émeric Crucé aveva sperimentato diverse forme della scrittura poetica e della letteratura politica. Si era cimentato in tempi diversi, prima e dopo la scrittura del Nouveau Cynée, in redazione di opere encomiastiche di tono cortigiano. Aveva lavorato lungamente, non senza polemiche intrattenute con eruditi del suo tempo, inseriti nei salotti culturali francesi, sull’opera poetica di Stazio. Le sue competenze come latinista erano note ed erano state rammentate dallo stesso Naudé. Non aveva tramite queste opere ottenuto particolare visibilità a corte, né potuto esprimere quelle idee favorevoli alla tolleranza religiosa e alla pacificazione del genere umano, inteso come società percorsa da legami simpatetici che lo animavano. Affidò queste sue speranze, sia di posizionamento sociale, sia anche di riferimento ideale, ad una sua opera del tutto particolare e per certi versi “eterodossa”: il Nouveau Cynée, scritto in francese e pubblicato a Parigi per i tipi di Jacques Villery nel 1623. In questo modo Charles Sorel descriveva nella sua Bibliothèque française l’opera di Crucé:
Il y a un livre appelé le Nouveau Cynée, qui donne des advis pour ètabilir une paix générale et la liberté du commerce par tout le monde. On se figure quelque chose à y souhaiter pour trouver du succes, mais le dessein est toujours beau et hardi.[41]
La prospettiva cruceana si dimostra – difatti – del tutto singolare, sia sul tema della guerra e della pace ma anche per ciò che concerne il rapporto fra l’“Europa” e i popoli extra-europei, così come per le istanze di riforma economico-sociali.[42] L’opera va esaminata, quindi, per il suo significato peculiare e innovativo rispetto alla cultura politica del XVII secolo. Crucé, in effetti, trasferisce nella sua opera quelle attese di pace condivise largamente nella Francia dei suoi tempi.[43] L’utopia pacifista contenuta nel Nouveau Cynée risente delle tensioni ancora latenti delle guerre di religione che avevano lacerato la società francese;[44] è influenzata inoltre dall’aggravarsi dello scenario internazionale causato dalla guerra in atto nei territori imperiali e dalla rinnovata tensione franco-spagnola.[45]
Il piano di pacificazione internazionale e di consolidamento degli equilibri interni allo Stato presenta dei caratteri innovativi perché prevede l’utilizzo permanente e regolato dello strumento arbitrale, tramite l’istituzione di una corte permanente dove debbano essere rappresentati tutti gli Stati, europei ed extra-europei. Tale corte doveva trovare sede a Venezia. Questo progetto, non trovò concreta applicazione nella realtà effettuale di quegli anni, ma fu ripreso da Grozio e sviluppato dagli autori posteriori al Crucé i quali rifletterono sulla necessità di prevenire le guerre e consolidare l’equilibrio internazionale.[46]
La teoria dell’arbitrato permanente e necessario, inoltre, avrebbe costituito il retroterra culturale del sistema di garanzie internazionali, delineato nelle clausole conclusive dei trattati di Westphalia. Tali accordi tracciarono una nuova “costituzione politica dell’Europa” fondata sul mantenimento di un equilibrio internazionale di cui proprio la Francia si sarebbe fatta garante; equilibrio che ovviamente implicava come condizione necessaria la salvaguardia della pace.[47]
Il Nouveau Cynée è, quindi, una tappa fondamentale dell’indagine sui progetti di pace elaborati dalla cultura politica francese del Seicento. Rappresenta un vero punto di svolta. Per la prima volta viene delineato un sistema giuridico e politico per scongiurare la guerra senza limitarsi al solo diniego di essa. Crucé coniuga nel suo progetto l’aspirazione a tracciare un piano politico per garantire un assetto stabile e pacifico al continente europeo insieme all’utopia politica della pacificazione permanente del genere umano. Esso è descritto dal nostro autore secondo una nozione stoica ed anti-dogmatica, come un universo caratterizzato dalla fratellanza universale. La pace deve fondarsi sulla comune natura degli uomini, che ripudiano la violenza in nome delle distinzioni religiose ed il concetto di supremazia politica.
Egli diffida i sovrani a prestare fiducia a chi li incita ad espandere i loro confini e li esorta invece a cercare di mantenere e consolidare la pace per creare le condizioni di benessere degli uomini, nel convincimento che la pace sia spesso considerata come «un tema banale», al fine di non perseguirne con convinzione il mantenimento.
Egli afferma che «la società umana è un corpo i cui membri sono tutti congiunti da vincoli simpatetici, così che è impossibile che le malattie dell’uno non si comunichino agli altri».[48] Data questa condizione, è meglio per tutti, oltre che giusto, che la pace si imponga e che eventuali dissidi vengano risolti all’interno della corte di arbitrato permanente, l’Assemblea degli Stati, alla quale devono aderire anche le potenze extra-europee compreso l’imperatore dei turchi. L’autore si pronuncia a favore del riconoscimento della piena tolleranza religiosa e libertà di coscienza. Tutti gli uomini, difatti, sono soggetti all’errore, nella sua ricostruzione. Nessuno quindi può arrogarsi il diritto di decidere cosa sia giusto per gli altri.[49]
Crucé lega al tema della pace l’affermazione della libertà di commercio, in forte contro-tendenza rispetto alla dottrina economica del tempo, inneggiante alle pratiche mercantilistiche. Anche i sistemi economici, alla stregua di quelli politici, devono assumere e sviluppare una natura simbiotica.
Sono molti gli elementi di interesse e gli spunti di riflessione che questo testo ci offre. Mi limito in questa sede a ricordare come esso, dopo una iniziale “fortuna”, abbia avuto vicende contrastanti. Ha ispirato però, con la sua ardita progettualità e forte tensione utopica, riflessioni successive sull’ideazione utopica della pacificazione europea, tracciando una linea carsica, emersa per vie impreviste nel susseguirsi dei conflitti europei, ispirando nuove soluzioni e dando voce ai nuovi aneliti di pace. La storia della fortuna dell’utopia pacifista, nel caso del testo cruceano, è a mio avviso profondamente legata non solo alle circostanze della sua diffusione, ma anche ai richiami della realtà contemporanea, ed appare di estremo interesse vedere come questo testo sia stato interpretato differentemente nel corso dei secoli e delle diverse fasi della storia politica.
Note
[1] A. Saitta, Dalla Res Publica Christiana agli Stati Uniti d’Europa. Sviluppo dell’idea pacifista in Francia nei secoli XVII-XIX, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1948.
[2] C. Vivanti, Le guerre di religione nel Cinquecento, Laterza, Roma-Bari, 2007.
[3] J. Garrison, Enrico IV e la nascita della Francia moderna, Mursia editore, Milano, 1987.
[4] Ibidem.
[5] F. Russo, Alle origini della Società delle Nazioni. La pacificazione internazionale fra idea d’Europa e cosmopolitismo, Studium, Roma, 2016, pp. 163-98.
[6] Ibid., pp. 153-54.
[7] Ibid., pp. 154-55.
[8] S. Mastellone, La reggenza di Maria de’ Medici, G. D’Anna, Messina, 1962.
[9] J.V. Blanchard, Eminence: Cardinal Richelieu and the rise of France, Walker and Company, London, 2013.
[10] A. Saitta, Dalla Res Publica Christiana agli Stati Uniti d’Europa. Sviluppo dell’idea pacifista in Francia nei secoli XVII-XIX, cit.
[11] Ibid., pp. 10-11.
[12] Ibid., p. 25.
[13] Ibid., pp. 26-28.
[14] Ibid., p. 28.
[15] Ibidem.
[16] F. Russo, „Armando Saitta e i progetti di pacificazione europea”, in G. Barbaccia (a cura di), Studi di teoria politica, Carlo Saladino Editore, Palermo, 2012, pp. 41-58.
[17] E. Crucé, The New Cyneas of Émeric Crucé, edited with an introduction and translated into English from the original French text of 1623, by Thomas Willing Balch, Allen Lane and Scott, Philadelphia, 1909.
[18] Ernest Nys, Chevalier de l’ordre de Leopold, fu professore di diritto internazionale all’Università di Bruxelles, membro dell’Institut de Droit International, presidente di corte di prima istanza al tribunale di Bruxelles. Fu autore di numerosi testi di storia del diritto internazionale, con particolare attenzione alla Francia del Seicento. E. Nys, Le droit de la guerre et les précurseurs de Grotius, C. Muquart-Merzbach-Falck, Leipzig-Bruxelles, 1882; Id., Les origines du droit international, A. Castaigne, Thorin et fils, Bruxelles-Paris, 1894; Id., Etudes de droit international, A. Castaigne-A. Fontemoing, Bruxelles, 1896; Id., Les théories politiques et le droit international en France jusq’au XVIII siècle, Fontemoing, Paris, 1899.
Nel 1890, studiando i precursori della teoria dell’arbitrato internazionale, il Nys pose la sua attenzione sul Crucé, partendo da una famosa lettera che Leibnitz inviò all’abbate di Saint Pierre a proposito del suo progetto di pace: «Etant fort jeune, j’ai eu connoissance d’un livre intitulé: Nouveau Cyneas, dont l’auteur inconnu conselloit aux souveraines de gouverner leurs Etats en paix et de faire juger leurs differends par un tribunal étabili; Mais je ne saurois plus trouver ce livre et je me ne souvien plus d’aucunes particularités». Vedi, Aa.Vv., Recueil de diverses pièces sur la philosophie, la réligion naturelle, l’histoire, les mathématiques, par MM. Leibnitz, Clarke, Newton et autres auteurs célèbres, Duillard et Changuion, Amsterdam, 1720, vol. II, pp. 179 e sgg. Il Nys identificò l’autore «qu’il n’est pas absolument inconnu» del libro in questione in Émeric Crucé, risolvendo anche l’enigma del nome. Vedi E. Nys, „Histoire littéraire du droit international. A propos de la paix perpétuelle de l’abbé de Saint Pierre. Eméric Crucé et Ernst, Landgrave de Hesse – Rheinfels”, in Revue de droit international et de législation comparée, XII, 1890, pp. 377-78.
[19] P. Van Den Dungen, A ride history of a peace “classic”: Eméric Crucé’s Le Nouveau Cynée, Housmans, London, 1980.
[20] F. Russo, Alle origini della Società delle Nazioni, cit., p. 9.
[21] Ibid., pp. 17-18.
[22] Ibid., p. 9.
[23] Ibid., p. 11.
[24] A.L. Schino, Battaglie libertine. La vita e le opere di Gabriel Naudé, Le Lettere, Firenze, 2014.
[25] M.R. Vesnitch, „Deux précurseurs français du pacifisme et de l’arbitrage International”, in Revue d’histoire diplomatique, XV, 1911, p. 68. Egli afferma che il Crucé potesse essere nativo di Blois. Cfr. anche A.M. Lazzarino Del Grosso, Introduzione a E. Crucé, Il Nuovo Cinea per una pace universale, a cura di A.M. Lazzarino Del Grosso, Guida, Napoli, 1979, pp. 14-17. La Lazzarino, tramite una ricerca negli Archives Générales di Royaume del Belgio, ha rilevato «una notevole diffusione nei territori corrispondenti al Belgio attuale e per l’epoca che ci interessa, dei cognomi La Croix, de La Croix, e degli equivalenti fiamminghi Crousse, Van der Cruyce, Van der Cruycen, (o Cruyssen), Van der Cruce (o Cruuce), Van den Cruycen: alcuni di essi se appartenenti a scrittori od eruditi erano solitamente tradotti in latino con Crucius o Crusius». La Lazzarino ipotizza che il Crucé potrebbe essere nato fuori dalla Francia, forse a causa di un’emigrazione di una famiglia Crucé o La Croix verso i Paesi Bassi, o per motivi religiosi, o per interessi professionali.
[26] G. Naudé, Bibliographia Politica, ad nobilissimum virum Jacobum Gaffarellum, apud F. Baba, Venetiis, 1633, coll. 56-57. In tal senso si sono espressi tutti i commentatori del Crucé ad eccezione del Vesnitch e della Lazzarino Del Grosso, che hanno congetturato rispettivamente che il Crucé fosse nativo di Blois o che fosse di origine belga. Vedi M.R. Vesnitch, Deux précurseurs français du pacifisme et de l’arbitrage International, cit., p. 67; A.M. Lazzarino Del Grosso, Introduzione a E. Crucé, Il Nuovo Cinea per una pace universale, cit., pp. 14-16.
[27] Crucé si autodefinisce nel Nouveau Cynée «catholique et françois»; vedi E. Crucé, Le Nouveau Cynée, ou Discours des occasions et de moyens d’éstabilir une paix générale et la liberté du commerce par tot le monde. Aux monarques et princes souverains de ce temps, Em. Cr. P. chez J. Villery, au Palai sur le Perron Royal, avec privilege du Roy, Paris, 1623, p. 62.
[28] Id., Le Nouveau Cynée, ou Discours des occasions et de moyens d’éstabilir une paix générale et la liberté du commerce par tot le monde. Aux monarques et princes souverains de ce temps, cit. Vi sono alcune varianti del frontespizio. La ristampa anastatica del Nouveau Cynée pubblicata a Parigi nel 1976, dalle Editions d’histoire sociale (EDHIS), reca sul frontespizio la versione «Em. Cr. P.».
[29] Vedi E. Crucé, Adonia, seu Mnemosynon Henrici Magni, apud J. Libert, Parisiis, 1613.
[30] E. Crucé, Iselasticon seu Triumphus Rupellanus Ludovici Iusti, J. Libert, Parisiis, 1629; Id., Soteria Casalea, sive Expeditio italica Ludovici Iusti, J. Libert, Parisiis, 1629; Id., Iusta Ludovici Iusti Franciae et Navarrae Regis Christianissimi, M. Soly, Parisiis, 1643.
[31] F. Russo, Alle origini della Società delle Nazioni, cit., pp. 13-14.
[32] I Sedici erano un comitato di salute pubblica, che operava nella Parigi della Lega cattolica, al fine di perseguire gli eretici e coloro i quali collaboravano con i politiques e con tutte le fazioni più moderate. Erano fautori dell’intervento di Filippo II nelle vicende francesi. I Sedici sono, inoltre, ricordati soprattutto per gli atroci delitti commessi in nome della fede cattolica. Vedi P. Miquel, Le guerre di religione in Francia, Sansoni, Firenze, 1981; M. Pernot, Les guerres de réligion (1559-1598), Sedes, Paris, 1987; G. Livet, Les guerres de réligion (1559-1598), Presse universitaire de France, Paris, 1977; B. Diefendorf, Beaneath the cross: Catholics and Hugenots in sixteenth century Paris, New York-Oxford, 1991; R. Descimon, Qui était les Sèize?, in Paris et Isle de France, t. 34, 1983, pp. 7-300; J.M. Constant, La Ligue, Fayard, Paris, 1996.
[33] A. De Thou, Histoire universelle, traduite sur l’édition latine de Londres, s.n., Londres, 1734, pp. 410-11. Sul Crucé si legge: «Je me souvien d’avoir vu bien des fois, mais toujours avec horreur, ce Crucé, homme d’une phisionomie patibulaire, qui se vantoit insolemment, en montrant son bras nud, que ce bras avoit égorgé ce-jours là plus de quatre cens homme».
[34] F. Russo, Alle origini della Società delle Nazioni, cit., pp. 16-17.
[35] Ibid., p. 33.
[36] Ibid., pp. 25-30.
[37] G. Naudé, Bibliografia politica, a cura di D. Bosco, Bulzoni Editore, Roma, 1997, pp. 140-41.
[38] Id., Iugement de tout ce qui a esté imprimé contre le Cardinal Mazzarin, depuis le sixième ianvier jusqu’à la declaration du premier avril mil sixcens quarante neuf, s.n., Paris, 1649, pp. 7, 283-84, 289-90, 398, 425.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] C. Sorel, La Bibliothèque française, par la Compagnie des Libraires du Palais, Paris, 16672, pp. 73-4.
[42] Sul rapporto fra l’Europa e i popoli extra-europei, vedi F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di A. Saitta e E. Sestan, Laterza, Bari, 1962; J. Fontana, L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta, Laterza, Roma-Bari, 1995.
[43] C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963; E.V. Souleyman, The vision of world peace in the Seventeenth and the Eighteenth century France, Kennekat Press, New York, 1941.
[44] V.L. Tapié, La Francia di Luigi XIII e di Richelieu, trad. N. Talamo, Il Saggiatore, Milano, 1967.
[45] Sulle vicende della politica estera francese di quegli anni, vedi, L.V., Tapié, La Francia di Luigi XIII e Richelieu, cit.; Id., La guerre de trente ans, Sedes, Paris, 1989; M. Carmona, La France de Richelieu, Fayard, Paris, 1984; L’ambition et le pouvoir, Fayard, Paris, 1983; J.H. Elliot Richelieu and Olivares, Cambridge University press, London-New York-Melbourne, 1984.
[46] T. Ruyssen, Les sources doctinales de l’internationalisme. Des origines à la paix de Westphalie, Presse universitaires de France, Grenoble, 1954.
[47] F. Chabod, Idea d’Europa e politica di equilibrio, a cura di L. Azzolini, Istituto italiano per gli studi storici, il Mulino, Bologna, 1995, pp. 3-62; L. Dehio, Equilibrio o egemonia, il Mulino, Bologna, 1988.
[48] Ibidem.
[49] Vedi anche L. Scuccimarra, I confini del mondo. Storia del cosmopolitismo dall’antichità al Settecento, il Mulino, Bologna, 2006, pp. 268-77.
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